Solo bugie sul conflitto in Ucraina

Che l’Ucraina fosse una pedina e ostaggio degli interessi occidentali è cosa nota almeno dal golpe che nel 2014 portò alla cacciata di Yanukovic. Quel colpo di mano violento, attuato tramite piazze infiltrate e manipolate dai servizi segreti statunitensi ed europei, non esitò ad arruolare la teppaglia nazionalista e pseudonazista ucraina, nonostante da noi non si faccia altro che condannare simile gentaglia. Evidentemente solo a parole. L’operazione era in realtà solo l’ultimo tassello di un processo molto più lungo, iniziato già dopo la dichiarazione d’indipendenza dall’URSS, quando finte iniziative di sviluppo, condotte sia attraverso programmi statali che privati (ONG) vennero avviate nel Paese proprio per insinuarsi nella società e nella gioventù ucraina, coltivando l’amore per l’Occidente e il disprezzo per la propria storia precedente.
Già questo dovrebbe bastare a far capire che i vertici russi, dopo oltre trent’anni di ingerenze occidentali nella nazione vicina, erano perfettamente consapevoli che non ci sarebbe stata alcuna sollevazione popolare in loro favore e che la conquista dell’Ucraina in tre giorni, come sostengono i nostri media servili e al tempo stesso ignoranti e farabutti, era pura fantasia.
A ciò si aggiungano l’addestramento militare e la fornitura di armi ai vari governi di Kiev, che non sono certo cominciati con l’invasione del 2022. Vendere l’idea che Putin fosse convinto di rovesciare Zelensky in meno di una settimana è una barzelletta che solo media corrotti fino al midollo possono avere il coraggio di spacciare all’opinione pubblica.
La Russia, in realtà, aveva messo in conto non una guerra lampo (Blitzkrieg), ma una lunga e complessa “operazione speciale” (l’hanno chiamata così per questo), condotta con metodi differenti e con la necessità di evitare quello che invece sta compiendo il governo israeliano a Gaza contro i palestinesi. Come affermava Machiavelli, a volte si dichiarano guerre, soprattutto per interposta nazione da sacrificare senza remore, non per vincere, ma per testare la capacità di azione e di resistenza del nemico, perché il conflitto frontale non è sempre possibile né utile in particolari circostanze storiche.
L’Occidente ha così scoperto che la Russia può reggere da sola una sfida contro i Paesi NATO e i loro alleati. O meglio, non proprio da sola, perché il mondo non occidentale, oggi più vasto e organizzato, annovera nuove o riemergenti superpotenze che non possono più essere trattate da paria da un ordine mondiale ormai in relativa decadenza.
In questo contesto, è evidente che nessuno vuole davvero la pace: la Russia non ne ha bisogno, se non per consolidare il raggiungimento dei propri obiettivi minimi (che peraltro nessuno conosce con certezza, nonostante media e giornali fingano di saperlo, contribuendo più alla propaganda che all’informazione). Anche l’Occidente non ha alcun interesse a fermare il conflitto, finché può consumare risorse umane ucraine e costringere i russi a svenarsi. Non a caso, ogni volta che si avviano colloqui, l’Occidente organizza operazioni di disturbo, come gli attacchi con droni in Siberia o il sabotaggio del ponte di Kerch in Crimea a cui seguono ritorsioni più o meno violente di Mosca.
Probabilmente si giungerà a una sorta di tregua che congelerà la situazione. E scenari simili continueranno a moltiplicarsi nel mondo, fino a un nuovo scontro aperto, simile a una guerra mondiale. “Simile”, perché non possiamo sapere in che forma si presenterà questo conflitto: la storia insegna che ogni guerra globale è diversa dalla precedente. Basti pensare a come il volto della guerra sia cambiato radicalmente tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, nell’arco di poco più di vent’anni. Ora, dopo ottant’anni dall’ultimo grande conflitto, chissà cosa ci aspetta.
Fa sorridere, infine, chi paragona la resistenza ucraina alle lotte partigiane. Innanzitutto, i partigiani non facevano parte di un esercito regolare, a differenza dei soldati ucraini. In secondo luogo, né quella resistenza né questa, ammesso che esista, furono determinanti per le sorti finali della guerra. Le resistenze servono più a creare mitologie postume che a spostare davvero gli equilibri nei grandi conflitti. Ciò non toglie nulla al valore di uomini e gruppi che compirono e compiono azioni coraggiose anche contro forze soverchianti.
Ugualmente fanno sorridere quelli che affermano che ormai gli ucraini odiano i russi e non torneranno mai sotto quella che un tempo fu la loro madrepatria sovietica. Noi italiani siamo la prova vivente di quanto sia facile amare il nemico che ti ha bombardato, massacrato e sconfitto: oggi chiamiamo “liberatori” coloro che hanno vinto la guerra e che ancora occupano il nostro territorio con basi militari. Come scriveva il filosofo Rensi, i popoli tendono più a dimenticare che a ricordare, e quando ricordano, lo fanno spesso attraverso narrazioni o ricostruzioni false, utili in certi tempi al potere di determinati gruppi dirigenti, ma sempre più o meno menzognere o immaginifiche nella sostanza.