PRUDENZA, PLEASE!, di GLG

gianfranco

Gli eventi egiziani testimoniano delle difficoltà crescenti (forse perfino dell’inizio della fine) di quella che abbiamo denominato “strategia del caos”, mai facile da condurre e nemmeno ben utilizzabile in ogni congiuntura storica; il “liquido” (spesso oleoso) sfugge da qualche parte, a volte da molte parti. Adesso si aggiunge un altro sintomo di revisione della precedente strategia, che fu pienamente appoggiata dall’esercito egiziano, sarebbe bene che qualcuno se lo ricordasse: la prossima liberazione di Mubarak (incarcerato dai militari!), non ufficialmente riabilitato ma certamente “meno condannato”. Il sintomo più evidente è però l’ormai chiara soddisfazione israeliana di fronte al colpo di Stato militare. E’ ora che lo si chiami con il suo nome e non con la finzione di un semplice aiutino dato al popolo, finzione tipica anche di ipocriti e infami “fu” antimperialisti, che non lo sono in realtà mai stati; erano degli imbroglioni pagati da “chi sa chi” (ma ora si capisce chi era!) per andare in giro nel mondo a predicare un terzomondismo fallimentare e dunque connivente nei fatti con il paese che imponeva il proprio predominio (gli Usa).
Erdogan è ovviamente preoccupato per i recenti avvenimenti; non volendo prendere di petto gli americani, denuncia Israele per aver tramato con l’esercito egiziano, anzi per averlo di fatto ispirato e aizzato. Non è così, è ora di finirla con l’idea della “coda che muove il cane”; chi ancora sostiene simili tesi va decisamente indicato quale semplice antiebraico; e non uso antisemita giacché simile accusa è l’esatto contrario (la ben nota “solidarietà antitetico-polare”) di quella lanciata agli ebrei di “muovere il mondo”. Sono gli Stati Uniti che hanno attualmente un “cervello” diviso in due: una parte funziona ancora per correggere, ma continuare, la strategia obamiana, mentre un’altra parte sembra opporsi ad essa e forse con sempre maggiore vigore, pur se ancora non appare in chiara luce; anche perché la precedente strategia, assai più direttamente aggressiva (tipo Afghanistan, Irak, ad es.) non sembra avere ottenuto definitivi successi.
Per il momento, sembra evidente (ripeto: sembra) che gli Stati Uniti abbiano bisogno di una revisione strategica più radicale, che tenga conto della fine delle speranze “monocentriche”. L’implosione dell’Urss aveva creato tale illusione. Sarà però bene che ci si ricordi meglio la storia. Dopo la dissoluzione sovietica dell’agosto 1991 (subito dopo la prima aggressione Usa all’Irak, non portata fino in fondo perché si trattò di un’operazione assai differente nelle intenzioni rispetto a quelle effettuate successivamente, a partire dall’operazione contro la Serbia del’99), si cianciò per almeno due-tre anni di un mondo tripolare: Usa, Giappone e Germania in ordine di importanza. Il secondo entrò subito in stagnazione (per motivi da noi in passato indicati, su cui qui sorvolo) per una dozzina d’anni, ammesso che oggi sia da essa uscito nell’attuale situazione di crisi più generale.
La Germania si espanse economicamente verso est (in Europa, Balcani, ecc.), ma rivelò presto quanto effimera fosse tale evoluzione, non sostenuta né dalla forza militare (che gli Usa impiegarono con decisione appunto nel 1999, con al seguito la “serva Italia” di D’Alema, che non godette nemmeno di una misera percentuale di vantaggio per questo laido comportamento da sudditi sciocchi e pezzenti) né da una rete di legami politici di vario genere come quelli tessuti dagli Stati Uniti con i kosovari (di Rugova e soprattutto dei banditi di Thaci), con l’Albania, con le forze serbe anti-Milosevic e con molti settori politici est-europei, per non parlare del nostro paese che, dopo “mani pulite”, diventò sempre più prono ai predominanti d’oltreatlantico.
La convinzione “monocentrica” ha avuto il suo periodo di fulgore negli ultimi cinque anni del secolo scorso e nei primi cinque del presente. L’aggressione all’Afghanistan trovò di fatto conniventi, forse di malavoglia visti gli eventi successivi, anche Russia e Cina, che avevano i loro problemi con gli islamici in Cecenia e, soprattutto, nello Xinjiang (gli uiguri). Già con l’aggressione (la seconda) all’Irak, questa volta portata a termine perché le finalità erano mutate, si è cominciato a vedere crescere un’opposizione, non sempre limpida e decisa (basti pensare all’aggressione alla Libia nel 2011), da parte di nuove “potenze” in crescita; tale contrasto è appunto sofferto e contorto – questo è del tutto normale nelle prime fasi di un crescente “multipolarismo” – ma ormai sempre più evidente. A partire dal 2006 (sostituzione di Rumsfeld con Gates in novembre, dopo la sconfitta repubblicana nelle elezioni di mid term) si produsse un minimo mutamento di strategia (forse sarebbe meglio usare il termine tattica, ma non sottilizziamo), che tuttavia divenne più evidente con l’elezione di Obama e il suo insediamento nel gennaio 2009.
Non sembra tuttavia che gli Usa abbiano decisamente assunto come orizzonte dei prossimi anni il “multipolarismo”. Si sono usati ampiamente i “servi” europei (tipico l’impiego di Inghilterra e Francia, con al seguito la Nato, contro Gheddafi); e pure le attuali convulsioni cui assistiamo in Italia, soprattutto dal governo Monti in poi, dipendono dal tentativo statunitense di piegare il nostro continente alla prospettiva di ri-acquisizione di una loro posizione preminente nel mondo. Si parla tanto di spostamento dell’asse strategico americano verso l’Asia, ma lo si fa per distrarre noi europei dal totale asservimento a cui vorrebbero ridurci i centri strategici “obamiani” (spero si capisca in che senso usiamo nomi personali per congiunture “oggettive”). Non è la Cina il principale avversario degli Usa; questi sanno benissimo che è invece la Russia. Di conseguenza, è certo importante il disordine che sarà possibile creare nel centro-Asia (ma non sembra facile visto l’atteggiamento di quelle Repubbliche e le gravi difficoltà incontrate in Afghanistan, con riflessi pesanti in Pakistan). Probabilmente si spera nella potenziale conflittualità Cina-Russia in quella zona e anche in Siberia; e forse, adesso, con la rotta artica. Tuttavia, è fondamentale il lato ovest della Russia, visto che qui si trovano paesi totalmente “svirilizzati”, per troppo tempo succubi dei “liberatori” (paesi euro-occidentali dopo il 1945 ed euro-orientali dopo il 1989-91).
Ben vengano dunque tutti gli intoppi incontrati dalle strategie statunitensi tese a sottrarsi alla prospettiva multipolare, che evolverà poi necessariamente verso il policentrismo conflittuale acuto con possibilità di regolamento generale dei conti tra potenze varie. Stiamo però attenti a quei fottuti che, fingendosi anti-americani, anti-israeliani, anti-imperialisti, in realtà si schierano con una delle strategie Usa, cioè con uno dei “centri strategici” di quel paese, tutti miranti allo stesso scopo anti-multipolare con mezzi e manovre diversi. Per questo va sempre usato il plurale: strategie, non strategia. Negli Usa andranno appoggiati soltanto quei centri che, infine, accettassero la visione multipolare. Non cominciamo però ad illudere nessuno: simile prospettiva non assicurerà certamente una pace perpetua. La pace sarà sempre ballerina, incerta, ondeggiante; per il semplice motivo che sarà assicurata soltanto da un equilibrio delle forze, dal guardarsi sempre “le spalle”, dal prevedere i tradimenti e i tentativi di aggressione per vie traverse (anche usando le solite quinte colonne, infami rinnegati e traditori del tipo di quelli che oggi in Italia stanno a “sinistra”, perfino in quella che si dice radicale, anticapitalista, per la “giustizia” e il “bene dei popoli”).
La pace sarà sempre in forse, zoppicante, barcollante. Questa è l’unica alternativa all’essere schiavi di un dato paese, dei predominanti di quel paese. Del resto, l’essere schiavi assicura soltanto che non ci sarà la possibilità di una guerra mondiale; e ciò sarebbe comunque pagato con l’eccidio di chiunque osasse rivendicare i propri diritti, una propria dignità, spesso soltanto delle condizioni di vita in netto miglioramento, che sarà assai problematico per un lungo periodo di tempo, ma diventerebbe del tutto impossibile per la stragrande maggioranza delle popolazioni del mondo, e a favore di una soltanto, qualora ci si acconciasse al “monocentrismo”.
In definitiva, tornando al caso particolare degli eventi egiziani, nessun appoggio precostituito e irresponsabile per gli islamici né per l’esercito. Massima allerta; negli Usa non c’è soltanto Obama ad essere ….. un “birichino”. Molti sono i nostri nemici; e molti esistono anche in questo paese di servi, da cui dobbiamo guardarci come dalla peste bubbonica. Siamo in mezzo a seguaci mascherati o di questo o di quel centro strategico statunitense, tutti tesi in ogni caso a riconquistare il predominio mondiale per vie diverse. Con i tempi che stanno venendo avanti, indubbiamente dovremo talvolta essere per i militari, altre volte per gli islamici e altre ancora – oh orrore, per coloro che si fingono antisionisti e semplicemente odiano gli ebrei – diventeremo magari benevoli con Israele. Non possiamo saperlo in anticipo; non almeno finché i cosiddetti “popoli” – che poi sono in genere delle élites che si inseriscono in una lotta sociale, facendo leva sui sedicenti oppressi per liberarsi dei vecchi detentori del potere e impadronirsene loro, a loro uso e consumo – saranno sempre al seguito di qualcuno dei gruppi attualmente in “pole position” nei diversi paesi (“che contano”).