L’oro nero dell’America Latina di g.rèpaci

petrolioIn America Latina, durante la seconda metà degli anni ‘90, il settore dell’energia è stato caratterizzato da intensi processi di privatizzazione dell’industria elettrica e liberalizzazione di quella petrolifera, allo scopo di attrarre nuovi investimenti privati. Tale tendenza però, si è attenuata negli ultimi anni, quando la nuova classe dirigente di alcuni dei principali paesi produttori di petrolio, particolarmente il Venezuela di Hugo Chàvez, ha operato un’inversione di rotta, reintroducendo un forte controllo governativo nella gestione delle imprese del petrolio e limitando l’afflusso di capitali esteri nel settore. I Caraibi costituiscono un importante centro di raffinazione del petrolio: le principali raffinerie, collocate in particolar modo nelle Antille Olandesi e a Trinidad e Tobago, servono sia il mercato locale sia quello estero. Le possibilità di incrementare le esportazioni verso mercati extra-regionali sta producendo imponeneti cambiamenti nel settore petrolifero latino-americano, orientato all’efficienza ed a economie di scala.

Anche la domanda interna di energia risulta in aumento (si stima che duplicherà prima del 2020) ed il commercio inter-regionale sta conoscendo una rapida espansione. Nessuna zona del globo è rimasta immune ai cambiamenti che ci sono stati nel settore e alle loro conseguenze economiche e geopolitiche. In America Latina, dove gli Stati Uniti giocano un ruolo importante in termini di sicurezza energetica e dove la Spagna concentra gran parte dei suoi interessi economici all’estero, lo scenario negli ultimi dieci anni non ha fatto che complicarsi ulteriormente. La crisi energetica mondiale ha colpito soprattutto i mercati di Brasile e Argentina, così i grandi consumatori del sud del continente stanno studiando dei piani di integrazione energetica. Ma fino ad ora tutti i tentativi per adattare l’offerta alla richiesta regionale hanno sollevato problemi politici ed economici difficili da risolvere. Queste difficoltà potrebbero, in maniera paradossale, trasformarsi nell’asse portante di una collaborazione intergovernativa ed intercontinentale. In quest’ottica, in alcune recenti visite nei paesi del Cono sud, il presidente venezuelano Hugo Chàvez ha tranquillizato il suo omologo argentino Néstor Kirchner e l’uruguaiano Tabarè Vàzquez: l’idea di investire 23 miliardi di dollari nel faraonico progetto del gasdotto del sud non è una chimera come sostengono i suoi avversari. Si tratta di un progetto che è stato pianificato nel giugno del 2005 (parte dei lavori tuttavia è stata avviata soltanto nel settembre del 2007) dai paesi del Mercato comune del Cono sud (Mercosur): Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e, dal maggio del 2006, Venezuela.

Il progetto vede la costruzione di un gasdotto per portare il gas naturale da Camisea, in Perù, attraverso le Ande in Cile, dove dovrebbe collegarsi alla rete di gasdotti Brasiliana e Argentina, rifornendo così tutto il sud del continente. Ciò vedrà la realizzazione di uno dei piani dell’Alternativa bolivariana per l’America e i Caraibi (Alba) che nata da un’iniziativa cubano-venezuelana, ha visto l’adesione della Bolivia di Evo Morales e l’interessamento del Nicaragua di Daniel Ortega e dell’Ecuador di Raffael Correa. Lo scopo dei governi in questione è mirare all’autosufficienza economica sudamericana (cosa che non può essere digerita facilmente dalla Zio Sam) . Secondo le prime stime dello stato, il gasdotto sarà operativo dal 2012, e trasporterà circa 150 milioni di metri cubi di gas venezuelano e creerà più di un milione e mezzo di posti di lavoro. Per realizzare il gasdotto servirà un investimento di almeno 2 miliardi di dollari. Se l’operazione avrà successo, sarà un passo in avanti importante per l’integrazione energetica del Cono sud. L’intero piano di lavoro darà corpo al progetto di Petrosur e Petroandina. L’obiettivo finale è la costituzione dell’Opegasur (Organizzazione dei paesi esportatori e produttori di gas del Sud America), che dovrebbe, analogamente all’Opec, regolamentare, stimolare e difendere l’erogazione di energia sicura per il continente. Chàvez ha affermato che il Venezuela possiede la riserva di gas più grande del continente, a cui prima o poi tutti i paesi saranno costretti ad attingere. Il progetto, considerato l’infrastruttura più ambiziosa del Sudamerica, comprende il tracciato, i costi, i finanziamenti, la produzione e la fornitura di gas, oltre agli allacciamenti ed alle condotte già esistenti. Prevede inoltre il trasporto di gas dai giacimenti dei Caraibi del Sud e della costa atlantica del Venezuela verso il Brasile e l’Argentina, con un percorso stimato tra i 7000 ed i 9300 km, sfruttando le strutture già esistenti di Bolivia, Paraguay, Cile e Perù.

L’idea del Presidente Chàvez  è di coinvolgere la Bolivia di Morales nel progetto del gasdotto del sud cosa che ha creato non poche tensioni con il Brasile, dovute soprattutto al conflitto di interessi dei due stati riguardo l’esportazione di combustibile verso gli States. Tuttavia, le conseguenze dello scontro non sono ancora ben definite, anche se la proclamata distensione tra Brasilia e Caracas è stata sancita in occasione del recente avvio del progetto di una raffineria da cinque miliardi di dollari, frutto dello sforzo congiunto dei due paesi. Ovviamente i cambiamenti politici in Bolivia hanno spostato l’interesse dei paesi del Cono sud, sul Perù e sul grande anello del gas del Sudamerica. I programmi per la costruzione dei gasdotti regionali hanno sollevato molte perplessità e preoccupazioni economiche, ma attirano i leader di sinistra e centrosinistra del Mercosur. Sia il grande anello sia il gasdotto del sud possono essere uno strumento efficace per dare più sostanza al sogno di un unione dell’America Latina, dando l’occasione al presidente Chàvez di poter riuscire nell’impresa di attuare la rivoluzione bolivariana del socialismo del XXI secolo . Il momento è adatto: i prezzi dell’energia sono ancora abbastanza alti e i governi dell’area sono politicamente sempre più vicini e gli Stati Uniti sembrano (dico solo sembrano) avere perso il loro interesse nella regione, soprattutto alla luce della fallimentare visita di George Bush in America Latina nei mesi scorsi. Con tutto che alla finale il grande gasdotto del sud costerà più della cifra preventivata, dovendo scontrarsi con le proteste degli ambientalisti, e molto probabilmente, con quelle di parte della comunità indigena, a causa dell’attraversamento di alcune zone dell’Amazzonia.