OSSERVAZIONI SULLA CRITICA DELLA DEMOCRAZIA IN SEBASTIANO VASSALLI

pensiero

 

OSSERVAZIONI SULLA CRITICA DELLA DEMOCRAZIA IN SEBASTIANO VASSALLI

 

Le mie conoscenze nel campo della letteratura e della poesia sono decisamente al di sotto della media: qualcosa dei tragici greci, un po’ di Shakespeare, pochi romanzi dei grandi classici dell’ottocento e novecento. E’ quindi “normale” che abbia sentito solo nominare Sebastiano Vassalli (1941-2015) a proposito del quale riporto una breve nota dal sito www.letteratura.it:

<<L’ultimo saluto a Sebastiano Vassalli.

Cordoglio nel mondo culturale italiano e internazionale per la scomparsa improvvisa di Sebastiano Vassalli, stroncato da un male incurabile la sera del 26 luglio 2015, a pochi mesi dalla candidatura al premio Nobel. Ha fatto in tempo a terminare il romanzo Io, Partenope, postumo. La chimera del 1990 è il capolavoro tradotto nel mondo e adottato nelle scuole. La lettura no stop del romanzo da parte dei suoi lettori è stata fatta il 29 luglio nella camera ardente allestita alla Biblioteca Civica Negroni di Novara prima della cerimonia civile, partecipata da oltre 500 persone, al Broletto, luogo di memoria storica e letteraria dove trascorse l’ultima notte di dolore la giovane Antonia protagonista della Chimera. Nelle sue opere, pubblicate da Einaudi, Interlinea e Rizzoli, restano i viaggi nel tempo e le metafore della società contemporanea alla ricerca del carattere nazionale degli italiani. Durante il funerale laico, secondo le sue volontà senza discorsi e con Padre nostro silenzioso e Internazionale suonato da un quintetto d’archi, l’orazione funebre è stata tenuta da Roberto Cicala, editore di Interlinea, presidente del Centro Novarese di Studi letterari, grande amico dello scrittore>>.

Questo post è occasionato dall’incontro con un libretto, del suddetto autore, uscito assieme al Sole 24 ore del 30.08.2015 in cui, assieme ad altri brevissimi racconti è presente anche un interessante Dialogo sulla democrazia. Capita alle volte che siano proprio gli artisti a riuscire a cogliere ed esprimere in maniera compiuta tematiche in cui dovrebbero dimostrarsi maggiormente competenti filosofi e politologi. E la scelta dei brevi passi del dialogo che seguiranno è fatta per chi non ha avuto la fortuna, ed è proprio il caso del sottoscritto, di conoscerli già. Per alcuni risulteranno quindi cose arcinote e scontate ma, come dicono a Napoli, “abbiate pazienza”. Il dialogo vede come protagonisti un cittadino che vota (CV) e uno che preferisce non farlo (CNV) come penso sia il caso di molti lettori e collaboratori di questo blog. Con questo non intendo criticare chi va a votare, anche perché – per svariati motivi – anche coloro che hanno posizioni radicalmente scettiche riguardo alle forme democratiche possono ritenerlo utile, magari tatticamente. Ad ogni modo, nel dialogo, CV afferma solo una serie di banalità con la classica fraseologia da “politicamente corretto” mentre mi sono apparsi particolarmente bene articolati alcuni passi di CNV che vado di seguito a riportare.

<<La vera democrazia è esistita tanto tempo fa ed è esistita soltanto per pochi anni. Nell’antica Atene, le cariche pubbliche venivano tirate a sorte tra tutti quelli che ne avevano diritto, cioè tra tutti i capifamiglia. Si mettevano i nomi in un’urna , e un ragazzo bendato li tirava fuori. Questa è l’unica democrazia vera e possibile. Una volta all’anno si fa una lotteria e chi esce esce: il tuo vicino di casa può diventare presidente della Repubblica, il ragazzo che ti porta i giornali può diventare ministro delle Finanze […]e così via fino all’ultima carica pubblica. Nessuno può essere escluso dal sorteggio, purché abbia la cittadinanza e goda dei diritti civili. La vera democrazia è una lotteria. Ogni altra forma di governo, compresa quella che si fonda sul voto, è un’aristocrazia camuffata. Per essere più precisi: è un’oligarchia, cioè un sistema in cui pochi comandano e i più sono sudditi>>.

Nelle democrazie moderne o per meglio dire nelle democrazie “compiute”, quelle maturate nel corso del XX secolo, si è affermato, dicono, un sistema rappresentativo attraverso il quale si esercita la sovranità popolare. I pensatori liberaldemocratici, anche quelli “non-elitisti”, ritengono comunque, in linea generale, che i governanti debbano possedere qualche tipo di “competenza”- di carattere generale o specifico – non in possesso della maggior parte dei governati.

Così si esprime al proposito CNV:

<<Dunque, secondo lei la democrazia è il governo di persone prese dal popolo ma esperte di economia, di finanza, di diritto internazionale, di organizzazione aziendale, di scienze della comunicazione e di politica estera. […] Le credo sulla parola. O, per essere più sincero, faccio finta di crederle e le dico: guardiamoci attorno. Quanti tra gli eletti alle massime cariche dello Stato nei paesi cosiddetti democratici sono dei profondi conoscitori di tutte queste materie che servono a governare e quanti invece sono dei politicanti che non sanno niente di specifico e si rendono conto dei problemi soltanto mentre gli affrontano. Quanti sono gli esperti, e quanti sono i furbi? […] Ciò che lei chiama democrazia è la negazione dell’uomo in quanto individuo e in quanto soggetto del proprio pensiero. E’ l’apoteosi dell’uomo elettorale: dell’”uomo-massa” e del pensiero pre-pensato. E’ il governo dei numeri. Si agisce sui numeri per governare gli uomini, e si agisce sugli uomini per governare i numeri…>>.

Qui non parla un politologo, solo uno scrittore, un romanziere può esprimersi in maniera così brillante e incisiva.

E ora andiamo avanti con il CNV che spiega quale tipo di governi sono il risultato delle elezioni:

<< Si fanno dei governi aristocratici, basati sugli interessi e sugli umori che muovono una società, e sulla furbizia dei singoli che si candidano a rappresentare quegli umori e quegli interessi. […] Dopo l’aristocrazia dei guerrieri e quella dei ricchi, che hanno dominato nelle epoche passate, l’aristocrazia di quest’epoca è quella dei furbi. I suoi vivai, le sue palestre, le sue scuole sono i partiti politici. I suoi tornei sono le elezioni …>>.

E ancora:

<< Il furbo non costringe nessuno: se no, che furbo sarebbe? Il furbo, attraverso la propaganda, spiega agli elettori che votando per lui votano per se stessi; e quando è riuscito ad agganciarli, gli racconta la favola della democrazia. […]. L’uomo elettore è strettamente imparentato all’uomo consumatore creato dall’industria, e all’uomo spettatore creato dalla televisione. In pratica è lo stesso uomo e fa parte di un aggregato di individui, come le formiche di un formicaio o le api di un’arnia. E’ l’elettore massa…>>.

Ma tuttavia:

<<Il mondo è soggetto a tante di quelle spinte che nessuno lo controlla davvero. Non va dove voglio io e nemmeno dove vogliono i furbi. Va, e basta. […]Sono un realista. Gli utopisti partono dal presupposto che gli uomini: tutti gli uomini del mondo, siano ragionevoli e tendenzialmente buoni. Che abbiano voglia di migliorarsi: figuriamoci! Io invece credo, a ragion veduta, che siano in massima parte stupidi e malvagi e felici di essere come sono>>.

Molto brillante il tono polemico ma il “contenuto” sembra, a tratti, indebolito. Tuttavia spesso, in questi casi, si tratta di una questione di linguaggio; i “furbi” di cui parla Vassalli potrebbero essere, mediante una espressione colorita e poco rigorosa, gli agenti strategici dei dominanti come gli intende La Grassa. Se non sono più i “ricchi” a comandare come potrebbero esserlo dei “furbi” che non fossero gli strateghi dei gruppi sociali in lotta per la supremazia? E, inoltre, se questi “portatori soggettivi di ruoli e funzioni” non governano veramente l’andamento e le dinamiche delle formazioni sociali non può , forse, questo fatto essere dovuto proprio a quelli che, sempre La Grassa, ha provvisoriamente denominato “flussi squilibranti” incardinati in una realtà inconoscibile eppure concettualizzabile ? E potrebbe essere così proprio perché l’artista può intuire ma spetta al teorico l’elaborazione razionale dell’oggetto di quelle intuizioni. Più avanti il dialogo prosegue con una caustica demistificazione delle “virtù redentrici”, della “capacità di trasformazione intermodale” e comunque della natura di “soggetto rivoluzionario” della classe operaia (proletariato, lavoratori esecutivi subordinati). Purtroppo bisogna ricordare che non solo quel grande marxista che fu G. Lukacs ma anche il fondatore del comunismo critico, Karl Marx – che pure, come più volte ricordato da GLG, nella sua fase matura parlava di un lavoratore collettivo cooperativo inteso come “associazione” formata dai ruoli che andavano dall’ingegnere all’ultimo manovale – nel suo saggio giovanile intitolato Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione si espresse in maniera quasi poetica attribuendo al proletariato, supportato dai filosofi “sobri” e “comunisti”, un destino messianico. Non ci sarebbe neanche bisogno di parlarne – perché anche i grandi pensatori hanno il diritto di essere giovani e quindi di sbagliare e fare autocritica – se il “Marx giovane” non fosse diventato sempre di più uno strumento ideologico per annebbiare le menti e permettere alle fantasticherie, appositamente costruite per confondere, di spacciarsi per “teoria”, magari quasi “rivoluzionaria”. Ed è così, comunque – alludendo al miglioramento del tenore di vita delle classi subordinate in molti paesi durante il novecento – che il CNV si esprime:

<<Guardi cosa fanno nel tempo libero. I più attivi sfruttano se stessi, inventandosi dei lavori “in nero” per guadagnare soldi. I più fantasiosi si rivolgono alle agenzie di viaggio che li spediscono qua e là nel mondo, nei luoghi dove ci sono spiagge, bungalows e villaggi-vacanze. I più geniali si dedicano al bricolage, i più maiali cercano di ingropparsi la moglie o la figlia del vicino di casa. Molti vivono da una domenica all’altra aspettando le partite di calcio; molti spendono i loro soldi con le puttane, vicino a casa o in paesi esotici. La scienza, l’arte, la filosofia non hanno beneficiato granché della liberazione del proletariato, e della sua conquista del tempo libero>>. Successivamente Vassalli introduce la questione della validità dei valori proclamati sulla “bandiera” della Grande Rivoluzione dei Francesi e a questo proposito mi sovviene spesso l’osservazione contenuta nello scritto marxiano sulla “questione ebraica” dove il Moro accanto alla libertà e all’eguaglianza non include la fraternité bensì gli altri due principi cardinali dello Stato e della società civile borghese: la propriété e la sûreté. Comunque il CNV ci tiene a precisare che l’uomo moderno non cerca tanto la libertà in astratto quanto piuttosto una sorta di accordo contrattuale. In questo caso mi sembra palese il riferimento a quel tipo di contratto di cui parla Hobbes, ovvero ad una situazione in cui i diritti civili, economici e politici vengono tutelati dal Leviatano – che detiene il monopolio della forza coercitiva all’interno di una società-stato particolare – in maniera funzionale alla limitazione della “guerra civile” tra individui e gruppi , un freno necessario per impedire lo sfaldamento e la dissoluzione anarchica del corpo sociale. Dando per scontato, poi, che noi riteniamo l’eguaglianza formale un requisito fondamentale della società capitalistica volta a permettere il fluido dispiegarsi della circolazione di idee, persone e cose, e non solo in termini economici, vediamo come in un passo successivo Vassalli si concentri sulla “irrazionalità” di una presunta eguaglianza sostanziale:

<<In un mondo di eguali la razza umana si estinguerebbe. Provi ad immaginare quel mondo: appartamenti o villette a schiera tutti uguali, automobili uguali, istruzione (nei limiti delle capacità) uguale per tutti… E ancora: stesse opportunità, stesse ferie, stesse cure mediche, stesso rapporto con le istituzioni. Il meglio sparirebbe in un batter d’occhi; il peggio, dopo un effimero trionfo, sparirebbe anche lui. Rimarrebbe il nulla. […] Il nostro desiderio, peraltro legittimo, di vivere in un mondo diverso e perfetto, almeno per il momento è destinato a scontrarsi con la realtà>>

e

<<…le dirò che gli uomini non si amano oggi, esattamente come non si amavano duemila o ventimila anni fa…[…]. Crediamo di poter costruire le “società multietniche”. Se fossimo più saggi, capiremmo che il mondo di oggi: quello vero, non quello che noi abbiamo in testa, tollera soltanto piccole mescolanze; e che, aumentando le dosi, si formano miscele esplosive. Ma gli uomini si odiano anche al di fuori delle diversità. Si odiano nei condomini, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie. Basta un niente, perché vengano meno le buone maniere, la buona educazione e perfino gli affetti tra consanguinei…>>.

La prima edizione di questo dialogo credo risalga al 2006 ma questo passo sembra scritto ieri.

Ed ora, infine, passiamo all’ultimo frammento significativo del dialogo, che per riguardo al contenuto potrebbe risultare una sorta di epigrafe per le idee che animano il nostro blog e che in forma diversa, a mio parere, avrebbe potuto essere stato scritto da La Grassa o da Petrosillo. Si tratta di una sorta di risposta a una domanda ideale su quello che dovrebbe essere, oggi, il nostro scopo:

<<E’ una forma più avanzata di uso della ragione. Tanto per cominciare, bisognerebbe mettere al bando le utopie, di qualsiasi genere. Le illusioni portano solo disgrazie. Gli slanci emotivi: quelli che spingono a volersi male, ma anche quelli opposti, che dovrebbero indurre le persone a volersi bene, producono soltanto catastrofi. Affrontare gli ostacoli di slancio, armati di bei ragionamenti e di buone intenzioni, è un modo certo per farsi del male. Davanti all’ostacolo bisogna fermarsi e studiarlo. Bisogna chiamare le difficoltà con il loro nome; e bisogna rassegnarsi all’idea che zero più zero non farà mai uno, o due, per quanta buona volontà ci si metta. Farà sempre zero… Ma temo che questo modo di procedere, almeno per il momento, non possa avere alcun seguito>>.

 

Mauro Tozzato           01.09.2015