PASSI DI MARX TRATTI DAL CAP. XXVII DEL III LIBRO DE IL “CAPITALE”

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(La funzione del credito)

Si tratta di appunti di Marx, poi sistemati da Engels; come tutto ciò che è stato pubblicato sotto il titolo di II e III libro della sua massima opera. Solo il I libro di quest’ultima è stato in realtà elaborato, rifinito e pubblicato da Marx nel 1867. Riporto appunto dal terzo libro alcune rilevanti considerazioni contenute nel cap. XXVII sulla funzione del credito. E cito espressamente il punto in cui si nota la concezione fondamentale marxiana, poi dimenticata di fatto da tutti i marxisti successivi: quella relativa al formarsi della classe costituita dall’insieme dei produttori nelle loro funzioni sia direttive che esecutive, tutti divenuti venditori di merce forza lavoro (salariata) ai proprietari dei mezzi di produzione. Le notazioni messe tra parentesi quadra sono mie interpolazioni.

<<Le osservazioni generali, che abbiamo avuto occasione di fare finora trattando del credito, sono le seguenti:

I. Formazione necessaria del credito, ecc……[questo non c’interessa]

II. Riduzione dei costi di circolazione, ecc….[idem come sopra]

III. Formazione di società per azioni. Donde:

 

  1. Un ampliamento enorme della scala della produzione e delle imprese, ecc…….

  2. Il capitale, che si fonda per se stesso su un modo di produzione sociale, ecc…..

[ed ecco arrivare quello che qui ci interessa in modo specifico]:  

3. Trasformazione del capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui, e dei proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari. Anche quando i dividendi che essi ricevono comprendono l’interesse e il guadagno d’imprenditore, ossia il profitto totale (poiché lo stipendio del dirigente è o dovrebbe essere semplice salario di un certo tipo di lavoro qualificato, il cui prezzo sul mercato è regolato come quello di qualsiasi altro lavoro), questo profitto totale è intascato unicamente a titolo d’interesse, ossia un semplice indennizzo della proprietà del capitale, proprietà che ora è, nel reale processo di riproduzione, così separata dalla funzione del capitale come, nella persona del dirigente, questa funzione è separata dalla proprietà del capitale. In queste condizioni il profitto (e non più soltanto quella parte del profitto, l’interesse, che trae la sua giustificazione dal profitto di chi prende a prestito) si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui, risultante dalla trasformazione dei mezzi di produzione in capitale, ossia dalla loro estraniazione rispetto ai produttori effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a tutti gli individui REALMENTE ATTIVI NELLA PRODUZIONE, DAL DIRIGENTE ALL’ULTIMO GIORNALIERO [maiuscolo mio]. Nelle società per azioni la funzione è separata dalla proprietà del capitale e per conseguenzaanche il lavoro è completamente separato dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal plusvalore. Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario di transizione per la ritrasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori [come erano gli artigiani precapitalistici; nota mia], ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni, che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali.

…………………………[qui vi è un pezzo che si può tralasciare]

Questo significa la soppressione del modo di produzione capitalistico nell’ambito dello stesso modo di produzione capitalistico, quindi è una contraddizione che si distrugge da se stessa, che prima facie si presenta come semplice momento di transizione verso una nuova forma di produzione. Essa si presenta poi come tale anche all’apparenza. In certe sfere stabilisce il monopolio e richiede quindi l’intervento dello Stato. Ricostituisce una nuova aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di progetti, di fondatori e di direttori che sono tali semplicemente di nome; tutto un sistema di frodi e di imbrogli che ha per oggetto la fondazione di società, l’emissione e il commercio di azioni [non vi fischiano le orecchie?]. E’ produzione privata senza il controllo della proprietà privata. >>>.

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Discorso che mi sembra estremamente chiaro e non bisognoso di molti commenti per quel che significa. Certamente Marx scrive (appunti poi sistemati da Engels) un secolo e mezzo fa. E mi sembra presentare alcuni momenti di modernità. Tuttavia, ha in testa il capitalismo <<borghese>>, nato da quello mercantile e che presenta varie commistioni con elementi delle tradizioni, cultura, mentalità, della società precedente, in mano alla nobiltà. Ad un certo punto, almeno nella traduzione, salta fuori il nome di imprenditore, ma Marx non ha nozione dell’impresa come si andrà configurando già a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, e che vedrà soprattutto il fiorire novecentesco del capitalismo statunitense, quello definito assai più tardi (1941) da Burnham capitalismo manageriale. Si tratta di quel capitalismo che per il momento ho definito, dopo un paio di decenni di studio, <<formazione sociale degli strateghi (funzionari) del capitale>>.

In Marx il fulcro dell’impresa è in realtà l’opificio industriale, sede del processo lavorativo in quanto processo di trasformazione di materia prima in prodotto finito: di consumo (individuale) oppure di investimento come ad es. le macchine e il complesso strumentale da impiegare in ulteriori processi trasformativi. Egli prende dunque in considerazione soltanto il dirigente di fabbrica, quello che poi verrà indicato dal marxismo successivo, ivi compreso Lenin, quale “specialista borghese”. Marx, insomma, attribuisce chiaramente al dirigente in oggetto, nella prima fase del capitalismo, la proprietà dei mezzi di produzione (lo farà anche nelle Glosse a Wagner, l’ultimo lavoro economicodi Marx; si trovano in un quaderno di estratti degli anni 1881-82). Questi diventerebbe invece poi, in specie con la formazione della società per azioni, un lavoratore salariato a tutti gli effetti, separato da detta proprietà (dal capitale); e a tutti gli effetti verrebbe a far parte dei “produttori associati”, cui spetterebbe ormai l’esecuzione dell’intero processo produttivo mentre il capitalista sarebbe divenuto mero proprietario (azionista) e percettore di interesse (il dividendo azionario). Questa appunto l’interpretazione marxiana del processo evolutivo capitalistico, che risulta in tutta evidenza dal lungo brano citato.

“Qui casca il palco”. E qui è iniziata tutta la mia opera di revisione per eliminare quella centralità della proprietà, ormai superata. Si tratta di quella privata, quella di cui parla Marx. Non cambia proprio un gran che con quella statale. Questa potrebbe perfino essere ancora peggiore se dàvita ad un ceto di “burocrati” pressoché incapaci e soltanto succubi di un potere politico miope; assai diversa l’attitudine produttiva attribuita da Marx all’insieme dei produttori associati, “dalprimo dirigente all’ultimo giornaliero”. Egli però scriveva nel 1860 e anni successivi; non è certolui il responsabile della perdita di efficacia interpretativa del marxismo, ma i suoi seguaciincancreniti per ben oltre un secolo a cianciare sul preteso “socialismo”, sulla formazione sociale di quelli che non sono mai diventati produttori associati “dal primo dirigente all’ultimo giornaliero”.Già Kautsky (e Lenin non lo critica su tale punto) aveva capito che non si andava per nulla costituendo il gruppo di questi fantasmatici produttori associati. Il gruppo dirigente dei processi produttivi, pur eventualmente privo della proprietà, era indicato come insieme di “specialisti borghesi”, pienamente assegnati alla classe dominante in piena convergenza con i proprietari assenteisti (rispetto alla direzione di detti processi produttivi).

I marxisti hanno allora insistito sulla rivoluzionarietà del “semplice giornaliero” (o poco più su), insomma dell’operaio di fabbrica, del Charlot di “Tempi moderni”. Veri fraintendimenti, che sono stati pure miei; tuttavia da più di vent’anni ho faticosamente iniziato una “marcia” almeno in buona parte diversa, di cui non parlo qui (ho scritto ormai migliaia pagine in proposito). Tuttavia, ci sono problemi lungo la nuova via che non ho certo risolto. Ho scritto negli ultimissimi anni alcuni libri sempre dibattendo tale problema onde affinarlo sempre più. Ultimamente ho anche consegnato ad un blocco di video su Marx (dieci di discussione e coerentizzazione del suo modello teorico; e tre di ridiscussione critica dello stesso) una a mio avviso buona sistemazione dell’intera questione.

Non pretendo però di aver risolto il problema. Non lo posso fare io, che appartengo alla vecchia epoca storica iniziata grosso modo con il marxiano “Manifesto del Partito comunista” (1848) e già in fase di trapasso (troppo lenta per la vita umana) da almeno due-tre decenni, fase oggi in accelerazione (ma ci vorrà ancora del tempo per trovarsi nel pieno della nuova epoca). Quelli come me (di orientamento marxista ovviamente) hanno il compito di mettere ordine nella vecchia teoria, di renderla massimamente coerente (al di là di ciò che ha “veramente” detto Marx) onde far rilevare sia le alterazioni ch’essa subì a partire già dalla sua morte sia l’errata previsione di dati eventi e la non realizzazione di altri. Al massimo si possono indicare alcune ipotesi di revisione e fuoriuscita (ma sempre da “quella porta”). A chi saprà vivere realmente la nuova epoca che avanza, senza inutili nostalgie e indebite “frenate”, spetterà il compito di arrivare a nuove ipotesi e magari anche a effettive sintesi in ben diverse teorizzazioni intorno alla società, alle sue strutture e dinamiche evolutive.