TRADIMENTO E TRADITORI (di GLG, 5 dic. ’10)

gianfranco

Nessuna pretesa di trattazione estesa della questione, che mi interessa attualmente molto marginalmente. E’ poco più che un commento necessitato dall’esigenza di fugare incomprensioni per lo più malevole su certe posizioni da noi prese con estrema nettezza.

       Il tradimento è il risultato di un processo da ritenersi in qualche modo oggettivo. Ovviamente, l’oggettività non è tale per tutti; solitamente, ciò che per “uno” è tradimento per un “altro” non lo è. Perfino dopo intere epoche, in sede di valutazione storica, spesso si hanno opinioni differenti sui tradimenti di grande portata. Tuttavia, senza entrare nei particolari di concreti esempi storici (tipo il voltafaccia delle maggioranze socialdemocratiche europee nel 1914 o l’8 settembre italico, ecc.), ci sono spesso episodi che poco si prestano a molte distorsioni e mascheramenti, in quanto si verifica, in brevissimo tempo, il mutamento di posizioni da un polo all’altro, per cui restano scarsi dubbi, salvo che ad autentici imbrogliacarte, circa un opportunistico “cambio di casacca” (e di “bandiera”).

Il cosiddetto ribaltone della Lega nel ’94 era di una evidenza e meschinità assai poco difendibili (e oggi, da almeno molti dirigenti leghisti, non mi aspetterei nulla di meglio se fossi implicato direttamente nei giochi degli opportunisti in questa fase in Italia). D’altra parte, se ci si ricorda l’indignato discorso di Fini in quell’occasione, pochi dubbi restano pure sul fatto che oggi costui abbia compiuto in un battibaleno una totale inversione del suo posizionamento.

Che cosa significa allora l’oggettività del processo denominato tradimento? Semplicemente che non dipende da una particolare disposizione d’animo di un individuo o di un gruppo di individui. E’ senza dubbio necessario che occorrano determinate condizioni, che il processo abbia assunto una data direzione in base allo scontro tra più individui o fazioni, nel cui ambito sono precipitate specifiche configurazioni dei reciproci rapporti di forza. Il tradimento può anche non realizzarsi perché si è verificato un errore di valutazione di queste configurazioni e di misurazione dei rapporti di forza in oggetto. Tuttavia, devono poter essere individuati in modo realistico, in base ad un non fantasioso calcolo, i possibili sbocchi del processo detto di tradimento.

Proprio il fatto che io sia costretto a parlare di individuazione delle configurazioni, di calcolo realistico delle probabilità, fa capire che non esiste realizzazione di alcun processo se non vi sono i portatori soggettivi dello stesso, i quali devono anche possedere quindi peculiari caratteristiche: quelle che li fa appunto definire traditori. Lamentarsi di questa definizione, o vedervi una semplice indignazione moralistica, significa veramente essere fuori del mondo reale, credere che dati “fatti” accadano per virtù propria. Capisco che ciò è preferito dai traditori, o da coloro che li scusano, perché ci si sente così del tutto non responsabili di autentici delitti.

Certo, “Dio” esiste; esiste cioè una corrente che, ad un certo punto, a causa delle accidentalità storiche, assume un dato andamento, si incanala in un determinato alveo, e quindi senza dubbio ci trascina con sé. Tuttavia, la corrente si forma, è alimentata, prende particolari direzionalità, perché sussiste un incessante urto conflittuale tra i vari individui, e gruppi di individui, che in essa sono trascinati. Sono trascinati eppure la formano con i loro scontri. Noi nuotiamo nella corrente, non semplicemente ci lasciamo trascinare mollemente e senza volontà alcuna. Quindi esiste pure il “libero arbitrio”, esiste una nostra precisa responsabilità: individuale e di gruppo. Quando qualcuno sente, o crede realisticamente di sentire, che la direzione presa da una determinata corrente, alimentata dalle “bracciate” di determinati individui o gruppi, prevale su un’altra – e, a quel punto, muta rapidamente la propria posizione, invertendo l’orientamento della sua “nuotata” – possiamo senza tanti tentennamenti definirlo un traditore, che è una specifica e più criminale versione dell’opportunista.

L’opportunista va disprezzato e, quando possibile, isolato; il traditore, quando possibile, va soppresso, comunque espulso dal consesso civile. Certo, allo scatenamento dell’odio contribuisce pure l’indignazione morale, ma non ce n’è stretto bisogno; è sufficiente la necessità di una lezione esemplare per questa particolarmente grave e di solito socialmente devastante forma dell’opportunismo. Quando non sia possibile la soppressione, si deve comunque denunciare il tradimento con la massima energia e sollecitare l’odio verso i traditori. Nessuna scusante per il fatto che non ci sarebbe tradimento senza quel tipo di oggettività di cui ho appena parlato. Un simile atteggiamento è contrario a quell’attribuzione di responsabilità individuale, e di gruppo, indispensabile ad ogni organismo sociale; è un atteggiamento insensato e “incivile”, ben prima di avanzare una qualsiasi condanna morale. Non può non esserci anche indignazione morale, se appena siamo dotati di normale sensibilità; questa deve tuttavia venire dopo (non cronologicamente, ma logicamente).

Quindi, per favore, la si smetta di non capire quando noi scriviamo, dando addosso ai traditori. Non siamo mossi solo da disgusto, che comunque deve pure esserci. Riteniamo che l’oggettività di un processo non dispensi nessun portatore dello stesso dall’essere ritenuto responsabile d’esso. E se si tratta di un processo dannoso per la convivenza civile, che non è mai del tutto trasparente ma nemmeno deve comportare il dire nero e subito dopo fare bianco (o viceversa), allora i suoi portatori devono essere soppressi, quando ciò sia possibile (mai però tramite criminali assassinii, bensì con processi pubblici ed esecuzioni); altrimenti, vadano denunciati ed indicati al “pubblico ludibrio”, messi alla gogna. E’ ora di finirla con l’irresponsabilità individuale, con il “destino cinico e baro”. Assunzione di responsabilità massima invece, da parte di tutti.