FINMECCANICA: IL CERCHIO SI STRINGE

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All’indomani degli arresti del Ceo di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, i nostri lettori avevano già potuto leggere una interpretazione degli accadimenti non conforme alla versione degli altri media e mezzi d’informazione più diffusi. Su queste colonne avevamo sostenuto, con positiva sorpresa di pochi e indignazione di molti, che questa storia lasciava una scia di sospetti lunga un oceano (Atlantico) e che dietro agli episodi di corruzione ci fosse qualcosa di più di quanto ci veniva raccontato.

Avevamo ragione ed i commenti che cominciano a trapelare anche sulla stampa ufficiale, attraverso le interviste di deputati della repubblica ed analisti più addentro di noi in queste faccende, lo stanno provando. Destano, infatti, sospetto i tempi e le modalità con cui si è proceduto a decapitare un’azienda strategica, finita nel mirino degli inquirenti da qualche anno, sui cui asset migliori si stanno concentrando le attenzioni dei competitors di mezzo mondo.

L’on. Jole Santelli, ex sottosegretario al ministero della Giustizia, ha dichiarato alla testa Libero che “la concomitanza degli attacchi all’Italia è inquietante. Da un lato la politica europea che ci sta portando in recessione, dall’altro la magistratura che colpisce i gioielli di famiglia… Le nostre grandi aziende danno fastidio ai concorrenti esteri. E certi colpi arrivano proprio quando politica ed economia vivono forti tensioni, come nel 1992. C’è la mano straniera anche questa volta. E in un momento in cui pure i partiti parlano di vendita dell’azionariato, di privatizzazioni bisogna stare attenti: non ci sto all’idea dell’Italia in svendita”. Noi lo avevamo anticipato ed ecco i primi riscontri.

Nel dicembre del 2011 si era dimesso dalla partecipata di Stato Pierfrancesco Guarguaglini, la cui posizione è stata ora archiviata su richiesta degli stessi PM che lo avevano indagato.  In quella occasione le deleghe erano passate ad Orsi, il quale aveva dimostrato, sin dal principio, di coltivare strategie differenti (oltre che differenti empatie politiche) rispetto a quelle del suo predecessore, soprattutto per quel che riguardava la gestione della controllata americana DRS, nella quale gli italiani, proprio in virtù delle scelte poco accorte di quest’ultimo, praticamente non possono più metterci il naso. Siamo gli unici autolesionisti che acquisiscono imprese all’estero, spendendo fior di quattrini, per non avere in esse alcun diritto di parola. Ma lasciamo stare questi aspetti “industriali” e veniamo agli ulteriori sviluppi del caso.

Orsi è stato accusato di aver pagato (non incassato, si badi bene) mazzette a mediatori, faccendieri e uomini d’affari internazionali, al fine di vendere i prodotti dell’azienda da lui diretta. Ribadisco un concetto semplice e che spero, finalmente, entri nella zucca dei moralisti senza contatto con la realtà, bravi ad inorridire del loro Paese ma sempre così stupidi da credere ai sermoni degli stranieri: lo fanno tutti, non è corretto ma così è. In alcuni casi non c’è modo di vincere le gare in tali settori delicati dove il mercato si mischia alle prerogative di Stato, a meno che non si voglia lasciare campo libero ai concorrenti, meno  “choosy” di noi.

In primo luogo, questo avviene in quelle regioni del globo dove la maggior parte dei funzionari locali è sleale. Come l’India che nella classifica mondiale della corruzione è sotto lo Zambia e prima del Tonga. Adesso, che sia proprio questa a farci la predica, permettendosi di sospendere i pagamenti ad Agusta Westland per i 12 elicotteri AW101 già acquistati a 556 milioni di euro, è il colmo. Si tratta di pretesto che dimostra l’inaffidabilità di questa gente, evidentemente non adusa a rispettare i contratti. Del resto, la stecca la intascavano loro, mentre Finmeccanica era costretta a sganciare. Dopo il caso dei marò del battaglione San Marco, ancora trattenuti dagli indiani, per il presunto omicidio di due pescatori, che i nostri soldati smentiscono categoricamente, ci mancava quest’altro affronto per farci fare la figura dei fessi agli occhi dell’universo. La pazienza dovrebbe avere un limite. Se ancora esiste un Governo a Roma, degno di tale nome, dovrebbe richiamare immediatamente il nostro ambasciatore a Nuova Delhi e poi, alienare la nostra sede diplomatica, magari al Pakistan, tanto non ce ne facciamo niente di una rappresentanza in una nazione che non sta ai patti e non rispetta il diritto internazionale. Ovviamente,  è  una provocazione, ma da come ci trattano, cercando di farci passare per delle macchiette, sarebbe una maniera per metterli di fronte all’infimità dei loro comportamenti.

Nel frattempo, abbiamo appreso che il già direttore di Finmeccanica, Alessandro Pansa, figlio di più noto giornalista “revisionista”, come ama definirsi anche lui, ha ricevuto gli incarichi antecedentemente in capo ad Orsi. Chi è costui? Un membro dell’Aspen Institute e del Consiglio per le Relazione tra Italia e Usa, due salotti che servono alle buone relazioni con la finanza americana. Il cerchio si stringe, ma non è finita perché gli statunitensi non si accontenteranno di un buon amico e nemmeno di un altro prestanome. Una delle nostre migliori aziende di punta sta per passare di mano e noi ci lasciamo travolgere dal solito destino tafazzista in una stagione politica da brividi. Sembra il titolo di una pellicola della Wertmüller ed invece è il brutto film realistico di questa nostra fase storica. Pauvre mon pays, prossimo a diventare un pays pauvre (per dirla alla De Gaulle)!