Effetti collaterali del referendum sul nucleare

Qualche giorno prima delle consultazioni popolari del 12 e 13 giugno, il governatore lucano Vito De Filippo ha fatto recapitare ai sindaci dei 131 comuni della Basilicata una lettera appassionata per invitarli a sostenere quattro sì convinti su altrettanti quesiti referendari. A guardarla bene però la partita giocata dal presidente e dal suo partito di riferimento nazionale è stata poco popolare, molto populista e, ancor più surrettiziamente, politicistica. Vediamo perché. Si auspicava che l’onda emotiva antinuclearista e lo spauracchio della privatizzazione dei servizi idrici portasse un colpo mortale al Cavaliere inciampato sul legittimo impedimento, terremotando con lui la maggioranza che lo sostiene. Qui ritroviamo già la prima incoerenza del Pd che anni addietro aveva manifestato il suo favore per la privatizzazione dell’acqua (con una proposta di legge intitolata "Disposizioni per il governo delle risorse idriche e la gestione del servizio idrico integrato") e per la ricerca sul nucleare (promessa da Bersani all’ambasciatore americano Richard Spogli nel 2007, come rivelato da un file wikileaks). Ma, evidentemente, l’illogicità della virata ideale valeva la posta dell’impresa storica. Tuttavia, se l’obiettivo recondito era quello di dare una spallata a Berlusconi si è utilizzata una forza di fuoco inusitata per un target alla portata di un cieco. E’ stato come accendere una candela col lanciafiamme considerato che tale legge sarebbe scaduta tra qualche mese e che comunque B. si era già piegato all’unica trasmissione che non gli piace, quella del processo del lunedì. Ora però, dopo la sbornia anticav, bisogna fare i conti con gli effetti collaterali di scelte discutibili, se non scriteriate, che si ripercuoteranno sulla comunità locale. Lo stop al nucleare impone al Paese di spremere le proprie risorse energetiche per coprire il suo fabbisogno.

In Italia, nucleare o no, necessitiamo di 55 GW elettrici al giorno. Oggi, come rammenta il prof Franco Battaglia, docente di Fisica chimica all’Università di Modena, ricaviamo 30 GW da gas importato, 10 GW da carbone importato, 7 GW da nucleare importato e 8 GW da idroelettrico che produciamo in casa. Poiché il contributo di solare ed eolico, nonostante i finanziamenti a pioggia dello Stato, è ancora irrisorio, siamo costretti a giostrare con le cosiddette fonti di energia classiche. Senza nucleare la nostra bolletta energetica aumenterà perché dovremo acquistare all’estero ciò che consumiamo, oppure, per limitare i danni, dovremo intensificare lo sfruttamento di quelle risorse che abbiamo sul territorio. Per esempio il petrolio, per esempio in Basilicata. Ed è così che la nostra bella regione diventerà un gruviera, come affermato dal Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani alla recente assemblea dell’Unione Petrolifera. In Basilicata la produzione sarà portata a 90 mila barili al giorno per coprire il 7% del consumo energetico nazionale e la cosa non si fermerà qui. Ma oltre ai buchi ed ai pozzi che deturpano il paesaggio è l’incidenza epidemiologica che tale sfruttamento intensivo comporterà a preoccupare la comunità. La Regione guidata da De Filippo non diventerà una pattumiera di rifiuti radioattivi, come ha scritto con linguaggio apotropaico lo stesso Presidente nella sua missiva ai suoi conterranei, ma si trasformerà in un formaggio svizzero pieno di fori, e questo accadrà con precisione elvetica. Al tempo della stagionatura forse De Filippo sarà lontano, ad occupare i Palazzi romani, mentre la sua terra seguiterà ad essere divorata con ingordigia pantagruelica dalle compagnie petrolifere e dai Gargantua politici locali che cavalcano con facile sicumera i bassi istinti della gente per esclusivo tornaconto. Gli impegni morali invocati dal Presidente non dovrebbero essere tesi a fomentare un clima da tempi della clava per fare un dispetto al capo tribù del Bunga Bunga, ma a far capire ai cittadini che l’Italia e la Basilicata rischiano di ripiombare nel paleolitico se rinunciano allo sviluppo e alla ricerca in settori strategici come l’atomo. Del resto, in giro non si vedono cavernicoli, né in Germania, né in Francia, né in nessun altra nazione europea e benché tutti annuncino di voler spegnere i reattori si tratta esclusivamente di proclami procrastinati di anno in anno. Passare, dunque, da primitivi nella zona dell’aglianico è una contraddizione che non possiamo proprio mandar giù.