QUELLO CHE MARX HA VERAMENTE DETTO E NON SI E’ REALIZZATO (ESTRATTI DI UN LIBRO ELETTRONICO IN PREPARAZIONE)

Karl-Marx

IN CERCA DEL TITOLO, di GLG

 

Assieme a Petrosillo sto costruendo un libro che dovrebbe uscire a settembre in edizione elettronica con Amazon. La parte centrale di questo volume è la stesura del seminario sul pensiero di Marx da me tenuto circa un anno fa a Conegliano. Vi saranno poi alcune appendici; sia mie che di Petrosillo. E’ la seconda volta che tentiamo la via elettronica. Tra il blog Conflitti e Strategie, la pagina di questo e la mia in Facebook, vengono a conoscenza della pubblicazione alcune migliaia di persone. Inoltre, si spera che gli “amici” facciano un po’ di pubblicità. Non dico tanto, ma almeno un paio di centinaia di copie di questo testo dovrebbe essere acquistato. Se accadrà invece come l’altra volta, invierò una devastante maledizione che colpirà duro gli “assenti”.

Intanto, per conoscenza e pubblicità, metto qui di seguito gli ultimi paragrafi dello scritto principale.

 

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13. Naturalmente, quanto sostenuto pur succintamente in questo testo richiederà ampi sforzi di revisione: storica innanzitutto e con riflessi rilevanti sul piano teorico. Dopo aver aderito a lungo all’impostazione marxiana in accezioni mai strettamente ortodosse – importante è stata per me l’esperienza althusseriana, pur essa seguita in modo non pedissequo – ho alla fine, e già da tempo, proposto una mossa che indubbiamente rappresenta la sostanziale uscita da essa. In Marx, lo ribadisco, è fondamentale la sfera produttiva quale base (detta appunto economica) della società. I rapporti sociali decisivi sono quelli di produzione.

Nelle versioni più ortodosse, e assai meschinamente economicistiche, venne assegnata la prevalenza allo sviluppo delle forze produttive – in particolare quelle oggettive, specialmente di carattere tecnico – che avrebbero determinato l’affermarsi dei suddetti rapporti sociali di produzione nelle differenti epoche storiche. Il primo strappo, soprattutto althusseriano, a simile impoverimento del pensiero di Marx fu compiuto attribuendo la priorità alla trasformazione dei rapporti sociali. E’ indubbio però che, in ogni caso, il nucleo centrale della struttura sociale è, nella concezione marxiana, la proprietà in quanto potere di disposizione dei mezzi produttivi. La divisione in classi – da cui consegue la loro lotta, fulcro della storia in quanto appunto “storia di lotte di classi” – è analizzata sulla base di detta proprietà; da cui poi discende tutto il resto che abbiamo illustrato in questo scritto.

Simile concezione contiene un errore decisivo, fonte poi di tutti gli altri commessi per ben oltre un secolo nell’interpretare gli avvenimenti susseguitisi nello svolgimento storico. Quest’ultimo non è per l’essenziale caratterizzato dalle lotte tra gruppi sociali posti in verticale. Non almeno nel senso di una lotta con effetti rivoluzionari, trasformativi delle diverse formazioni sociali nelle successive epoche storiche. In questo senso, non c’è stato alcun rovesciamento rivoluzionario prodotto dagli schiavi in lotta contro la classe supposta “dialetticamente” contrapposta; non c’è stato alcun rivoluzionamento provocato dai servi della gleba in lotta contro i feudatari; e, malgrado le incredibili falsificazioni perpetrate a proposito, non c’è stato alcun mutamento rivoluzionario ottenuto dagli operai in lotta con i capitalisti. Niente più invenzioni ideologiche di tal fatta, ormai ampiamente superate. Mai è esistito il comunismo, nemmeno per piccole oasi; e mai è esistita una società in cui fosse in atto un’effettiva “costruzione del socialismo”. In questo senso, dalla revisione teorica deve conseguire una immane opera di reinterpretazione di tutto quello che è stato chiamato “movimento operaio” e, in speciale modo, dell’intera storia nel XX secolo. E va soprattutto dimenticato tutto il chiacchierare sul “secolo breve” di Hobsbawm, persona onestissima per carità, ma che ha preso, come si dice in termini popolareschi, “Roma per Toma”.

La storia è storia di conflitti tra gruppi sociali in orizzontale. Tutti gli intellettuali postisi in posizione adorante dei diseredati e oppressi inorridiscono di fronte a questa banale verità. Urlano che si dimenticano i dominati, che si riduce la storia a lotta tra dominanti. Non riescono a uscire dalle loro fantasmagorie che hanno provocato danni inenarrabili per centocinquant’anni almeno. La lotta è tra gruppi sociali, in cui certamente esistono anche quelle che vengono chiamate masse.  Anzi, se guardiamo meglio a questi gruppi sociali, quando addivengono a scontri particolarmente virulenti, vediamo che sono in modo più o meno pregnante strutturati secondo diversi strati “di autorità”; con la chiara visione, però, che gli strati alti sono più ristretti e vanno allargandosi verso il basso. In poche parole, quando si arriva ad autentici conflitti significativi per la trasformazione dei vigenti rapporti sociali (non semplicemente “di produzione”!), si nota che lo scontro avviene tra gruppi sociali in qualche modo somiglianti ad eserciti; con tutti i loro “gradi”, dai più elevati fino a quelli della truppa e passando per una gerarchia intermedia.

Nella lotta i sedicenti dominati sono senz’altro coinvolti – e vi sono spesso notevoli movimenti di ascensione dai gradi bassi della gerarchia verso gli alti – ma resta il fatto che lo scontro è in orizzontale tra gruppi sociali variamente organizzati e strutturati. Gli intellettuali che predicano per i diseredati sono troppo spesso falsi e ipocriti; “amano” tanto il popolo perché cercano di avere un seguito che consenta loro di conquistare posizioni preminenti, di occupare i gradi alti dell’“esercito”. Essi hanno procurato tanto male con le loro chiacchiere, frutto di vanità e sfrenata ambizione di emergere. E coloro che più “amano il popolo” hanno dimostrato – il ’68 e seguenti ne è stata una dimostrazione preclara – di essere i meglio pagati da quelli da loro indicati come dominanti. Li troviamo ancora oggi a blaterare nei media, fingendo d’essere i maggiori avversari proprio di quei dominanti cui si sono venduti dopo pochissimi anni di confusa e fasulla rivolta (tuttavia, molto dolorosa e anche intrisa di sangue).

14. Possiamo avviarci alle conclusioni. Alla proprietà o meno dei mezzi di produzione bisogna intanto, quale mossa iniziale, sostituire la politica in quanto conflitto in orizzontale tra gruppi sociali, spesso strutturati secondo una data gerarchia, essenziale per il conseguimento del successo; dal conflitto in oggetto consegue l’importanza decisiva da attribuire all’analisi delle sequenze strategiche da questi gruppi svolte. Naturalmente, una simile mossa (teorica) mette in mora i vari discorsi sullo sbocco finale del processo nel socialismo e comunismo. Nessuna sicurezza sui risultati ultimi di una storia di cui non si conosce proprio per nulla lo svolgimento nei prossimi secoli; e nemmeno nei prossimi decenni. Siamo solo in grado azzardare ipotesi, che vanno continuamente verificate e ripensate. Basta con le fandonie propalate da scadenti “affabulatori”. A coloro che parlano di comunismo o anche semplicemente di maggiore giustizia, spirito comunitario e altre fantasie, si voltino le spalle ignorandoli; hanno già conseguito tutto il meglio possibile con le varie carriere in tutti gli ambiti di vertice di questa società contro cui essi inveiscono, ridendo alle spalle dei poveri gonzi che credono loro.

Non insisto qui nel parlare del conflitto strategico, cui ho dedicato articoli vari e libri negli ultimi due decenni, con accelerazione della svolta in particolare negli ultimi dieci-dodici anni. Ricordo solo che si esige pure una riconsiderazione della “realtà” da analizzare e del pensiero teorico come specifica pratica d’indagine indispensabile per poi impegnarsi nella vera e propria azione, strategica, nei più diversi ambiti del vissuto. In effetti, il limite da cui è affetta ancora la tesi del conflitto tra strategie per conseguire una supremazia è il suo sostanziale intersoggettivismo. Intendo dire che, una volta indagato ogni determinato conflitto e formulate le ipotesi relative al suo andamento, ne consegue che l’esito dello stesso sembra essere il semplice risultato della reciproca lotta tra le diverse forze in campo.

In effetti, ciò non mi soddisfa. E’ indubbio che la tesi marxiana relativa alla decisività delle diverse forme di proprietà dei mezzi produttivi, pur nella sua rozza schematicità, ne faceva il risultato di un dato processo storico di transizione tra differenti formazioni sociali, processo cui le presunte classi in lotta, ridotte fondamentalmente a due (in base appunto alla proprietà o meno dei mezzi di produzione), dovevano in certo qual modo sottostare. Fallita quella teoria dopo le errate previsioni circa i movimenti storici in atto, in particolare nel XX secolo, la mossa relativa al conflitto strategico ne risulta più che motivata; tuttavia, essa ribalta ogni possibile oggettività ponendo in primo piano lo scontro tra le strategie di più gruppi sociali. A questo “difetto” si sta tentando di ovviare con il riferimento ad un diverso concetto di “realtà oggettiva”, di cui si trovano i primi rudimenti nel mio Tarzan vs Robinson, un libretto uscito di recente con le edizioni Piazza (Treviso) e forse di difficile reperibilità. In ogni caso, la ricerca è tuttora in atto e si sostanzierà di ulteriori studi e approfondimenti. Per il momento, mi fermerei proprio qui.