ORWELL CE L’HA CON TUTTI E CON SE STESSO

diavolo

 

Prendo spunto da un articolo dello scrittore Massimiliano Parente il quale, a proposito dei lavori Orwell, sostiene che i suoi romanzi siano una descrizione e una denuncia dei totalitarismi, quelli nazi-comunisti (associazione frettolosa ed errata, non perché qui ci interessi scagionare l’uno o l’altro regime, semplicemente essi erano strutturalmente diversi e rispondenti a rapporti sociali non assimilabili, e nemmeno bastano i conculcamenti delle libertà o gli ammazzamenti a parificarli perché, come diceva Cioran, l’ora del crimine arriva, prima o poi, per ogni nazione) e non contro il capitalismo o la modernità, come si usa affermare oggi. In realtà, l’unico vero testo in cui Orwell si riferisce alla rivoluzione sovietica e al suo sistema sociale è “La Fattoria degli animali” che però viene ambientato in Inghilterra: “tosto o tardi tornerà: l’uom tiranno a terra andrà; per le bestie sol cortese sarà l’alma terra inglese…”.
Nella fattoria liberata dal padrone si era partiti dal principio per cui “tutti gli animali sono uguali” per giungere al fatto più prosaico che “alcuni sono più uguali degli altri”. Inevitabilmente direi, perché maiale o ircocervo, l’animale decisionale è raro, è sempre un gruppo ristretto di individui che sceglie, anche nei sistemi liberali, i quali possono servirsi delle votazioni per aver conferma di quanto precedentemente deciso. Dal popolo non nasce niente se non un cieco caos. L’offerta democratica, peraltro, è limitata a quel che passa la partitocrazia (in Italia molto frammentata ma decisamente condensata intorno ad un obiettivo condiviso, non mettere mai in discussione i rapporti di sudditanza internazionali: vogliono fare tutti gli americani) dove le differenze tra organizzazioni sono ormai azzerate.
Se mi venisse in testa di creare un movimento per l’abbattimento della democrazia mi ritroverei gli “sbirri” sotto casa, esattamente come accadeva e accade nelle dittature. Tutti possono pensare quel che vogliono purché sia lo stesso pensiero della democrazia e della dittatura oppure, laddove non collimi, lo tengano per sé e non creino problemi passando dalla teoria alla pratica. Uno scrittore diventa pericoloso non quando scrive ma quando troppi cominciano a leggerlo. Io posso scrivere quasi quel che voglio perché non mi considera nessuno ma se le mie parole dovessero essere prese sul serio da molti sarei subito attenzionato da chi di dovere. E’ falso, dunque, che sotto le dittature non si potesse pensare liberamente. I pensieri non sono controllabili nemmeno dai totalitarismi. Non si può mettere a repentaglio la stabilità dello Stato e del governo, forse le dittature ricorrono a mezzi più spicci per far valere le loro ragioni ma i risultati non cambiano, in un Paese o nell’altro. Si pensi poi ai servizi segreti nelle democrazie, operano pensando alla libertà del prossimo o ricorrono a qualsiasi nefandezza per proteggere lo Stato di appartenenza, anche contro i dissidenti interni? La democrazia sospesa quando occorre è sempre democrazia? E quando va in guerra inventandosi “provette” false?
Nelle democrazie finché funzionano i meccanismi di condizionamento sociale si lascia alla gente la possibilità di esprimersi ma quando la deviazione diventa eccessiva emergono i concreti sistemi di “salvezza pubblica” usati dal potere che non necessitano di urne e nemmeno di regolari processi. Del resto, non mi sembra che le democrazie quando, per esempio, devono dichiarare guerra facciano prima dei referenda. Ovviamente, gli umori della pubblica opinione possono avere un peso in certe scelte (molto meno nelle dittature) ma solitamente vengono testati lungo una strada già tracciata da chi sta in alto. Questa è, comunque, una questione estrema perché le cosiddette democrazie intervengono a direzionare lo spirito generale con metodi che non hanno nulla a che vedere con il voto anche in situazioni meno cruente. La libertà ma fino ad un certo punto e, soprattutto, in nome della mia libertà vengo a dettare legge anche in casa tua se ne ho forza e possibilità. Così si comporta la prima democrazia del mondo, tanto per dirne una.
Piuttosto, 1984 di Orwell, ci parla, per alcune situazioni, più dell’Occidente che dell’Oriente in questo momento storico. Il politicamente corretto non è una versione della neoligua orwelliana? Il bispensiero non è sovrapponibile alla cancel culture degli antirazzisti? L’ignoranza del passato non è la forza di questi sciocchini senza cultura? “La continua alterazione del passato” è il fulcro del bispensiero dei nostri sventurati tempi, in cui si denigrano grandissime menti della nostra storia per far contenti finti emarginati privi di razionalità.
Orwell ce l’ha con tutti non solo con nazisti e comunisti. Tutto degenera a questo mondo compreso lo stesso scrittore che si arruolò nelle file del POUM (Partito Operaio di Unificazione Marxista) ma finì a stendere liste di proscrizione per il Foreign Office.