SIRIA E UCRAINA

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siriaSecondo il network emiratino Al Arabya, Usa e Russia avrebbero avuto un abboccamento sulla Siria, dopo quattro anni di guerra civile ed un numero impressionante di morti. Un “riavvicinamento” delle posizioni che dovrebbe includere la “riconciliazione” su altri scenari, come quello ucraino, da inserire in una possibile intesa tra i contendenti, raggiungendo dei risultati finora impensabili su due fronti distanti ma non scollegati. Putin dovrebbe offrire alla famiglia Assad un salvacondotto per Mosca in cambio della sua rinuncia alla guida del Paese. Il Cremlino, al contrario degli Stati Uniti, non ha mai abbandonato un alleato e non lo farà proprio ora, anche perché smentirebbe la sua precedente azione di intermediazione, in seguito alla quale, al fine di scongiurare un attacco statunitense su Damasco, propose, sotto la sua responsabilità, di smantellare l’arsenale chimico di Assad, com’è poi effettivamente avvenuto. Anche se quest’ultimo non potrà più essere sostenuto politicamente dalla Russia avrà salva la vita e non assisteremo a penose scene di rappresaglia in stile libico, come con il “povero” Gheddafi. I termini della negoziazione (ammesso che le fonti arabe siano affidabili) tra la Casa Bianca ed il Cremlino riguarderebbero due aspetti principali. In primo luogo, la formazione di un governo d’unità nazionale, sostenuto principalmente dalla maggioranza sunnita (¾ della popolazione), con garanzie di rappresentanza e d’influenza anche per le altre minoranze, compresa quella alawita, zoccolo duro dell’attuale regime siriano. Per la verità, gli alawiti, rimasti quasi da soli a fronteggiare i ribelli (in quanto drusi, cristiani e ismaeliti non si sono distinti per coraggio e volontà di resistenza), sono però diffidenti e temono un’ondata di vendette e ritorsioni nei loro confronti. Ne hanno ben donde in quanto hanno pagato il prezzo più alto e sostenuto il peso maggiore per tenere a galla Assad (solo a Tartus, nucleo geografico principale degli alawiti, ci sarebbero stati 70.000 uccisi in battaglia, 10.000 dispersi e 120.000 feriti. E le cifre non includono le altre forze lealiste di altra provenienza etnica). Tuttavia, secondo quanto riportato dall’agenzia statunitense Stratfor, anche questi attribuiscono al rais una strategia di guerra non adeguata, costata troppe vite nelle loro fila, e con risultati tutt’altro che entusiasmanti. Se questa diffidenza dovesse continuare a crescere Assad non avrebbe più le basi per mantenersi al potere (nonostante Iran e Russia continuino a coprirgli le spalle). Con metà del paese nelle mani dell’Isis (creato dagli Usa e finanziato dai suoi alleati nella Penisola arabica ed in Turchia) e l’altra metà sottoposta alle azioni di guerra di vari gruppi ribelli, in continua collisione tra loro (direttamente armati da alcuni Paesi Atlantici) riportare l’ordine è una mission impossible. Uscendo di scena lui, invece, i grandi artefici della macelleria siriana avrebbero una ragione in meno per continuare a destabilizzare questo Stato ed una in più per discutere dei futuri assetti della Siria, abbozzando delle linee di compromesso. Probabilmente, i russi, che conoscono la situazione sul campo, stanno scendendo a patti per mettere in sicurezza l’unica base estera che ancora posseggono da quelle parti, quella di Tartus, ed ottenere un allentamento delle pressioni occidentali in Ucraina. E questo sarebbe il secondo aspetto di tutta la faccenda. Si tratterebbe uno scambio interessante che toglierebbe le castagne dal fuoco anche all’Europa, sempre più preoccupata dallevolversi della situazione a Kiev e dintorni. Gli americani, che hanno faticato a tenere unita l’Ue sulla posizione filoucraina, sembrerebbero disposti ad accantonare le loro pretese nel Banderstan, pur di concludere qualcosa in Siria. Le geopolitica, in fondo, è questa, un’altra branca sporca della politica, da interpretarsi come insieme di mosse strategiche e tattiche sullo scacchiere internazionale, per raggiungere degli obiettivi, che solo occasionalmente sfociano nello scontro guerreggiato. Ed anche quando il ricorso alle armi risulta inevitabile, l’ultima parola, dopo cimiteri e rovine, spetta ad essa perché non si può pretendere sempre di annientare il nemico e bisogna, invece, accettare delle limitazioni e degli scambi in attesa di ulteriori sviluppi degli eventi. I rapporti di forza suggerirebbero a Putin di agire in questa maniera per rimettere ordine almeno nel suo estero prossimo.Non può ancora andare al muro contro muro con Obama.

Veniamo, dunque, all’Ucraina. La sedicente intesa tra Washington e Mosca, passerebbe da una riorganizzazione in senso federalista del Paese. Donetsk e Lugansk, pur restando formalmente sotto la sovranità di Kiev, avrebbero ampia autonomia ma regimi speciali sarebbero assicurati anche alle altre regioni in cui sono presenti grosse minoranze, e non solo russofone. L’indebolimento del governo centrale, costretto da Washington a varare la riforma, darebbe garanzie a tutte le parti. In pratica, si andrebbe verso la spartizione (seppur controllata e “costituzionale”) del Paese, come già accaduto in passato. L’unica alternativa a questa soluzione, quella della dichiarazione di neutralità ed equidistanza di Kiev, tanto da Mosca che da Ue e Usa, in stile Finlandia, è stata resa impraticabile dalla famigerata ATO (azione antiterroristica) nelle province dell’est. Del resto, si è già capito che, nonostante i proclami libertari, nessuno è veramente disponibile a morire per Kiev. Come scrive oggi il quotidiano Libero, l’Ucraina è al default: “Pil giù del 15%, servono altri 17,5miliardi di dollari dal Fmi. Poroshenko fa una legge per non pagare i debiti… Nei supermarket di Kiev i dolci non si vendono più a peso, ma a numero. «Così», spiega Olesia Verchenko, economista ma anche massaia, «l’inflazione fa meno paura». Eppure gli scaffali sono pieni di merce, magari a sconto: la pubblicità avverte che gli avocado, ad esempio, sono offerti con uno sconto del 25%. «Ma anche così costano più deldoppio di un anno fa», replica la signora Olesia,esperta di derivati oltre che di borsa della spesa. «A questi prezzi non si li può permettere quasi nessuno». Così come una tavoletta di cioccolato marca Roshen: un anno fa costava 80 hryvnia, la valuta locale.Oggi ce ne vogliono 203. Ancor più grave la situazione sanitaria: i farmaci, in meno di un anno, sono triplicati di prezzo mentre i salari,peri fortunati che hanno un lavoro (salariomedio 186 dollari) sono rimasti gli stessi”.
Insomma, un caos non dissimile da quello siriano, uno scenario di instabilità medio-orientale ma nel bel mezzo dell’Europa. Nonostante tutta la propaganda del regime degli oligarshenko, gli ucraini premono per un accordo con i ribelli filorussi. La retorica nazionalista non li ripaga dei figli che tornano in una bara. Secondo il Pew research center che ha pubblicato uno studio statistico intitolato “Nato Publics blame Russia for Ukranian Crisis, but Reclutant to provide military aid, june 2005” il 47% degli ucraini che vivono al di fuori del Donbas e della Crimea ritengono che “il modo migliore per risolvere il conflitto nella parte orientale è quello di negoziare un accordo con i ribelli e con la Russia. Circa un quarto (il 23%) preferirebbe usare la forza militare per combattere i separatisti, e il 19% dei volontari, opta per entrambe le cose o nessuna delle due. Gli ucraini dell’est sono più favorevoli ai negoziati rispetto a quelli dell’ovest (56% vs. 40%). Gli gli ucraini orientali che vivono più vicini alle zone di conflitto – oblast di Kharkiv, Dnipropetrovsk e Zaporizhzhya – sono i più desiderosi di un accordo (65%). C’è poi un disaccordo tra Ucraini sulle esatte condizioni alle quali gli oblast di Luhans’k e Donets’k dovrebbe rimanere parte dell’Ucraina. Circa la metà (51%) pensa che questi oblast dovrebbero avere lo stesso livello di autonomia dal governo di prima della crisi, mentre il 33% dice che dovrebbero avere una maggiore autorità regionale. Gli Ucraini dell’ovest che sostengono il ritorno alla situazione precedente la crisi sono il 61% quelli per la concessione di maggiore autonomia regionale sono il 27%. Gli ucraini dell’est sono divisi, mentre il 37% dichiara di preferire il precedente status quo, il 41% opta per una maggiore indipendenza. I residenti degli oblast di confine sono più favorevoli alla maggiore autonomia (45%) rispetto agli altri della zona orientale. Indipendentemente da queste divisioni regionali, non c’è molto sostegno per l’ipotesi che Luhans’k e Donets’k possano diventare Stati indipendenti (4%) o parte della Russia (2%). I russi, invece, preferirebbero che le regioni di Luhans’k e Donets’k non fossero più ucraine. Solo un terzo (32%) vorrebbe che tali regioni continuassero a far parte dell’Ucraina, sia come prima della crisi (11%) che con una maggiore autonomia da Kiev (21%). Ma il 35% vorrebbe che il Donbas diventasse indipendente e un ulteriore 24% le vorrebbe parte della Russia. I Russi non vogliono, inoltre, che l’Ucraina entri in Europa o nella Nato”. La ricerca, per motivi di sicurezza, non ha preso in considerazione le voci degli abitanti della Crimea, di Donetsk e di Lugansk.
Altre rilevazioni interessanti del rapporto riguardano il gradimento degli ucraini circa l’opera del governo e dei suoi leader. Majdan ha certamente peggiorato la crisi del paese ed i cittadini si dicono per lo più insoddisfatti del nuovo corso. “Oltre all’insoddisfazione per le condizioni economiche[i numeri sono impietosi perchè il paese è già fallito], gli Ucraini hanno scarsa fiducia nelle istituzioni, compresa la magistratura. La maggioranza disapprova il Presidente Petro Poroshenko, mentre solo un terzo ne approva l’azione. Il 60% è insoddisfatto del modo in cui il primo ministro Arseniy Yatsenyuk svolge il suo lavoro…L’unico punto luminoso per Poroshenko è l’Unione europea. La metà degli ucraini (52%) approva la gestione dei rapporti con l’UE, il 33% la disapprova.
Il governo di Kiev riceve anche lamentele per le libertà civili. La maggior parte degli
Ucraini (55%) crede che il governo non rispetti la libertà del suo popolo. Gli ucraini orientali sono più negativi sul governo nazionale rispetto a quelli quelli occidentali. Tuttavia, anche gli ucraini occidentali sono diventati sempre più critici verso Kiev negli ultimi 12 mesi. Più della metà (54%) nell’ovest dice che il governo nazionale sta avendo una cattiva influenza sul paese. Nel 2014, era solo il 28% a criticare i vertici statali mentre il 60% si diceva soddisfatto”.
C’è poco da aggiungere se non che la rivoluzione ucraina è fallita. Con o senza dati la percezione del quadro complessivo è quella di un’ecatombe sociale, politica, culturale ed economica. Bombardamenti, distruzione, odi territoriali ed etnici hanno fatto crollare una nazione che anche prima di Majdan viveva molte contraddizioni e difficoltà ma che, almeno, tirava a campare. Dopo essersi concessa all’Attila della Nato anche l’erba ha smesso di crescere in Ucraina. Entrando nell’Unione eurasiatica, che era a portata di mano, l’Ucraina avrebbe potuto svoltare. Putin aveva offerto tanti soldi senza grandi condizioni agli ucraini, al contrario del FMI che tende un dito agli sventurati per prendersi entrambe le braccia. Sono stati rifiutati da banditi assetati di potere e di affari che adesso scaricano sul popolo (il quale ha le sue buone responsabilità) loro errori ed orrori. Il destino di Kiev danza sull’orlo dell’abisso tra povertà, guerra, bieco nazionalismo e solite ruberie oligarchiche. Qualcosa è sì cambiato ma in peggio.