ROMPERE LA GABBIA DELL’UE, FUGGIRE DAL RECINTO ATLANTICO

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Se l’Europa è la nostra gabbia, il patto Atlantico è il recinto circondato dal filo spinato nel quale siamo tenuti prigionieri. Anche rompendo la stia ci ritroveremmo, ugualmente, in ambiente ostile. La fuga dal campo occidentale si dimostra davvero ardua eppure è l’unica possibilità di salvezza per i paesi del Vecchio Continente. Fuori dallo steccato si va incontro all’ignoto ed ai rischi dei nuovi orizzonti ma dentro v’è la certezza della dipendenza e della sottomissione. Gli americani, tuttavia, hanno vita semplice nel metterci gli uni contro gli altri nel pollaio europeo giocando sulle nostre contraddizioni. Nonostante la presenza del nemico, infiltrato nei nostri apparati e ad ogni altro livello, ci si pizzica tra vicini e consanguinei, ignorando la minaccia principale. E’ la morte dell’Europa per autofagia. La competizione tra troppi galli che si equivalgono ed ancor più numerosi cervelli di gallina che si prostrano è l’ecosistema ideale per perpetuare il vincolo di un cowboy esterno. L’Unione Europea è nata per garantire che questi presupposti non fossero mai messi in discussione. Ed, infatti, non lo sono. Se non bastasse leggete le confidenze di Varoufakis raccolte da Marcello Foa oggi: “Tre giorni dopo la sua nomina a ministro, il presidente dell’Eurogruppo con fare brusco gli ha intimato: o accetti tutte le nostre condizioni o chiudiamo le banche greche. Come avvenuto due anni prima a Cipro. Varoufakis si è rifiutato ma ben presto si è accorto che i nemici non erano solo a Bruxelles, ma anche in casa, nel suo ministero. Funzionari, che riferivano alla Troika quel che lui faceva. Sì, spie o se, preferite, traditori. Invisibili. Oltre a interi dipartimenti commissariati dagli “esperti” stranieri che di lui – ovvero del ministro eletto dal popolo – semplicemente si infischiavano. Pensate che negli altri Paesi europei sia diverso? Gli Stati si controllano occupando i gangli vitali nei ministeri, nei tribunali, nella Banca centrale, nei grandi enti sovranazionali, laddove l’influenza di alti funzionari, quasi sempre sconosciuti al pubblico, risulta superiore anche a quella di un premier. Non dimenticatelo”.

L’obiettivo statunitense è chiaro, lo ha manifestato senza “piume” sulla lingua il capo di Stratfor, agenzia dell’intelligence Usa, George Friedman quando ha detto che il governo degli Stati Uniti considera come proprio obiettivo strategico prioritario la prevenzione di una alleanza tedesco-russa (ancora più fatale per i predominanti attuali sarebbe un asse tedesco-franco-russo, ne abbiamo già parlato). Bloccare questa alleanza è l’unico modo per evitare la formazione una potenza di area mondiale alternativa agli Usa, capace di contendere ad essa un primato ora indiscusso. Se la forza economica tedesca si combinasse con gli arsenali russi si produrrebbe un mondo veramente bipolare. Gli Stati Uniti contro l’Eurasia. Gli attacchi ripetuti di alcuni membri europei alla Germania seguono questo copione scritto a Washington. Così come quelli contro Mosca. E’ la dimostrazione che i polli preferiscono beccare il mangime dalla mano che gli tirerà prima o dopo il collo piuttosto che azzannare quell’arto infido e provare a spiccare un salto liberatorio. Purtroppo, siamo così compromessi con l’invasore che la strategia di quest’ultimo ha gioco facile sui nostri piccoli cabotaggi tattici tramite i quali ci assicuriamo il galleggiamento, ignorando i vantaggi della grande navigazione in mare aperto. Difatti, dice ancora Friedman, come riportato da sputiniknews: “Gli Stati Uniti non sono l’unico paese che cerca di impedire il rafforzamento della cooperazione tra Mosca e Berlino. In Europa ci sono abbastanza paesi che si oppongono a tale unione, per esempio, tra gli avversari più ardenti ci sono Polonia e Francia.” Proprio Parigi si serve continuamente della serva Roma per bloccare le iniziative di Berlino dalle quali si sente danneggiata. Quando l’Italia ringhia contro la Germania c’è sempre qualcuno in Francia che ghigna. E l’America gongola. In ogni caso, lungi da noi sostenere che la Merkel sia una vittima della situazione, condividendo ella molte responsabilità dell’eurodisastro in atto. Però è, altresì, inevitabile che la Germania si difenda con gli strumenti in suo possesso dalla combriccola maldisposta di nazioni che, spalleggiate dalla Casa Bianca, la contestano ad ogni passo, negandole qualsiasi leadership.

Se l’Ue non svolta finirà malissimo. Il suo destino è ad un incrocio: o il coraggio di scegliere un percorso alternativo o la discesa verso l’insignificanza.