Un (per)corso storico necessario

BASI

Per una serie di fattori storci oggettivi, la fase a cui andiamo incontro sarà caratterizzata da pesanti turbolenze geopolitiche. Mettendo da parte la propaganda degli attori in campo, tendente a descrivere ciascun avversario (politico, economico, miltare, ideologico ecc. ecc.), diretto o indiretto, come scorretto o, persino, pericoloso per la pace globale (facendo riferimento a particolari tematiche, entrate nella sensibilità dei popoli, come la democrazia, i diritti umani, le libertà civili che non verrebbero rispettati dagli antagonisti della civiltà occidentale, i quali, d’altro canto, denunciano una certa fiacchezza e corruzione dei costumi dell’ovest), le varie potenze che agiscono sullo scacchiere mondiale, in base a rapporti di forza di diverso tenore – a tal uopo, possiamo distinguere tra potenze maggiormente attive o più passive sul teatro planetario, oppure, meglio ancora, tra potenze che si sfidano per il predominio, potenze dominati in un’ orbita regionale più ridotta, subdominanti all’interno di una determinata sfera di dominio o, persino, totalmente subordinate ai competitori più attrezzati – si accusano reciprocamente o di destabilizzare l’ordine internazionale o di voler marginalizzare il concorrente ambizioso. Ma a qualcuno, quell’ordine internazionale, comincia ad apparire troppo angusto, almeno rispetto ai suoi progetti di rilancio politico-economico. Dopo un periodo in cui gli Stati Uniti erano assurti ad unica nazione preminente, iniziato di fatto nel 1989, con il crollo dell’area del socialismo reale, assistiamo adesso ad una riconfigurazione dei differenziali di potere tra i giocatori che, pur partendo da posizioni ineguali, per i vantaggi o gli svantaggi accumulati precedentemente, riescono a mettere in discussione la funzione regolatrice assunta dagli Usa, a partire da quel momento epocale. Ciò che sta avvenendo, dunque, non dipende dalla volontà soggettiva dei gruppi dirigenti dei diversi paesi, per quanto questa interpreti, ovviamente, un ruolo specifico nelle tenzoni e tensioni in corso, ma dall’azione di quel flusso conflittuale che operando incessante sotto la realtà sociale, ad un certo punto dello sviluppo evenemenziale, rende precaria la solidità degli assetti della governance generale, solitamente promananti da un polo primeggiante, accrescendo l’antagonismo tra i reciproci interessi. Traducendo in soldoni, potremmo dire che il rinnovato contraddittorio tra Usa e Russia (e Cina), a prescindere dal tentativo dei contendenti di voler risolvere le loro questioni diplomaticamente, scivolerà inesorabilmente verso lo scontro più duro e finanche armato come conseguenza di un dato storico necessitante. Come scrive Gianfranco la Grassa, lo squilibrio incessante, che caratterizza il mondo, in quanto condizione ‘normale’ della realtà più profonda delle cose umane, “rompe ogni ordine e coordinamento, fa sì che ogni gruppo dominante, ogni nazione o potenza (e anche i subdominanti e le subpotenze nelle loro diverse stratificazioni), veda nell’azione degli altri un attentato ai propri interessi fondamentali”. Non appena la Russia fa un passo in direzione dell’Europa, gli Stati Uniti si ritrovano danneggiati nei loro piani di sicurezza geopolitica, avendo incluso coercitivamente il vecchio continente nella loro strategia di contenimento delle tensioni globali, per la migliore protezione delle proprie prerogative. Mosca costituisce per Washington, nelle circostanze attuali, un pericolo costante, al di là delle sue intenzioni pacate o meramente tese ad ottenere una maggiore integrazione commerciale coi suoi partner occidentali. Se la Russia avanza nelle sue relazioni con l’Europa intera, o in quelle bilaterali con alcuni perni continentali, vedi Germania, Francia e Italia, necessariamente gli Usa devono arretrare, perdendo posizioni privilegiate e sinecure esclusive. Come scrive giustamente Friedman nel suo ultimo editoriale, ormai gli Stati Uniti sono un impero e gioco forza non possono cedere sovranità con accordi bonari: “’Le circostanze, la storia e la geopolitica hanno creato un ente che, se non è un impero, certamente gli assomiglia… n primo luogo, gli Stati Uniti non possono dar via il potere che hanno. Non esiste un modo pratico per farlo. In secondo luogo, data la vastità di quel potere, essi saranno coinvolti in conflitti che lo vogliano o no. Gli imperi sono spesso temuti, a volte rispettati, ma mai amati dal resto del mondo. E facendo finta che non sei un impero non inganni nessuno”. Tuttavia, la presenza americana in Europa è ormai troppo ingombrante e sconveniente per tutti. E’ sconveniente per i russi che si vedono respinti ai loro confini occidentali e provocati nel loro spazio vitale, è sconveniente per gli europei che non sono liberi di fare affari con i propri vicini extracomunitari e di ritagliarsi un ruolo autonomo nelle dinamiche aperte di un mondo in piena trasformazione. Far sloggiare gli americani da casa nostra resta una priorità per la stessa sopravvivenza degli europei e per evitare di pagare il prezzo più alto di ogni manovra, più o meno azzardata, che lo zio Sam compie nel nostro recinto e in quelli viciniori (Medio-oriente, Africa settentrionale, ecc. ecc.), nello sforzo di preservare il suo imper(i)o. Non è questione di buoni o cattivi, è un dato di fatto che oggi gli Usa rappresentano un problema serio per la nostra sovranità, sono loro che ci costringono in catene, catene che devono essere in qualche modo spezzate con l’aiuto di chi magari, vedi i russi, condivide, per circostanze contingenti, le medesime esigenze. Non è in atto una guerra tra bene e male, tra fedeli ed infedeli all’american way of life, ma si tratta di una lotta tra uomini (responsabili) che vogliono essere padroni delle loro decisioni avverso invasori stranieri i quali, invece, non smettono di volerli soggiogare, ricorrendo a quisling locali e occupando i territori con basi militari. L’Europa e l’Italia devono scegliere tra i primi e i secondi, ben conoscendo il prezzo di una scelta sbagliata che è già sotto i nostri occhi da decenni. L’Europa vive ormai uno stato di malessere perenne e la colpa di tutto ciò sta nella sua sudditanza agli amici d’oltreoceano che nostri alleatii non possono più essere perchè così ha deciso il (per)corso storico.