QUALCHE RICORDO PERSONALE, di GLG

gianfranco

 

 

Quando mi diplomai in enologia, per ben cinque anni lavorai nell’industria paterna del settore del vermut, marsala, aperitivi e poi prosecco, ecc. Solo dopo realizzai il mio desiderio di seguire una carriera che mi consentisse di studiare ed esprimere le mie effettive predisposizioni: teoriche più che del sapere pratico. Così da ricco (molto ricco) imprenditore diventai un appena discretamente agiato prof. universitario. Non è però questo l’interessante. Nei cinque anni di lavoro nell’industria seguii spesso mio padre, rimasto sempre coerente con il suo passato di seguace dell’“infausto ventennio”, a Roma nei Ministeri dell’Agricoltura e dell’Industria e Commercio per motivi attinenti alla sua attività di industriale in un settore attinente all’agricoltura. Frequentai così personaggi dell’amministrazione statale a livelli gerarchici piuttosto elevati. Molti conoscevano mio padre dagli anni ’30, lo salutavano e abbracciavano come “camerata”. Poi a cena con loro, in quelle belle dimore romane in cui abitavano, dovevo assistere ai loro ricordi di un “tempo felice”. Ed io già dal 1953 (un anno prima di diplomarmi) mi ero avvicinato al Pci; non avevo la tessera, ma frequentavo gli organi dirigenti provinciali, partecipavo ai congressi (senza diritto di voto ovviamente) e alle loro discussioni (altro che le cretinate dei dirigenti piddini che leggo oggi). A livello provinciale del Pci di allora incontravi cervelli che oggi non trovi nel Pd nemmeno a Roma!

Beh, in definitiva, più tardi, rivolgendomi ad un esponente Pci piuttosto importante (anche facente parte a suo tempo dei governi di unità nazionale dell’immediato dopoguerra), gli chiesi come mai, una volta caduto un regime e avendo creato ben altri governi, non avessero imposto, fin da subito, un cambiamento dei personaggi occupanti le poltrone direzionali negli apparati statali afferenti ai vari Ministeri. Mi guardò con un sorrisetto ironico e mi rispose (non ricordo le esatte parole, ma il senso era precisamente questo): “se li avessimo cambiati con i ‘nostri’, sarebbe accaduto un bel disastro. Quelli erano assai capaci e sapevano il loro mestiere. Ne hanno approfittato, si sono fatti bei gruzzoli, ecc. (ed infatti ricordavo bene, lo ripeto, le loro abitazioni nei magnifici palazzi romani), ma facevano funzionare bene gli organi da loro diretti”.

Posso assicurare che sapevo già questa risposta, volevo solo assicurarmi di aver visto giusto quando andavo a Roma con mio padre. Perché avevo conosciuto certi dirigenti ministeriali di cui ti rendevi conto facilmente di quanto sapessero fare. Appena più tardi, conobbi anche personaggi del Pcus (comunisti sovietici) che erano assai giovani all’epoca della rivoluzione d’ottobre e degli anni immediatamente successivi. E dalle discussioni con loro (più complicate, magari con interpreti, ma alcuni masticavano un po’ d’italiano), imparai che anche i bolscevichi (Lenin in testa) avevano compiuto una vera rivoluzione, distrutto tutto il vecchio sistema politico, eppure mantenuto in servizio (certo con i “fucili degli operai alle spalle” secondo la vulgata di allora) molti burocrati dei vecchi apparati zaristi; appunto perché sapevano come si dirigono certi servizi che la “grande rivoluzione” non può cambiare in un fiat senza combinare disastri immani e provocare un disfunzionamento mortificatore dei migliori propositi rivoluzionari. Ho imparato così come si fa politica; non secondo le chiacchiere insulse che leggo da alcuni anni in questo demenziale internet, dove alcuni scemarelli pensano si cambi il mondo solo con le idee.