IL POZZO ED IL FONDO

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eniC’è un pozzo e c’è un fondo. Il pozzo viene svuotato a secchiate ripetute ed il fondo attira la sua liquidità per lasciarlo a secco. Quel pozzo è l’Eni (conglomerata nazionale del settore idrocarburi), quel fondo è il Knight Vinke che da 6 anni detiene una quota dell’azienda di San Donato, vicina all’1%.

E’ da sei anni che questa strana creatura finanziaria, con sede a New York, s’immischia nella gestione e nelle scelte industriali ed economiche del cane a sei zampe per strappargli la coda e mordergli i polpacci.

6-6-6, il pozzo ed il fondo, un cane che sputa fuoco e profitti, i canini aguzzi della speculazione al collo. Sembra un racconto di Edgard Allan Poe ma è soltanto la realtà ai confini dell’ irrealtà di questa Penisola vilipesa, presa alla gola dai vampiri della borsa e dai lupi mannari della Grande Finanza. Ultracorpi del denaro controllati da centri politici che ci Usa-no e poi ci gettano.

Questi mutanti hanno due facce, come il giano bifronte, tutti concorrenza, antimonopolio, libertà economica, laissez faire et laissez passer alla luce del sole ma appena cala l’oscurità i filantropi diventano licantropi affamati e si muovono con ben altre e pericolose intenzioni. Dispensano belle parole al mattino per carpire l’ingenuità altrui ma agiscono come fantasmi notturni poiché sanno che il business, soprattutto quello strategico, non è un pranzo di gala. Quest’ultimo semmai viene dopo per trastullarsi del successo raggiunto.

Ne parlava anche il Sole24ore di ieri: “È decisamente una strana storia quella di questo fondo attivista che raccoglie i soldi dei fondi pensione nordamericani e li investe in large cap dell’energia e della finanza della Vecchia Europa, dove ha condotto con discreti successi le sue battaglie, intervenendo nella fusione tra Royal Dutch e Shell Transport, nel take-over di Electrabel da parte di Suez, nel successivo merger tra Suez e Gaz de France e nel cambio di governance e strategia di Hsbc. Oltre che, ovviamente, nella “separazione” di Eni da Snam”.

Già, Knight Vinke vuole sbranare l’Eni e per farlo deve prima indebolire la bestia sestupede, deve convincere gli altri azionisti privati che occorre tagliare i rami secchi, liberarsi di ciò che non è strettamente core business, fare cassa per aumentare cedole ed investimenti. Qualche anno fa Eric Knight, fondatore di Vinke Asset Management, chiese in una nota indirizzata ai vertici dell’Eni lo spezzatino del gruppo, la separazione tra attività upstream e downstream che disperdevano energie e non davano i risultati auspicati. L’obiettivo era la rete di Snam che poi è passata alla CDP, non proprio quello che intendevano a Manhattan, ma un buon passo avanti per loro ed una decina indietro per noi.

Ora il bersaglio si chiama Saipem, stessa canzone, stesso ritornello. Si richiede lo spin-off della collegata di Eni, leader nei settori dell’industria petrolifera onshore e offshore. Parliamo di una compagnia all’avanguardia che opera sinergicamente con la casa madre e non si capisce, o meglio s’intende perfettamente, come mai si deve rompere questa combinazione ottimale in nome di leggi astratte e concrete pretese antinazionali.

Adesso che il Belpaese è nel caos – senza un governo stabile ed in preda a forze politiche come il M5S, le quali, più di chi ha finora amministrato malamente i gioielli industriali pubblici, conducono battaglie acritiche contro i monopoli pubblici e per la frammentazione proprietaria – i pirati oceanici tenteranno il colpo grosso.

Resistere, resistere, resistere. Per l’Italia, per il suo prestigio e per il benessere della nostra collettività.  Cedere ancora significherebbe mettere a repentaglio tutti gli asset strategici di Roma e diventare definitivamente una provincia colonizzata.