L’ITALIA SOTTO IL SEGNO DEL DRAGO di G. Duchini

Diventare un paese di ‘draghi finanziari’. Ecco l’imperativo categorico che ha accompagnato  Mario Draghi, nel suo protagonismo quindicennale, prima come grande negoziatore del cambio, insieme al Presidente Ciampi, al fine di garantire il rientro della lira nel meccanismo del sistema monetario europeo (1996) dopo l’espulsione decretata nel settembre ’92 e, successivamente, dal ’98 in poi, recandosi nelle principali capitali europee, per concludere accordi atti a favorire l’ingresso traumatico dell’Italia nell’eurozone, insieme all’ambizioso progetto della riduzione del deficit e del debito pubblico, rivelatosi, nel tempo, un vero e proprio salasso per tutta l’economia nazionale. Non starò a ripetere chi era Mario Draghi, diventato Governatore in sostituzione di Fazio nel 2006, né del suo stipendio  di dieci milioni in euro, come consulente della banca d’affari Usa Goldman Sachs, né dei 350 mila euro l’anno percepiti (come Governatore), né tanto meno, degli 8 mila dipendenti di Bankitalia, a fronte di poche centinaia di occupati della Banca d’Inghilterra e di Olanda. Vorrei rimanere al suo messaggio nel recente convegno di Foligno, del settembre 2007, che offre una interpretazione a dir poco sorprendente sulle dinamiche finanziarie create dalle banche, nella vendita dei titoli, dai ‘suprime’, ai più recenti derivati. Draghi afferma, in un linguaggio criptico da addetto ai lavori, che se “il prestatore (banca) trasferisce parte del rischio a terzi, l’incentivo a valutare la solvibilità del creditore può risultare indebolita. E dunque i derivati possono modificare in maniera sostanziale lo stesso modus operandi di una banca. Gli istituti che fanno maggiormente uso di ‘securitization’ comprimono meno i loro impieghi in presenza di aumenti di tassi.” La decodifica può essere espressa in questo modo: le banche con l’autorizzazione di Bankitalia hanno riempito di derivati i patrimoni delle piccole e medie aziende italiane e di gran parte degli Enti locali compresi Comuni, Municipalizzate e Regioni, in quantità tale che il meccanismo di trasmissione di impulso della politica monetaria nei confronti dell’economia non funziona più, o funziona solo in parte; le variazioni dei tassi di sconto della banca centrale  Federal-Reserve (Usa) di concerto con la sottomessa Bce (Europa), onde regolare in aumento o riduzione la massa di liquidità creditizia, cominciano a perdere colpi, in particolare in Italia, per la succitata sovraesposizione  di derivati collocati nei patrimoni sociali delle aziende: un annacquamento dei patrimoni con titoli volatili la cui manovra monetaria, nella regolazione del credito finanziario,  comincia a non avere più la presa di prima,     

    Ma che cosa sono questi derivati? I prodotti finanziari che rispondono al nome di subprime, private equity…e derivati, nascono in provetta un po’come le cellule staminali create artificialmente, queste vengono innestate sulle parti viventi del tessuto moltiplicandosi e rigenerandosi continuamente; così il prodotto finanziario, e il derivato nella fattispecie, viene immesso nel tessuto del patrimonio delle imprese, trasformando negativamente, il valore del patrimonio sociale dell’azienda. I derivati,  secondo quanto dice una Circolare della Banca d’Italia del 1999,” sono quei contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali (quali valute, tassi di interessi, tassi di cambio, indici di borsa) e il cui valore economico deriva dal valore del titolo sottostante o degli altri elementi di riferimento.”  Come si può dedurre, i derivati, nati per coprire i rischi dell’operare economico, in particolare di quelli del cambio e dell’interesse, si sono trasformati, in speculazioni basate su scommesse simili alle corse dei cavalli. Come tutte le scommesse, l’azienda dopo aver puntato la propria somma presso la banca, chiude il contratto con il versamento della somma, nel caso della perdita, o passa dalla “cassa”, nel caso della vincita; ma un particolare, e non da poco, rilevato nella recente inchiesta televisiva di “Reporter”dice che: i prodotti derivati imposti dalle banche alle imprese sono risultati tutti a perdere, con rilevanti valori negativi per i patrimoni delle imprese. Secondo una recente analisi di Bankitalia, la dinamica del mercato dei derivati in Italia è superiore alla media registrata negli altri paesi europei; Draghi nel recente convegno di Foligno ha sostenuto che il valore totale dei derivati ammonta a 10 volte il Pil mondiale, cioè oltre 300 trilioni di dollari( un tre seguito da dodici zeri)  come dire, i derivati rappresentano ordigni di distruzione di massa  di tipo finanziario destinati prima o poi a esplodere.