PERCHE’ ROBINSON E NON TARZAN?, di GLG

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(spunti critici sulla scienza economica dominante)

 

L’economica dominante [la presunta scienza economica detta neoclassica o marginalistica, che ha dominato sempre nelle Università di tutto il mondo capitalistico] parte dal famoso Robinson, individuo che ha una serie di bisogni e divide il suo tempo tra procacciamento degli oggetti (beni) per soddisfarli (in quanto individuo isolato) e “fabbricazione” di strumenti per potenziare questa sua attività di ottenimento dei beni stessi tramite trasformazione di materiali trovati in natura. Sempre ponendo il bisogno come causa da cui deriva tutto il resto, anche la produzione di quanto necessario a soddisfare il bisogno in questione.

L’economica si scorda di dire che l’eroe di Defoe è un individuo proveniente dalla società già capitalistica, sbattuto su un’isola dotato sia di una serie di oggetti per soddisfare le sue necessità più urgenti sia di strumenti adatti a sviluppare un’attività (una certa forma di attività) indispensabile a procurarsene di nuovi e a fabbricare altri strumenti più efficaci; e porta con sé, soprattutto, i savoir faire e la mentalità acquisiti nella formazione sociale di provenienza. L’economica finge che si possa individuare la scala “umana” dei bisogni, e quindi la distribuzione del tempo e degli sforzi per procurarsi i “beni” utili a soddisfarli, in assenza di stimoli mercantili, che sono fondamentali nella formazione del capitale e dei suoi rapporti storicamente specifici. Ciò è errato. Tutto il calcolo razionale – la razionalità del minimo mezzo o sforzo (per il massimo risultato), ecc. – da cui Robinson è guidato è quello tipico del “produttore” (imprenditore) capitalistico che agisce nella competizione mercantile.

Questa pretesa scienza sarebbe stata più conseguente se avesse preso le mosse da Tarzan. Burroughs (Edgar Rice) illustra in modo assai brillante quali differenziazioni effettivamente biologiche (di DNA diremmo oggi) esistano tra il neonato umano – subito orbato dei suoi genitori e salvato da “mamma scimmia”, che aveva appena perso suo figlio – e la tribù di primati in cui viene allevato. I suoi progressi di differenziazione dalla scimmia sono lentissimi, l’idea del minimo sforzo non occupa per null’affatto i suoi pensieri né orienta la sua azione. Afferra invece fin da bambino la necessità di sopperire alla nettamente minore massa muscolare, che lo rende inadatto ad un certo tipo di lotta in natura, sviluppando l’astuzia e imparando a usare con la massima abilità il coltello che, fortunosamente, trova nella capanna dove suo padre (che egli non sa lo fosse) era stato accoppato. Solo quando nell’isola arriva una nave che porta i membri di una ben precisa formazione sociale umana (sempre quella capitalistica), inizia il suo vero apprendistato che si conclude però malinconicamente rinunciando all’amore di Jane (i film mentono al riguardo), attratta sensualmente dalla sua animalesca carica vitale (dell’odore però non si fa cenno….), ma sempre preda di una forma di resistenza di fronte a quest’uomo un po’ “strano”, per cui alla fine preferisce l’individuo “civile”, abituato alla vita delle città borghesi, all’educazione (con tutti i suoi limiti e tabù) e alle manifestazioni di sentimenti più soft, ecc.

Sarebbe stato veramente interessante vedere come se la sarebbero cavata Walras o Marshall o Böhm-Bawerk, ecc. alle prese con Tarzan, le cui forme d’azione non si basano sul “primato della domanda” (cioè appunto del bisogno). I suoi “calcoli” sono basati sull’uso spiccio del coltello, sulle estenuanti attese per gli agguati, sui plurikilometrici e quatti pedinamenti controvento per non far sentire il suo odore di animale, sulla sua lunghissima e prudente attesa del declino (per vecchiaia) della tigre, che da giovane lo aveva quasi ucciso. E quando essa è divenuta meno agile e un po’ torpida, riesce infine a sopprimerla (anche con un po’ di fortuna); allora esplode il suo orgoglio nella certezza d’essere divenuto la “prima potenza” della foresta. Dov’è il “primato del consumatore” del micragnoso e gretto Robinson? In Tarzan, effettivamente, la forza e l’astuzia, l’inganno e l’ambizione, espressi nella forma più pura, precedono ogni possibile altro movente d’azione. Non è lo scambio, non è la minimizzazione dello sforzo (il “costo”) per conseguire un dato risultato a determinare le sue più significative mosse. E nemmeno segue una sequenza delle stesse al fine della semplice sopravvivenza. Aspira alla preminenza sugli altri abitanti della foresta (e nell’ambito della tribù di scimmie cui appartiene) e segue le strategie che lo conducono a tal fine. Lo si potrebbe mostrare pure con altri passi del libro, quando sbarcano dalla nave i marinai “cattivi”, ma questo basti.