UN ASSE MOSCA-GERUSALEMME-ANKARA?

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In seguito al tentato golpe di metà luglio, la Turchia di Erdogan sarà costretta a rivedere i suoi rapporti internazionali (e forse anche le sue alleanze strategiche), ma difficilmente si metterà fuori dalla Nato, almeno nel breve periodo, anche perché gli Usa non lo permetterebbero senza provare ulteriori colpi di mano che restano sempre nell’aria.
Di sicuro, Ankara procederà sulla via di una normalizzazione delle relazioni con Gerusalemme e con Mosca, dopo una lunga fase problematica in cui le circostanze erano andate deteriorandosi. I fatti della Freedom Flotilla del 2010 e il recente abbattimento dei jet russi in Siria (che oggi il governo turco imputa a decisioni che lo hanno scavalcato, da parte di settori infedeli dell’aeronautica), sembravano aver segnato definitivamente l’ostilità tra questi player regionali che ora, invece, stanno tornando a dialogare per ricercare nuove possibilità di convergenza tattica.
La Turchia è stata trascinata nelle molteplici dispute mediorientali dalle iniziative americane. Ovviamente, non è rimasta a guardare gli eventi ma è stata costretta, più che altro, ad accodarsi a processi che non poteva governare pienamente, nella speranza di riuscire ad incidere comunque su di essi, sia per allargare la propria sfera d’influenza che per bilanciare le insidie portate alle sue istanze geopolitiche da competitori agguerriti come l’Iran. In questo consiste il neottomanesimo di Erdogan, sul quale hanno fin troppo ricamato i media Occidentali, bravi ad ingigantire le rivendicazioni altrui per screditarne le eccessive pretese e a minimizzare quelle dei loro referenti che puntano ad inghiottire le fette più grandi della torta mondiale con le cattive maniere.
Questo non significa che le responsabilità turche nei disordini e disastri provocati sui teatri egiziano e siriano debbano essere derubricate ad errori minori ma non si può imputare ad Ankara il peso di una destabilizzazione della zona che ricade in capo ad attori di ben altro calibro, come gli Usa, gli unici ad avere contezza di certi ribaltamenti politici (leggi primavere arabe), sostenuti e poi anche rinnegati per valutazioni geostrategiche di cui a noi sfugge ancora il senso complessivo. Per questo la chiamiamo geopolitica del caos.
Resta il fatto che la Turchia oggi si trova in grande difficoltà. Insieme alla Nato e ai suoi alleati sauditi, ha alimentato il terrorismo islamico che però adesso è in ritirata (per l’intervento russo) e rischia di ritrovarselo in casa. Inoltre, la lotta al Califfato ha legittimato i suoi storici nemici curdi che godono dell’appoggio della comunità globale. Come scrivono gli esperti del Russian International Affairs Council: “La possibile formazione di una cintura curda nel nord della Siria e in Iraq è un gran mal di testa per Ankara” perché questi territori possono essere utilizzati dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan e da altre formazioni estremistiche al fine di rompere gli equilibri nel sud-est meno sviluppato del paese, abitato soprattutto da curdi. La Turchia vuole evitare che pure Mosca conceda il suo appoggio ai curdi, come il resto della Comunità Internazionale, e punta a ripristinare buone relazioni col Cremlino. I russi potrebbero muoversi in tale direzione ma Erdogan dovrà prima allentare la pressione su Assad e tendere una mano ad Israele, come in parte ha già fatto. Putin e Netanyahu si stanno intendendo abbastanza bene su alcuni affari che vorrebbero portare a conclusione coinvolgendo proprio Erdogan. Il gas ed il petrolio del Bacino del Levante (si parla di riserve pari a 3,4 miliardi di m³ di gas naturale e 1,7 miliardi di barili di petrolio) potrebbero fare concorrenza alle materie prime di Mosca, in primo luogo nelle esportazioni europee. Ma i Presidenti israeliano e russo si sarebbero accordati per agire all’unisono, ottenendo dei vantaggi reciproci. Imprese e militari russi saranno coinvolti nei programmi di sviluppo e sfruttamento delle risorse energetiche di cui si parla, per favorire lo scambio del Know how, la certezza degli approvvigionamenti ed il transito in sicurezza attraverso il Mediterraneo Orientale. L’obiettivo più ambizioso però dovrebbe essere quello di giungere un domani ad un asse Mosca-Gerusalemme-Ankara per contrastare la supremazia Americana (e dei suoi alleati sauditi, anche loro dietro il golpe anti-Erdogan, ed europei) nell’area. Ma Mosca sa che anche ciò non basterebbe a scalzare la Casa Bianca da quella pentola in perenne ribollimento e lavora alacremente ad individuare geometrie più vaste per tenere dentro certi disegni anche l’Egitto e l’Iran (su cui gli americani fanno progetti speculari, come dimostra l’accordo sul nucleare).
Proprio la Turchia, dicono gli analisti del RIA, è preoccupata per “la politica regionale dell’Iran, che ha una presenza militare in Siria e in Iraq” ed esercita una crescente influenza sul Medio Oriente. La sospensione delle sanzioni contro l’Iran rafforzerà il paese e aprirà una serie di possibilità per esso”. Su queste contraddizioni dovranno esercitarsi le future coalizioni anti-americane che intendono sottrarre spazio egemonico agli Stati Uniti per avvicinare il multipolarismo