Tre biografie

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https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Pesenti_(economista)

https://it.wikipedia.org/wiki/Gianfranco_La_Grassa

metto qui due biografie, del mio Maestro italiano e di me stesso (come vedete nella voce dedicata a Pesenti sono di fatto l’unico suo allievo citato; il che però non è proprio corretto, anche se sono stato quello per più lungo tempo). Le biografie non sono del tutto esatte, ma nell’insieme accettabili (come prima approssimazione). Però non è vero che ad un certo punto (addirittura 25 anni fa) io mi sono dichiarato non marxista. Aver affermato che Marx è grande scienziato di 150 anni fa e che quindi va abbondantemente rivisto, cogliendo una serie di previsioni non realizzatesi (e quindi indagando i limiti della sua teorizzazione), non significa disconoscerne la fondazione di quella impostazione di scienza della società a cui faccio sempre riferimento, considerandola superiore a tutte le altre. E anche queste altre si sono sviluppate mettendo in discussione i loro fondatori.

https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Bettelheim

Metto anche la voce (pur essa “accettabile all’ingrosso”) dedicata a Charles Bettelheim, il mio Maestro francese, con cui ho discusso in continuazione fino alla sua morte (nel 2006). Riporto la conclusione della scheda: <<<Sebbene il suo nome e il suo lavoro siano stati dimenticati, Charles Bettelheim ha comunque lasciato tracce. Il suo marxismo eterodosso contribuì a mettere in dubbio il “progressismo” e il “produttivismo”, idee da sempre molto diffuse a sinistra, per costruire un pensiero “alternativo”, che non solo diede origine all’idea di “emancipazione sociale dalla crescita industriale” come fine in se stesso, ma aspirava a inserire lo sviluppo produttivo in un contesto di coscienza sociale (in pratica, l’idea già elaborata da Karl Marx di mettere fine allo sfruttamento nel processo produttivo tramite una “conscia sottomissione” alla produzione per bisogni sociali). Bettelheim fu infine anche intermediario tra Socialismo ed Ecologia e, nel campo delle teorie economiche, le sue analisi – che distinguevano forme differenti di capitalismo – influenzarono la cosiddetta “Regulation school”. Tra gli italiani, Gianfranco La Grassa è considerato il suo maggiore allievo>>>.
Cito anche un altro pezzo importante: <<<Nel segno di questo approccio “maoista”, Bettelheim cominciò la sua voluminosa opera sulla storia dell’Unione Sovietica: Le lotte di classe in URSS (Les luttes de classes en URSS), nella quale vengono esaminate le ragioni delle distorsioni del socialismo sovietico, il quale per Bettelheim non è altro che un “capitalismo di stato”. Bettelheim rilevò inoltre che dopo la Rivoluzione d’Ottobre i bolscevichi non erano riusciti a stabilizzare a lungo l’alleanza tra lavoratori e contadini poveri che in precedenza fu concepita e messa in atto da Lenin. Durante gli anni venti a essa si era sostituita invece un’alleanza fra lavoratori d’elite e intellettuali tecnologici contro i contadini, che portò alla collettivizzazione forzata dell’agricoltura nel 1928. L’ideologia “economicistica” (il “primato delle forze produttive”), nata con la socialdemocrazia e supportata dagli interessi dell'”aristocrazia operaia” e degli intellettuali progressisti, fu riadottata nei provvedimenti del Partito Bolscevico, agendo come legittimazione delle nuove elites tecnocratiche che stabilirono le stesse gerarchie, divisioni del lavoro e differenze sociali del capitalismo. Il miraggio “legale”, secondo il quale la proprietà dello stato è definita “socialista”, cela quindi una situazione di sfruttamento.
In conclusione, Bettelheim mise in dubbio il carattere socialista della Rivoluzione di Ottobre, interpretandolo come la conquista del potere da parte di un settore radicale dell’intellighenzia russa, che “confiscò” una rivoluzione popolare>>>.

Desidero qui ricordare che giunsi anch’io, in modo indipendente e pressoché contemporaneo, a non pensare più che, dopo la “rivoluzione d’ottobre” (e gli eventi successivi), si fosse almeno dato inizio alla “costruzione del socialismo”. E anzi sono stato fino all’ultimo in discussione (sempre amichevole e senza alcuna nostra rottura) con il Maestro francese perché accettai di malavoglia e solo per qualche (poco) tempo la definizione di “capitalismo di Stato”. Sia questa definizione – come poi quella, veramente sciocca e ridicola, di “socialismo di mercato” per la Cina di Deng-Siao-Ping – mi sono sembrate vere contraddizioni in termini. Penso a formazioni sociali “spurie”, non ben “formate”. Sia quella “crollata” (URSS e satelliti) che quella in pieno sviluppo (la Cina) sono ancora da definirsi; e tutto sommato credo che sia l’una (continuata di fatto con la “rimessa in piedi” della Russia) e sia quella che sembra essere in “piena continuità” (Cina) vedranno una effettiva stabilizzazione della forma dei loro specifici rapporti sociali fra un bel po’ di tempo ancora. Si vedrà allora come meglio definire queste formazioni sociali; non certo minimamente socialiste e nemmeno capitaliste.
In particolare, aggiungo poi che fui critico deciso della tesi che bisognasse continuare con una politica (“buchariniana”) favorevole ai contadini e che avrebbe ritardato l’industrializzazione (e potenza) sovietica; cose che avrebbero fatto crollare l’URSS di fronte all’aggressione tedesca del 1941. Inoltre, il limite della “costruzione del socialismo” (in realtà mai avviata) era proprio il non avere dato sufficiente stabilità ed efficienza alla organizzazione del sistema produttivo, che vedeva l’incapacità dei dirigenti (manager) di svolgere con capacità e decisione il loro lavoro. Adesso non sto qui a formulare ipotesi in merito. Comunque, non si è capita l’effettiva stratificazione sociale che si era formata con irrigidimento del sistema dei rapporti sociali e creando così inefficienza e contrasti sociali acuti. Anche se mai riconosciuti e senza alcun tentativo di risolverli per molti decenni dopo la morte di Stalin. Infine venne Gorbaciov il cui tentativo è stato “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. E qui il mio contrasto con il Maestro (sempre amichevole e rispettoso) è stato netto. Lui credeva che quell’incapace dirigente sovietico avrebbe rimesso in moto il paese verso un “accenno di socialismo”. Io rimasi addirittura scandalizzato di questa caduta di comprensione dell’avvio dato alla fine dell’URSS, che per me era ormai definitiva con il gorbaciovismo (anche se non pensavo ad un crollo così rapido, ma comunque alla sicura fine). Se ne dovrà riparlare; è storia importante. In ogni caso, dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991, il Maestro mi dette sostanzialmente ragione. Ne discutevamo ogni anno fino al 2005 (l’anno dopo egli morì a 93 anni) a casa sua a Paris, dove andavo ogni anno a giugno per un paio di settimane.