RIEN NE VA PLUS di G.P.

[Mi scuso, ma per mero errore questa mattina avevo inserito il file scritto di getto ieri sera e non quello successivamente corretto]

Ancora una volta il programma d’informazione di Rai Tre “Report” ha iniziato la sua programmazione rendendo un servizio pubblico lodevole con un’indagine sui fondi derivati e sul modo di agire, a dir poco truffaldino, delle principali banche italiane. Sono le cose che noi ripetiamo ormai da tempo circa la GF (la Grande Finanza) quella che rastrella denaro altrui per le proprie “funambolie” speculative. Nella rete delle banche non cadono soltanto singoli cittadini e imprenditori, convinti di mettersi al riparo dal rialzo dei tassi d’interesse stipulando polizze che dovrebbero caricare sulla banca l’andamento altalenante del costo del denaro, ma anche gli enti pubblici locali e quelli regionali. Su quest’ultimo punto diremo alla fine dell’articolo perché, se è lecito pensare che un contribuente isolato possa non avere le informazioni adeguate su tali prodotti fortemente a rischio, non è altrettanto lecito credere che un ente pubblico (il quale ha sempre un ufficio preposto al bilancio) non abbia un esperto con la capacità di districarsi in questa selva finanziaria. Partiamo dunque dal cappio al collo che le banche mettono agli imprenditori quando propongono loro prodotti di natura rischiosa, nascondendo sotto formule astruse la pericolosità dell’operazione. Gli intermediari finanziari che si recano dal piccolo imprenditore lo fanno inizialmente con le buone maniere, perorando la bontà del prodotto, facendo credere all’ignaro compratore di stare stipulando una polizza a suo beneficio che lo metterà in sicurezza rispetto all’andamento altalenante dei tassi. In realtà se l’imprenditore dovesse rifiutarsi e non cadere immediatamente nella trappola, la banca dà avvio a forme di “dissuasione” più performative paventando il rischio che l’istituto stesso possa giungere a cambiare il suo atteggiamento nei confronti delle complessive esigenze di finanziamento della ditta. Siccome l’imprenditore non può esporsi al deterioramento del suo rapporto privilegiato con quella banca alla fine è costretto a cedere, accettando persino di firmare un modulo nel quale sostiene di essere un esperto di alta finanza, capace di destrutturate il pacchetto acquistato e di valutarne le eventuali perdite in borsa. Fin qui l’adescamento, o meglio la forma velata di estorsione, perché tale è da definirsi il ricatto di una eventuale rottura del rapporto per strappare il consenso di qualcuno che non è in possesso di reali strumenti di valutazione dell’operazione. I problemi più grossi sorgono però in seguito. In primo luogo l’imprenditore che cede alle pressioni, convinto di poterne ottenere dei vantaggi, non sa di stare aderendo ad un acquisto che ha un costo implicito molto elevato, poiché come spiega un consulente finanziario indipendente  “il prodotto già inizialmente incorporava una perdita che chiaramente è stata trattenuta dalla banca”. In pratica un derivato ha una vita propria che non inizia con la sua vendita al cliente e la banca può lucrare facilmente tra il prezzo che ha fatto pagare all’impresa e il valore che il prodotto finanziario ha in quel momento. Cioè la banca ti dà immediatamente 10 euro, oppure il valore di 10 euro ripartito su due o tre anni, ben sapendo che dopo il quarto anno dovrai restituirgliene il doppio se non il triplo. Questo è quello che mi sembra di aver capito ma non essendo un esperto apprezzerei se qualcuno di voi intervenisse e supportasse (o correggesse) il tenore delle mie affermazioni. Ma non è tutto in quanto se l’imprenditore s’accorge che la fantomatica polizza da lui stipulata in realtà non lo mette al riparo da nulla, ma addirittura si trasforma in una idrovora che gli succhia risorse, può chiedere alla banca di chiudere il contratto. La stessa si presta immediatamente estinguendo per l’imprenditore il precedente contratto costringendolo però a sottoscriverne un altro (questo è l’ equity swap, la cui funzione, secondo il sito ufficiale di borsa italiana è “lo scambio di dividendi e guadagni in conto capitale su un indice azionario con un tasso fisso o variabile: è utilizzato soprattutto nell’industria del risparmio gestito, oltre che con finalità speculative. Come si può facilmente capire, lo swap è un istituzione estremamente flessibile e con la volontà delle parti può essere adattato ad una molteplicità di situazioni e prevedere l’intreccio di flussi finanziari calcolati nei modi più svariati; i contratti di cui abbiamo parlato, quindi non riguardano tutte le tipologie possibili, ma solo le più standardizzate e diffuse”) che alla lunga si palesa come nettamente peggiorativo, tanto che i debiti lievitano e qualcuno ci rimette persino l’attività. Tra le banche che più hanno fatto ricorso a tali forme di pseudo-polizze c’è L’Unicredit di Alessandro Profumo, la quale, a quanto pare, sta incorrendo in un miliardo di perdite, a causa della bolla sui derivati scoppiata qualche mese fa. Ma come si può ben capire le perdite non sono della Unicredit, la quale già dal solo piazzamento dei derivati alla propria clientela si è assicurata un grande lucro; chi ci ha perso sono quelle migliaia di risparmiatori e piccoli imprenditori a digiuno di finanza e d’informazioni sui cosiddetti prodotti finanziari strutturati. Ma non c’è qualcuno che dovrebbe controllare su tali operazioni finanziarie e sui ricatti messi in atto dalle banche? Domanda retorica, ovviamente, perché in genere sono le stesse banche d’affari che finanziano i controllori. Fin qui dunque la parte che riguarda i privati cittadini.

Ma passiamo ai derivati che le banche vendono a comuni e regioni. Stranamente gli amministratori che si assumono la responsabilità di acquistare tali prodotti, per avere a disposizione maggiore liquidità o per spalmare i propri debiti, sono apparsi all’oscuro della reale portata degli impegni presi nei confronti delle banche. In questo caso l’ignorantia finanziaria invocata da tali amministratori appare davvero fuori luogo. In pratica anche gli enti pubblici credono di acquistare, a costo zero, prodotti che hanno una perdita implicita molto forte per ottenere una liquidità immediata e uno spalmamento dei propri debiti lungo un arco temporale più lungo. Ma mentre le imprese private sono costrette a scrivere in bilancio quelli che, secondo le leggi della contabilità, devono essere considerati veri e propri debiti, per gli enti pubblici le cose vanno diversamente in quanto, come spiega Francesca Balzani – Assessore Bilancio Comune Di Genova, questi debiti non si segnalano perché sarebbe una scorrettezza, cioè sarebbe una segnalazione di un fatto che non corrisponde alla realtà”, ovvero può anche darsi che alla lunga il derivato porti un profitto al comune. Ma tale eventualità è reale? Dato l’andamento di mercato  di questi prodotti, fino ad ora, sono pochi quelli che ci hanno davvero guadagnato. Infine, segnaliamo il caso della Regione Campania dove la giunta Bassolino ha stipulato un contratto di questo tipo con l’UBS, banca dove lavora Bassolino junior, recentemente promosso responsabile del business con il settore pubblico italiano. E dove sennò!

Da questa operazione la regione Campania dovrebbe guadagnare “fino al 2014, per una cifra pari a circa 56 milioni di euro. Poi dal 2015 alla scadenza del contratto che è il 2021, registrerà una perdita di 126 milioni di euro”. E dopo? E’ probabile che il debito divenga una patata bollente per la nuova amministrazione che conquisterà il governo della regione. Ma se in carica dovessero restare gli attuali amministratori o i partiti attualmente al potere è chiaro che, dati i rapporti di “amicizia” tra ente e banca, il debito possa essere rinegoziato. In sostanza, dalle buone relazioni  tra le banche e i politici dipende la sopravvivenza finanziaria degli enti pubblici. Chi mi assicura che quando Bassolino non sarà più in sella alla regione la UBS vorrà aiutare il nuovo governatore?

E’ strano che, considerati i fatti raccontati,Giuseppe Mussari – Presidente Monte Dei Paschi Di Siena dica che “c’è un clima in questo paese sulle banche che è oggettivamente inaccettabile, e non è inaccettabile solo per chi pro tempore presiede una banca o per chi come Alessandro presiede un grandissimo gruppo, è inaccettabile per tutte quelle migliaia di persone che lavorano in banca e che sono stufe di essere considerate…la frase è dura, persone poco trasparenti nella loro generalità. E’ ora, come dire, di smetterla”. Ma dovreste smetterla voi di raggirare gli italiani! Come si dice, sarò dietrologico (ma non mi pare di non aver enunciato buone ragioni) eppure a pensar male quasi sempre ci si azzecca.