PUTIN: IL CONVITATO DI PIETRA IN BAVIERA

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vladimir_putin2Vladimir Putin non ha bisogno di essere presente al G7 in Baviera, è lui il convitato di pietra che incombe sui partecipanti. Obama sta cercando di trasformare l’evento in una partita contro la Russia per serrare i ranghi con i partner europei. L’America teme il rafforzarsi di relazioni diplomatiche troppo strette tra Ue e Russia che comprometterebbero la sua proiezione egemonica in Europa ed in Asia. Le ingerenze statunitensi, al fine di evitare questa pericolosa “intente”, si sono fatte viepiù aggressive, passando dallo stato gassoso delle pressioni economiche (inframmettenze negli accordi energetici per farli saltare, si pensi al South Stream) a quello solido della creazione di sacche d’instabilità (conflitto in Ucraina, nuove provocazioni in Transnistria, nei Balcani, nella zona Baltica) che stanno facendo ripiombare il vecchio continente in antiche dispute etniche e territoriali. L’equilibrio unipolare, garantito dallo strapotere americano dopo la caduta dell’Urss, viene oggi messo in discussione da nuovi poli di potenza, riemergenti o emergenti, come Mosca e Pechino, che puntano ad essere egemonici nelle rispettive aree di pertinenza. Questa aspirazione regionalistica dei due giganti concorrenti di Washington si scontra con i piani americani orientati a consolidare la funzione di perno dell’equilibrio generale mantenuta dagli Usa per più di 50 anni, dapprima sui paesi del blocco Atlantico originario e poi estesa anche su quelli del Patto di Varsavia ed ex sovietici. Come ha scritto recentemente un analista filo-americano su Libero, Carlo Pelanda, “Washington non vuole la Russia in un mercato integrato europeo perché teme un accordo euroasiatico Berlino-Mosca esteso alla Cina, che renderebbe l’America irrilevante: motivo per cui vuole la frizione con la Russia e che gli europei abbiano paura di Mosca affinché restino nell’alleanza atlantica”. Questa situazione, tuttavia, non può essere risolta, come scrive Pelanda, includendo Mosca in un asse occidentale che vada dalla sponda americana dell’Atlantico fino a Vladivostok, in funzione anticinese. Si tratta di una prospettiva irrealistica costruita su due errori di valutazione. Il primo abbaglio consiste nel sostenere che la Cina sia l’effettivo pericolo imminente in quanto avrebbe sopravanzato gli Usa in termini di Pil (a parità di potere d’acquisto), conquistando anche il suo debito estero. In realtà, gli statunitensi mantengono un primato economico, dato dalla loro superiorità tecnologica in tutte le industrie di punta (compresa quella militare), ancora irraggiungibile per chiunque. In second’ordine, la Cina potrebbe, certo, ritirare il suo sostegno finanziario agli Usa ma rimarrebbe con un pugno di carte in mano, danneggiando così solo se stessa. Agli americani basterebbe svalutare il dollaro per depotenziare qualsiasi iniziativa cinese in tal senso. La seconda svista è, invece, di tipo storico-politico. La Russia, come scrive Kissinger, ha un suo “ritmo” particolare, in politica estera, che non è accordabile a quello americano. Essa “… ha svolto un ruolo unico negli affari internazionali, facendo parte dell’equilibrio di potere sia in Europa sia in Asia, ma contribuendo solo occasionalmente alla stabilità dell’ordine internazionale. Ha intrapreso più guerre di qualunque altra grande potenza contemporanea, ma ha anche contrastato il dominio dell’Europa da parte di un’unica potenza, resistendo strenuamente a Carlo XII di Svezia, a Napoleone e a Hitler quando elementi chiave dell’equilibrio continentale erano stati annientati. La sua politica ha seguito nei secoli un proprio ritmo speciale, caratterizzato da un’espansione su un vasto territorio comprendente quasi ogni clima e civiltà, interrotta ogni tanto per qualche tempo dall’esigenza di adeguare la sua struttura interna alla vastità dell’impresa, solo per poi riprendere, come la marea che avanza sulla spiaggia. Da Pietro il Grande a Vladimir Putin le circostanze sono cambiate, ma il ritmo è rimasto straordinariamente costante”. In sostanza, sono le dinamiche epocali oggettive, in una fase di depotenziamento del centro regolatore americano sugli assetti globali, a fare dei due paesi due contendenti diretti e irriducibili. Un recupero di sovranità e di aspirazioni non subalterne di Mosca coincide immediatamente con una sfida all’ordine esistente, governato da oltreoceano. Non vi è sintesi possibile tra Usa e Russia in queste circostanze. Ciò che, invece, diventa possibilissimo, senonché auspicabile, è un avvicinamento delle posizioni tra Russia ed Europa, laddove però anche quest’ultima intraprenda finalmente un cammino di indipendenza da Washington, a garanzia della propria sicurezza e dei propri interessi vitali. Putin, sul punto, è stato chiaro. Il Cremlino pretende la creazione di relazioni non opportunistiche con Bruxelles, da fondarsi su presupposti politici piuttosto che meramente commerciali. Quest’ultimi, se non puntellati da una superiore volontà strategica, si dissolvono sotto le interferenze di terzi. Il Presidente russo ha dichiarato, in una intervista al Corriere, di avere l’impressione che: “sia l’Europa a cercare di costruire con noi rapporti puramente su base materiale ed esclusivamente a proprio favore. Parlo per esempio dell’energia, dell’accesso sui mercati europei negato alle nostre merci nel campo nucleare, nonostante i tanti accordi. Oppure della riluttanza a riconoscere la legittimità delle nostre azioni e a collaborare con le unioni di integrazione nello spazio post-sovietico.”
Occorre capire che la storia non è finita nel 1989, essa è nuovamente in marcia dopo la sbornia monopolare statunitense, seguita al crollo dell’Unione Sovietica, che aveva ingannevolmente promesso di portare gli stati all’interno di un governo mondiale pacificato, al di là delle divisioni ideologiche (la globalizzazione era,appunto, il raddoppiamento idealistico dietro il quale agivano i vincitori statunitensi divenuti predominanti) . Come indica La Grassa, quando una situazione di equilibrio (apparente) s’infrange cadono tutte le illusioni che lo hanno sorretto e “si mettono quindi in moto forze contrastanti, che spingono ogni soggetto ad adottare misure per accentuare la propria prevalenza o per recuperare le posizioni perdute…In campo sociale, l’equilibrio (sempre apparente e celante le spinte e vibrazioni squilibranti) è generalmente favorito dalla vittoria di un gruppo di decisori – che non è affatto detto debba essere stato in origine un gruppo dominante, anzi può avere rovesciato quest’ultimo – alla fine di un periodo di forte accentuazione delle suddette spinte, periodo che indico come policentrico, quale fu ad esempio l’epoca detta dell’imperialismo (in quanto conflitto tra quegli agenti definiti potenze). In ogni caso, solo la vittoria di un gruppo di decisori nella lotta per la supremazia tende a stabilire il presunto equilibrio; per il semplice motivo che le varie forze squilibranti si dispongono secondo una serie di spinte integrantisi reciprocamente.”
Questo è il panorama caotico dei nostri giorni, in assenza di un centro regolatore abbastanza forte da imporre a tutti la sua preminenza. Non è una lotta tra bene e male, è, invece, un fatto di conflittualità geopolitica concreta che non verrà risolta con i buoni sentimenti ma con uno scontro agguerrito, prima più blando poi più profondo, tra portatori soggettivi collettivi (nazioni ed aree) di queste inarrestabili dinamiche oggettive. In tale situazione di riconfigurazione dei rapporti di forza mondiali, se si resta privi visione strategica si finisce stritolati dagli eventi. E’ quello che sta accadendo alla nostra Europa conservativa, succube degli Usa ed ancorata ad un mondo in via di sparizione.