A KIEV!

donbass1

 

donbass1Il Premier ucraino Yasteniuk ha rassegnato le dimissioni. Continua la battaglia tra le fazioni oligarchiche in seno ai golpisti di Kiev, manovrati come marionette da Washington. Anche questa crisi sembra essere stata suggerita da Oltreoceano. Poroshenko non aveva la forza necessaria in Parlamento per continuare nella sua azione di distanziamento da Mosca e in quella di risoluzione del conflitto nell’est del Paese. Le cosiddette riforme economiche, annunciate in pompa magna dal capo del governo solo qualche giorno fa – in realtà mere svendite del patrimonio statale, in particolare delle imprese del settore energetico e agricolo – risultavano frenate dalla composizione delle forze in aula che riflettevano assetti precedenti alla sedizione di Majdan.
Le elezioni dovrebbero tenersi entro la fine di ottobre ma su queste incombe l’incertezza e l’instabilità della situazione nelle regioni ribelli di Donetsk e di Lugansk, dove le milizie antigovernative tengono testa ai regolari, riportando anche insperate vittorie sul campo.
Le prossime consultazioni rischiano di essere una farsa pari a quella che ha portato al potere l’agente della Cia Poroshenko, come è stato svelato da alcuni cable di wikileaks. Il re del cioccolato è in contatto con l’intelligence Usa da qualche anno, da quando gli americani hanno deciso di capovolgere Yanukovic per instaurare un loro protettorato ai confini russi. Lo scioglimento coatto del partito comunista e di altre formazioni tacciate di russofilia ci indicano qual è lo stato della democrazia in Ucraina. L’Europa, trascinata dagli Usa, sta vergognosamente sostenendo questa masnada di lestofanti che non rispetta nemmeno i principi basilari della convivenza civile.
Bruxelles, incapace di solcare una propria traccia geopolitica, si accoda ad Obama anche nell’imposizione di sanzioni a Mosca che stanno danneggiando la sua economia, più di quanto non facciano male a quella russa. In verità, le cancellerie europee cercano di scaricare sui membri più deboli dell’Unione il peso maggiore delle punizioni ingiustificate verso Putin. Londra, Berlino e Parigi si rinfacciano vicendevolmente la prosecuzione di affari col Cremlino ma nessuno vuole rinunciare davvero ai propri rapporti strategici e militari con esso. Così a rimetterci sono Paesi come l’Italia che in sede di discussione europea non riescono a far valere le loro ragioni. Questo mette a repentaglio i contratti già siglati tra Roma e Mosca nell’ambito delle forniture di gas e, soprattutto, gli accordi di finalizzazione di importanti gasdotti che affrancherebbero la Penisola dai guai scoppiati in Ucraina e dai disequilibri di altri scenari, come quelli nordafricani e mediorientali.
Ufficialmente la crisi di governo a Kiev è stata aperta dall’uscita dalla coalizione che sosteneva il governo del partito ultranazionalista Libertà. Il Presidente del parlamento Turchinov, uomo della Timoshenko, ne ha preso atto ed ha sciolto la maggioranza. Yatseniuk a sua volta ha dovuto rassegnare le dimissioni annunciando nuove elezioni. Il pupillo della Nuland si è congedato con queste parole: “non è stato il miglior governo della storia ucraina, ma abbiamo fatto del nostro meglio”. Poiché nessuno di noi ricorda un buon governo da quelle parti, possiamo ben affermare che i golpisti sono stati capaci di garantire una certa continuità di disastri al pari del loro predecessori, i quali però erano riusciti a tenere a freno i settarismi xenofobi, ora irrefrenabili, e a garantire l’unità del Paese.
L’alleanza di Poroshenko con la famigerata Timoshenko non poteva durare a lungo e non è durata. La “pasionaria” è interessata a guidare lo stato e non a fare da gregario ad un Tycoon che l’ha soppiantata nel cuore degli yankees. Tuttavia, gli americani credono che la signora non sia in grado di garantire la transizione in atto, a fortiori con una guerra in casa. L’attuale Presidente non ha ottenuto risultati esaltanti ma a Washington sono convinti che nessuno possa fare meglio di lui in questo momento. Non ci si può fidare degli intransigenti nazistoidi che ormai affallonano le stanze del potere nella Capitale. Sarebbe troppo anche per gli Usa che stanno operando comunque sullo scacchiere europeo e non in Afghanistan o in Syria. Poroshenko non è ancora riuscito a normalizzare la parte orientale della nazione, per questo gli statunitensi hanno deciso di rafforzare la sua posizione accelerando il passo elettorale. Secondo i sondaggi il partito di quest’ultimo dovrebbe essere in testa, seguito dal partito Radicale di estrema destra di Ljashko. La formazione della Timoshenko sarebbe solo terza. Ma saranno gli esiti della guerra a determinare il piazzamento di tutti. L’agosto ucraino sarà rovente, ci sarà una escalation del conflitto che non sarà risolutiva. Con l’autunno tutti i nodi verranno al pettine. Se prima della fine dell’estate Poroshenko non sarà riuscito a riconquistare l’Est dovrà cedere alle richieste dei separatisti e concentrarsi sul piano di salvataggio di quel che resta dell’Ucraina. Senza gas, privata delle risorse naturali ed industriali dell’Est e con un Pil in caduta libera non sarà facile salvare la baracca. Ma per i cedimenti territoriali costui verrà considerato un traditore, che vinca o meno le elezioni, e sarà congiuntamente attaccato dai filo-occidentali della Timoshenko, dagli ultranazionalisti di Svoboda e dai nazisti di Pravy sektor. Deflagreranno gli scontri e scorrerà molto sangue. Nel frattempo la Novorossja sarà stata riorganizzata da Mosca, anche militarmente. Se tutto va come abbiamo previsto vedremo i carri armati con la bandiera della nuova repubblica entrare nella Capitale. Certo, è lo scenario più ottimistico che potessimo disegnare ma non è detto che sia proprio inverosimile. Aspettiamo e vediamo.