TENIAMOLI IN EVIDENZA


Riporto qui sotto due passi a mio avviso molto significativi (di Bourdieu e di Althusser). Non sono d’accordo su tutto quanto essi esprimono – in buona parte comunque lo sono – ma ritengo che siano da tenere sempre presenti nel proprio lavoro scientifico.(Giellegi)
Da Pierre Bourdieu, Risposte, parte I, La violenza simbolica:
“Il rifiuto di derogare mettendosi a studiare oggetti supposti inferiori o facendo uso di metodi ‘impuri’, quali possono essere l’indagine statistica o anche la semplice analisi storiografica di documenti, da sempre condannati come ‘riduzionistici’, ‘positivistici’ ecc., va di pari passo col rifiuto di immergersi nella contingenza delle cose storiche, che induce i filosofi più preoccupati della dignità connessa al loro statuto a ritornare sempre …..al pensiero più tradizionalmente ‘universale’ ed ‘eterno’. [ ] Ne è derivato un fenomeno che io ho chiamato l’effetto ‘-logia’, per designare gli sforzi compiuti dai filosofi nel tentativo di prendere a prestito metodi e apparenze della scientificità delle scienze sociali senza abbandonare lo statuto privilegiato del ‘filosofo’: penso alla semiologia letteraria di Barthes, all’archeologia di Foucault, alla grammatologia di Derrida, o al tentativo degli althusseriani di presentare una lettura ‘scientifica’ del testo di Marx, istituendolo come scienza misura di tutte le scienze, e come scienza autosufficiente e autonoma. [ ] Ritengo infatti che quando il discorso sulla pratica scientifica si sostituisce alla pratica scientifica stessa, sia assolutamente disastroso. La vera teoria è quella che si compie e scompare nel lavoro scientifico che essa ha consentito di produrre. Non mi piace la teoria che mostra se stessa, che si fa vedere, la teoria fatta per essere vista, per dar nell’occhio”.
E adesso da Althusser, Per Marx, Sul giovane Marx (ultima pagina):
“E se si è disposti a considerare la scoperta di Marx con un certo distacco, a considerare che egli fondò una nuova disciplina scientifica e che per forza questo inizio è analogo a tutte le grandi scoperte scientifiche, bisogna certo convenire che nessuna grande scoperta si è fatta senza che venisse messo in evidenza un nuovo oggetto o un nuovo regno, senza che apparisse un nuovo orizzonte di senso, una nuova terra da cui fossero banditi i vecchi simboli e i vecchi miti, ma al tempo stesso bisogna pure, ed è una necessità imprescindibile, che l’inventore di questo nuovo mondo abbia allenato lo spirito nelle vecchie forme, che le abbia apprese e praticate e, nella loro critica, abbia appreso il gusto e imparato l’arte di maneggiare forme astratte in generale, giacché senza la loro dimestichezza non avrebbe potuto concepirne di nuove per pensare il suo nuovo oggetto. Nel contesto generale dello sviluppo umano che rende per così dire urgente, se non inevitabile, ogni grande scoperta storica, l’individuo che se ne fa l’autore è soggetto a questa condizione paradossale di dover apprendere l’arte di dire ciò che scoprirà proprio nelle forme che deve dimenticare”.
Testi diversi l’uno dall’altro, eppure entrambi indicatori di quello che dovrebbe essere un giusto atteggiamento di fronte al duro lavoro di analisi e riflessione, e non di elucubrazione su temi “universali” ed “eterni”, i temi della “Verità” cui credono di accedere certi filosofi; a volte comunque profondi e stimolanti, spesso un po’ supponenti.
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