Un’Europa senza euro. Per chi? di Luigi Longo

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Ho letto la cronaca di Piergiorgio Rosso sul convegno internazionale “Un’Europa senza euro” organizzato dall’Associazione a/simmetrie, tenutosi a Roma il 12 aprile c.m.

Non avanzerò nessuna riflessione sui vari “modelli” di uscita dall’euro per due semplici ragioni: 1. Non sono un economista né tanto meno un esperto di sistemi monetari; 2. La discussione si sta orientando più su questioni tecnico-finanziarie che su questioni politiche ( con questo non voglio dire che le questioni tecniche non siano politiche!).

Voglio, invece, avanzare una riflessione che riguarda il limite di considerare l’Europa ( direttamente o indirettamente) come una entità politica autonoma e sovrana.

Le discussioni sull’uscita dall’euro difettano quasi tutte di una mancata (?) consapevolezza, quella cioè, che l’Europa non è una entità politica, non ha nessuna autonomia e quindi nessuna sovranità.

Il problema è quello di dire con chiarezza ( pochissimi lo fanno) che l’Europa è nella sostanza subordinata alle strategie americane, sia per la funzione di contrastare le potenze mondiali della Russia e della Cina, sia per la funzione di contrastare la nascita di qualsiasi politica autonoma dell’Europa.

L’Europa è uno spazio vitale per le strategie americane e come tale non può avere nessuna autonomia decisionale di primo livello. Tutt’al più, le nazioni meglio attrezzate e più utili al coordinamento europeo delle strategie flessibili e caotiche americane ( per esempio, la Germania) possono ottenere una autonomia di secondo livello ( vassallaggio).

Questa Europa, persa in questa crisi d’epoca, di orizzonte multipolare e policentrico, non può essere letta in maniera finanziaria e tecnico-monetaria a partire dal 2007-2008 ( roba da “i creatori della moneta”, per parafrasare l’interessante libro della keynesiana americana Gertrude M. Coogan del 1934-1935).

Se questa mia riflessione ha qualche validità, la discussione per l’uscita dall’euro dell’Europa si riduce nella sostanza a ragionare su tecniche finanziarie (come se la sfera finanziaria fosse egemonica) e non vengono viste per quelle che sono, cioè, strumenti per il conflitto tra gli agenti strategici delle potenze mondiali. Non è con l’uscita dall’euro, che presuppone un lungo, pregresso, lavoro politico di coordinamento tra nazioni, che si crea la sovranità europea e si attenuano gli squilibri sociali e territoriali [ per avere un’idea della macelleria sociale in atto in Grecia si legga il romanzo sociale di Petros Markaris, L’esattore ( Bompiani, Milano, 2012): vale più di cento libri scritti da grandi economisti del piffero].

Nel frattempo l’Europa si sta sempre più militarizzando ( Eurogendfor, trattato di Velsen); la Nato-Usa ( con buona pace di Stratfor), usando l’Europa come testa di ponte, si sta sempre allargando ad Est in funzione anti Russia e Cina ( Ucraina, Siria, Iran ); il TTIP ( ulteriore pesante perdita di spazi di creazione di autonomia), un trattato devastante per l’intera Europa, sta seguendo il suo corso in quasi assoluto silenzio; l’Europa a servizio delle strategie americane sta compromettendo i suoi stessi interessi in tema di approvvigionamento di risorse ( Libia, Russia, Iran, eccetera), giacchè, il controllo energetico ( gas, petrolio), con le sue infrastrutture e le sue aree di influenza, è usato come strumento di conflitto tra potenze mondiali (USA, Russia Cina).

Mi viene un dubbio: in questa fase, storicamente data, è prioritaria l’uscita dell’Europa dall’euro?