SINDACATO E POLITICA INDUSTRIALE _ bozza scritta da Giuseppe Germinario

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_44233807_chinese_worker416apCirca due mesi fa la redazione ha inviato ad alcune associazioni e singole personalità il seguente documento con l’intenzione di inviarlo successivamente a tutti gli organismi e le sedi sindacali. Gli attuali gruppi dirigenti si sono cacciati, con ogni evidenza e drammaticamente, in un vicolo cieco tale da rendere sterili la gran parte delle iniziative che percorrono il paese. Il documento vuole essere un contributo ad avviare un dibattito che possa offrire prospettive diverse alle iniziative e alle tante proteste che interessano vari settori industriali. Il contenuto è stato accolto positivamente dalle singole personalità, ma respinto dall’associazione. Abbiamo quindi deciso, intanto, di pubblicarlo sul sito e probabilmente di procedere a breve comunque alla spedizione ai vari interlocutori

Una difesa efficace delle condizioni di lavoro dipende sicuramente dalla definizione giuridica delle tutele dalle discriminazioni, dalla introduzione di contratti di lavoro più stabili e da una regolamentazione semplificata ma rigorosa del rapporto di lavoro e della contrattazione collettiva che non indebolisca la parte più svantaggiata dei soggetti contrattuali; non può però in alcun modo prescindere da una efficace politica di difesa, potenziamento e sviluppo dell’apparato industriale, produttivo e dei servizi del paese. Dalla metà degli anni ’80, i governi italiani hanno adottato una politica di progressiva acritica apertura al cosiddetto libero mercato fatta di gestione incontrollata dei flussi finanziari, di soppressione di politiche attive ed introduzione di mere indistinte incentivazioni fiscali, di privatizzazioni e cessioni incondizionate le quali, piuttosto che migliorare l’efficienza e l’innovazione produttiva, stanno portando al progressivo degrado e depauperamento e alla perdita di controllo spesso drammatici di interi settori produttivi, compresi quelli strategici per l’autonomia e la capacità operativa del paese. L’esatto contrario di quanto stanno facendo i paesi emergenti e quelli ancora egemoni, a cominciare dagli stessi Stati Uniti. Occorre ripristinare una politica di intervento attivo e specifico nei settori industriale e agricolo e di riorganizzazione delle strutture di servizio sia pubbliche che private al netto del parassitismo e dell’assistenzialismo e dei veri e propri cedimenti politici che hanno inficiato le potenzialità emerse negli anni ’60/’70 nell’ambito però di una collocazione internazionale più autonoma ed autorevole e di una ridefinizione radicale dei rapporti tra i principali paesi europei. La progressiva supina collocazione del paese nello scacchiere atlantico, le sciagurate politiche perseguite nei confronti, tra gli altri, della Libia, della Siria, dell’Iran, della Russia hanno comportato pesanti conseguenze ed una ulteriore progressiva subordinazione e dipendenza dell’apparato produttivo e finanziario in posizioni più basse, subordinate ed esposte della catena di valore del circuito economico occidentale. Non solo le attuali politiche, ma la stessa configurazione dei rapporti comunitari e delle strutture amministrative europei stanno accentuando le divisioni, la fragilità e la dipendenza, compresa quella economica, di tutti i paesi del continente, compresa la stessa Germania, con il rischio ormai palpabile che l’intera area torni ad essere terreno di scontro, anche drammatico, di attori esterni; indirizzi economici che impediscono, tra l’altro, la formazione di una adeguata imprenditoria nelle zone depresse e periferiche e di imprese dalle dimensioni e dalle qualità necessarie a sostenere il confronto internazionale. Il movimento sindacale dispone ancora di una forza persuasiva e di una capacità di mobilitazione residue tali da contribuire all’emergere all’interno delle attuali formazioni politiche e nelle nuove che eventualmente si accingono ad emergere di componenti che possano offrire una diversa prospettiva al paese:

  • che prenda atto che una politica europea non può prescindere da un ruolo riconosciuto e determinante degli stati nazionali in modo:
  • che le stesse aperture di mercato e la stessa definizione dei rapporti commerciali con paesi esterni all’Europa non possano essere subordinati pedissequamente ai principi di fedeltà occidentale; in questo senso va respinto il TTIP (Il progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra UE e USA) in quanto limita ulteriormente la sovranità delle nazioni, accentua le disparità e la subordinazione dei paesi europei rispetto agli Stati Uniti, rompe definitivamente qualsiasi serio discorso di costruzione di una Europa delle nazioni e dei popoli
  • che la regolazione dei flussi finanziari, specie quelli esterni alla UE, sia definita in modo da garantire il loro insediamento stabile, lo sviluppo del patrimonio tecnologico, organizzativo ed imprenditoriale del paese ospite; tutti orientamenti ben presenti negli stessi Stati Uniti, non ostante la pubblicistica propinata nel nostro paese ancor più che nella UE
  • che le aperture interne dei mercati puntino, almeno nei settori strategici, piuttosto che ad assorbimenti e cessioni, specie se esterne ai paesi europei,  a concentrazioni e riorganizzazioni delle imprese attraverso forme di compartecipazione soprattutto di strutture azionarie e gestionali nazionali europee tali da garantire dimensioni adeguate al contesto mondiale, un contenimento degli squilibri tra i vari paesi europei detentori di queste capacità e la salvaguardia almeno dei fondamenti delle loro capacità industriali
  • che la formazione e l’utilizzo dei fondi strutturali, di coesione e di investimento europei consenta e promuova la possibilità di politiche nazionali industriali attive tali da favorire le capacità imprenditoriali, il patrimonio organizzativo e tecnologico e l’innovazione continua; al contrario, l’attuale utilizzo dei fondi, anche nelle nuove dimensioni richieste specie dalla sinistra europea, al netto delle stesse evidenti priorità geopolitiche tese a favorire i paesi dell’Est Europeo, nell’ambito apparentemente neutro delle infrastrutture e all’interno della logica del cosiddetto libero mercato, accrescono certamente la domanda interna momentanea dei paesi, ma anche la polarizzazione, la dipendenza e spesso l’impoverimento relativo dei paesi e delle zone economiche periferici
  • che gli indirizzi europei di politica fiscale siano quindi ribaltati in funzione di queste esigenze

Va da sé che tali indirizzi richiedono un recupero delle prerogative degli stati nazionali ed una capacità di contrattazione adeguata specie di quelli più deboli, fragili ed esposti geopoliticamente; i governi italiani, vittime della retorica europeista e di un concetto di fedeltà servile specie negli ultimi trenta anni, non hanno certamente brillato in questa capacità. Nel nostro paese non bastano politiche di mera espansione della domanda interna, più che altro millantate dall’attuale Governo Renzi e, comunque, del tutto ininfluenti ad innescare uno sviluppo, vista l’attuale basso livello di utilizzo della capacità produttiva; anche in caso di interventi realmente significativi, nel migliore dei casi, non farebbero che assecondare gli attuali processi di periferizzazione e complementarietà della struttura economica del paese. Lo stesso intervento a sé stante di defiscalizzazione, per altro necessario anche se impropriamente classificato come “espansivo”, contribuirebbe ulteriormente ad accentuare tali tendenze. Al contrario, una classe dirigente capace di risollevare realmente il paese dovrebbe puntare, nella politica economica, a:

  • incentivare direttamente o meno i particolari ambiti e settori, soprattutto quelli suscettibili di tutela strategica e quelli innovativi
  • riorganizzare, secondo progetti per altro vagamente ventilati alcuni anni fa,  la struttura finanziaria attraverso la tutela e il potenziamento di quegli istituti bancari ancora controllati (CDP, banche cooperative) in modo da favorire la riorganizzazione industriale, l’innovazione tecnologica ed il riassetto patrimoniale, manageriale e gestionale la cui condizione di transizione sta invece drammaticamente spostando all’estero il controllo formale ed effettivo di tante aziende leader nei più svariati settori, da quelli strategici a quelli di base e complementari di particolare rilevanza. Una condizione che, accompagnata da una seria attività diplomatica del tutto sconosciuta agli ultimi governi, consentirebbe una gestione più equilibrata e paritetica dei processi di concentrazione industriale
  • garantire una gestione del risparmio nazionale tale da concentrare i flussi nella gestione diretta del debito e nell’attuazione di quelle politiche industriali e riconsiderare, quindi, i programmi di collocamento a fondi privati di quote azionarie dei collettori e gestori, in particolare di CDP e Poste Italiane, tali da poter condizionare ulteriormente le politiche creditizie e i flussi all’estero di ulteriori quote di capitali
  • analogamente alla esperienza americana, una politica dell’innovazione tesa a mettere in relazione la ricerca universitaria, delle grandi imprese, dei distretti qualificati, dell’applicazione nel civile della ricerca militare

Sono alcuni degli indirizzi fondamentali che potrebbero determinare una svolta alla tendenza al declino del paese e dare un senso e una prospettiva  ai sacrifici cui sono chiamati senza costrutto apparente la gran parte degli italiani; in mancanza e di fronte ad una necessità sempre più impellente di riorganizzazione dei servizi e della struttura amministrativa dello Stato, la protrazione degli attuali indirizzi non farà che appesantire ulteriormente il fardello e spingere ad una difesa disperata e corporativa, almeno per chi potrà permetterselo, di condizioni sempre più incerte. Il movimento sindacale può ancora dare un contributo ad invertire la situazione ed inquadrare correttamente le tante iniziative e le politiche rivendicative e contrattuali in corso. In mancanza, lo stillicidio dal nome di Electrolux, Alcoa, Acciaierie da Terni a Piombino, a Taranto, di Fiat-Termini, assieme alle migrazioni di Merloni, Crotti, marchi del lusso e alla divaricazione crescente degli interessi delle grandi aziende (ENI, Finmeccanica, Fiat), tra le mgliaia di altri casi, è destinato a proseguire, ad interessare anche settori sani dell’apparato industriali con l’eccezione di ambiti e realtà sempre più ristretti