QUANTO SIAMO IMPOTENTI E CIONONOSTANTE PRESUNTUOSI

LAGRA2

Gli esseri umani hanno sempre presunto d’essere gli artefici delle vicende che li riguardano. E ci sono sempre i grandi personaggi, cui si attribuiscono gli eventi più rilevanti e spesso di svolta nel precedente andamento della Storia. Se ad un certo punto si verificano accadimenti inattesi, non previsti, si fa allora appello al caso, perfino alla fortuna o sfortuna. Ci sono poi anche i credenti che pensano invece di aver commesso qualche grave peccato per cui subiscono la punizione che deve spingerli al pentimento. Nessuno nega che gli avvenimenti debbano trovare dei “soggetti” che ne siano i portatori. Ma in definitiva solo portatori, i quali tanto più daranno un qualche contributo all’evento quanto più saranno consapevoli di essere coinvolti in un ben diverso processo rispetto a quello pensato come prodotto della loro geniale attività. La “realtà”, in cui siamo “immersi”, è un flusso informe, caotico, squilibrante. Dobbiamo muoverci in esso ben sapendo che non potremo mai cogliere la sua “verità” perché se ci lasciamo trascinare nel bel mezzo di quel tumulto disordinato, ne saremo semplicemente travolti senza più poter perseguire una qualsiasi finalità utile e perfino necessaria alla nostra esistenza.

Per poter vivere e agire il nostro pensiero deve fissare dei campi di stabilità, certamente per punti sommari, in modo da poterci muovere all’interno di questi campi in un certo senso somiglianti a delle mappe, che fissano per più o meno lunghi tempi il territorio in continua evoluzione. Costruiamo la loro dinamica di mutamento attraverso una cinematica, cioè come si fa nei film. Una serie di fotogrammi sempre più ravvicinati fra loro; dai primi “film di Ridolini” a quelli odierni si arriva ad una riproduzione che ci riempie di soddisfazione (quella che, nella vita quotidiana, ci fa cambiare continuamente apparecchio televisivo sempre più dotato di “esatta riproduzione della realtà” per punti, per pixel!). Questa è per noi la realtà: i rapporti tra i punti e le parti da essi configurate vengono spesso riprodotti in formule, grafici, ecc.; ma anche, come appena detto, in movimento tramite la successione rapidissima delle successive fotografie. E noi siamo contentiadesso nulla ci è ignoto, il futuro è la prosecuzione di quella sequenza ormai fissata.

Poi però, ad un certo punto, entriamo in ambasce perché accade qualcosa di imprevisto. Ma non può essere! Appunto: o siamo puniti per nostri gravi peccati, oppure sorge il sospetto che qualcosa sia sfuggito alla nostra accurata “fotografia” di quella realtà. Si pensa allora di migliorare ulteriormente questa“fotografia”; e per quando riguarda la sua dinamica evolutiva, ci si sforza di rilevare i punti successivi (di quella che è in effetti una cinematica) eliminando il più possibile gli spazi (e i tempi) vuoti tra l’uno e l’altro. Alla fine siamo convinti di poterci infine rilassare; tutto adesso andrà bene, “la riproduzione del concreto” (come disse pure Marx) è pressoché perfetta. No, nient’affatto,continuano a prodursi eventi “strani”, assolutamente capricciosi e bizzosi. Come mai?

Fin quando, nella successione degli eventi in una fase (o epoca) storica, agisce una forza decisamente prevalente (ad es. una potenza predominante in quel contesto spaziale), si ha l’impressione che l’evoluzione di una data formazione sociale sia abbastanza (mai completamente) determinata dall’agire di quel “soggetto”. Il quale fissa sempre i suoi “campi di stabilità” per muoversi con ordine ed efficacia; sembra però in effetti che questi campi corrispondano alla “realtà” di quell’epoca storica. Ad un certo punto, tuttavia, si arriverà nella situazione in cui cominciano a notarsi discrepanze sempre più ampie, andamenti supposti erratici e casuali, eventi “fortuiti”; se siamo in grado di migliorare l’osservazione di quanto sta accadendo, ci accorgiamo che stanno emergendo altre forze con altri campi di stabilità e altre azioni, altre sequenze di mosse per muoversi in quello stesso contesto. E malgrado si cianci, per un certo periodo di tempo, della necessità di collaborare tutti insieme, sempre più ci si troverà in situazioni di crescente reciproca irritazione: la sensazione di ogni “soggetto” è che qualcun altro stia barando, voglia raggirarlo per poi meglio aggredirlo! Ogni “soggetto” (ogni nuova forza in crescita) la pensa così; è convinto che sia l’altro in torto alterando il precedente equilibrio (solo presunto), che in realtà era basato sulla predominanza di uno dei “soggetti” in campo.

L’emergere di più forze ha soltanto posto in chiara evidenza, e lo andrà ormai mettendo sempre più in luce, che il “campo” (o i vari “campi”) di stabilità – fissato(i) mediante teorie via via più “raffinate” in strumentazione analitica impiegata e perfino supportate da accurate ricerche (statistiche) sul campo” in oggetto – ha solo creduto di immobilizzare il continuo flusso squilibrante, disordinato, che è in realtà irriproducibile tramite il pensiero detto logico (deterministico o probabilistico poco importa in tal caso). E’ questo flusso a mettere infine in crisi i “campi di stabilità” dei vari “soggetti”, la cui unica funzione, quando vanno moltiplicandosi, è quella di far risaltare che il flusso in questione non si acquieterà mai. E saremo sempre costretti, di periodo in periodo, di fase in fase, di epoca in epoca, ad attraversare quelle che avvertiamo sovente come tragedie.

Tuttavia, non vogliamo accettare questa “realtà”, vogliamo pensare che essa sia frutto delle nostre malvagie azioni. Alcuni credono che basterebbe cooperare o addirittura volersi bene, riscoprire l’“umanità” dei sentimenti; realmente esistenti, sia chiaro, giacché non sono sempre ipocrisia e finzione di “soggetti” malintenzionati. Tuttavia, fanno quasi più danni gli “amorevoli” in buona fede degli altri, perché sono i più tetragoni e testardi nel non voler riconoscere che “qualcosa” deteriora “oggettivamente” i rapporti tra individui e gruppi sociali e spinge necessariamente a dover affrontare un conflitto (talvolta assai drammatico). Gli ipocriti non capiscono da dove derivi lo sconvolgimento dei presunti “equilibri”: non hanno consapevolezza del flusso squilibrante e informe, pensano ancora alla possibilità di stabilizzare dei campi attraverso il rafforzamento loro e l’indebolimento dell’avversario (trattato a volte da cooperante o alleato soltanto per raggirarlo e/o sottometterlo). Quelli in buona fede semplicemente non capiscono più nulla, continuano a credere all’esistenza del vecchio “campo di stabilità” con il suo equilibrio ormai tramontato da un pezzo; e provocano così ritardi nella presa di coscienza di ciò che accade con inevitabile accentuazione dei peggiori aspetti della tragedia, quando essa arriva.

Ci sono però anche altri “soggetti” che inseguono scopi diversi, che afferrano in parte l’inevitabilità del conflitto. Tuttavia, anch’essi non colgono a fondo la realtà del flusso squilibrante che sempre ci porrà infine – coadiuvato dalla formazione di più “campi di stabilità” da parte di forze diverse – in conflitto insanabile. Costoro sono invece convinti che il conflitto dipenda esclusivamente dal fatto che un gruppo sociale (minoritario) ha preso la predominanza nella società e schiaccia la maggioranza; quando questa si ribellerà, si potrà giungere infine ad una pacificazione generale e soddisfacente per tutti. Che si gridi “liberté, égalité, fraternité” o si inneggi alla vittoria dei “produttori associati e cooperanti” contro coloro che si sono appropriati, o impossessati del controllo, dei mezzi di produzione, sempre si pensa di riuscire a dare infine vita alla società degli eguali privi di contrasti fondamentali fra loro. E invece, al termine della rivoluzione francese come di quella sovietica, ci si è trovati con nuovi gruppi dominanti. C’è chi grida allora al tradimento degli ideali rivoluzionari, chi inveisce contro una maligna natura umana, chi insiste nel credere che il nuovo gruppo dominante sia solo un’avanguardia in grado di portare tutti all’eguaglianza tramite un adeguato sviluppo di quella forma di associazione; e altre illusioni che nemmeno elenco tanto sono numerose e piene di sfaccettature diverse.

Il gruppo detto dominante è semplicemente quello che andrà formulando un nuovo “campo di stabilità”, temporaneamente adeguato dopo il tracollo del vecchio; e dunque fisserà una pausa, un “attimo di respiro non affannoso” ad esseri umani immersi nel flusso squilibrante, che prima o poi logorerà anche “quella novità”. Intanto, però, una pausa ci vuole, non si può agire senza consolidare la nuova situazione creatasi. Ecco perché al “giacobinismo” – il momento più alto del fervore rivoluzionario che rovescia l’ordine preesistente, momento in cui fioriscono comunque alti ideali e idee nuove, ecc. – segue il “termidoro”, che cerca di stabilizzare il “nuovo campo. Sembra si torni indietro, ma alla fine, pur nello spegnimento degli entusiasmi e nel venire a galla degli ipocriti e mentitori, si giunge nei fatti ad una nuova situazione, che si pensa subito come stabile e duratura.

Non è così, non è mai così. Senza dubbio il nuovo ordine è diverso dal precedente, molto spesso è effettivamente migliore. Tuttavia, si commette sempre l’errore di crederlo ormai al riparo da nuovi sconvolgimenti. Invece il flusso continua a scorrere e prepara altre fasi, altre epoche. E il pensiero umano sarà sempre in ritardo nel cercare nuovi “campi di stabilità” quando i vecchi sono logori. Questa, appunto, la meschinità dei tempi odierni. Non sappiamo come pensare il nuovo. E “le mort saisit le vif”. Anzi l’ha già trascinato a fondo, nel regno dei “morti viventi”.

Cerchiamo di capire la questione fondamentale: mai cesserà il conflitto, per certi periodi attenuato e pensato come accordo generale tra i vari soggetti sociali. E’ solo questione di tempo, più o meno lungo; alla fine il flusso caotico imporrà nuovamente i suoi ritmi. E bisogna dunque capire che il conflitto – smorzato in date epoche, acuto in altre – non cesserà mai finché c’è vita. E non sto parlando solo della vita animale e vegetale (che al momento conosciamo solo sulla Terra), ma di quella che permea l’intero fluire della materia nel Cosmo. C’è un altro mondo, in cui non esiste più la materia che conosciamo, ma è invece popolato da quelle “anime” che pensiamo alberghino nei corpi umani dalla nascita alla morte? Non fa parte delle mie credenze; ma anche quelli che ci credono (e che rispetto), capiscano che tutto è allora rinviato “a dopo”. In questo mondo, in cui viviamo con la nostra materialità, non si potrà mai eliminare il conflitto: a volte attenuato, a volte in esplosione. La vita di questo mondo è conflitto, è lotta, è costruzione e disfacimento, elevazione e sprofondamento, ecc.

Mettiamocelo bene in testa e non sogniamo inutili amori collettivi e una “finale” epoca della storia di mutua, costante cooperazione fra gli esseri umani. E allora capiamo pure alcune questioni fondamentali. La storia evolutiva della società umana – che è tale anche per merito del “plusprodotto” – non dipende da “grandi personaggi”; questi diventano grandi in determinate e specifiche contingenze dell’evoluzione del conflitto. E se devono essere grandi, e metterci quindi qualcosa della loro soggettiva personalità, è necessaria la loro decisione di compiere mosse che hanno sempre qualcosa di violento e di non molto “idealmente” elevato; semmai, più spesso, feroce e crudele. Se prevalgono, verranno cantati come eroi e forgiatori di una nuova epoca; gli sconfitti saranno malvagi, perfino dei mostri. Serviranno come esempio negativo. Mai dei cretini (come tanti storici per non parlare dei “comuni mortali”) capiranno che la negatività, come la positività, dei “grandi personaggi” vanno valutate in base all’analisi delle situazioni oggettive in cui viene a trovarsi una società nei vari momenti della sua evoluzione storica.

Lasciamo i dementi alle loro elucubrazioni e riprendiamo appunto l’analisi oggettiva delle fasi di stabilità che necessariamente le forze in conflitto debbono “costruire” per muoversi con un minimo di ordine ed efficacia delle proprie azioni. Dobbiamo però rassegnarci al continuo arrivo di “correnti” che sconvolgono l’apparente ordine, riacutizzano i conflitti e pongono in mora le precedenti analisi pur “oggettive”. Teniamo sempre presente che non c’è vita alcuna senza il conflitto; e che ogni pur necessaria costruzione della stabilità – senza cui saremmo solo travolti e annegati nel flusso caotico della realtà – non potrà mai eliminarlo. Solo quando l’evoluzione del Cosmo sarà arrivata – come si presume, se non erro, secondo lo stato attuale delle nostre conoscenze – alla sua fine, finirà il conflitto;perché finirà ogni movimento purchessia. Un unico gigantesco “cadavere”; e come verrà seppellito? Mi è concesso di disinteressarmi di questo problema?