POVERO FANTOZZI, TRA DESTRI E FILOSOFI MARXISTI

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POVERO FANTOZZI, TRA DESTRI E FILOSOFI MARXISTI

Paolo Villaggio, purtroppo, è morto. Il rag. Ugo Fantozzi, invece, continuerà ad evolvere e a risorgere nella tragica commedia della vita. E con lui i deuteragonisti della saga, dal collega-amico Filini, l’organizzatore generoso che non ne azzecca una e causa agli altri, oltre che a se stesso, un mare di guai, a significare che bene e male, amore e odio, spirito di corpo e menefreghismo, possono provocare guasti equivalenti (con l’aggravante che le azioni a fin di bene vengono troppo facilmente scusate). L’uomo è, solitamente, un essere meschino che, in certi casi, riesce ad emanciparsi dalla sua triste condizione, trasformando la merda in oro e viceversa. Poi, c’è quella stronza della signorina Silvani, opportunista e approfittatrice (come solo certe donne sanno esserlo); quel ciuccio e presuntuoso del geom. Calboni, del quale s’innamora inspiegabilmente la racchia di cui sopra, facendo soffrire Fantozzi; Pina, la moglie che non ama ma stima (dopo tanti anni di matrimonio, sfido io); una figlia “scarrafone, che è bella a mamma soja”; i vari megadirettori galattici, figli di puttana “medio progressisti” ed autentici succiasangue; infine, altri casi umani, molto umani, che girano intorno alla storia, alle nostre storie quotidiane, base di partenza della finzione o loro paradossale rappresentazione.
Questo era Fantozzi, l’essere servile ma responsabile, inaffidabile nell’esercizio delle sue funzioni ma non assenteista, l’impiegato per il quale un minuto di ritardo era un dramma, l’onesto lavoratore di incartamenti inutili, membro ingiustamente disonorato della società, la grande (la collettività nel suo complesso) e la piccola (la megaditta), perché chi si impegna, con tutti i suoi limiti, viene, comunque, penalizzato se è socialmente una “merdaccia”, cioè l’ultima ruota del carro, rispetto a chi non fa nulla ma gode della protezione di qualche potente. Questa è l’Italia, signore e signori, quella di ieri, quella di oggi e quella di domani. Questo è il destino dei sottomessi nella nostra forma sociale di produzione. Ma Fantozzi, come ogni vituperato dal fato, cinico e baro, dai colleghi e dai superiori, può sopportare molte umiliazioni, anche la transustanziazione da merdaccia a stramerdaccia, ma non può accettare di essere privato dell’identificazione col suo lavoro. Così, quando viene castigato dalla ditta e trasferito “ad altre vili funzioni”, si vendica leggendo il Capitale di Marx. Nel reparto punitivo, estromesso dal suo misero mondo di bassezze, incontra la pecora rossa, il dipendente intellettuale e comunista, con manie di grandezza, a sua volta emarginato dall’azienda, che parla di cose insensate per una persona qualunque come lui, della rivoluzione contro il padrone, laddove egli cerca solo pane e soddisfazione professionale. E’ la sempiterna questione della lotta classe. Per gli intellettuali essa consiste nel sovvertimento dei gangli sociali, al fine dell’avvento del comunismo, per i dipendenti, invece, è una mera battaglia salariale e per migliori condizioni di lavoro. Le classi subalterne non sono rivoluzionarie ma tradunionistiche, come ben sapeva Lenin. Non a caso, Fantozzi richiamato dalla Direzione, dopo l’atto “sedizioso” di una finestra rotta a sassate, gratificato dalle circonlocuzioni del Megadirettore, accomodanti ma ferme nello ristabilimento delle rispettive funzioni lavorative e sociali (dunque dei rapporti di forza), accetta volontariamente la “sottomissione”, purché tutto gli sia perdonato e possa continuare con la sua routine di ogni giorno (magari con qualche inconsueto premio fedeltà). Lui vuole l’integrazione nel sistema non la sua soppressione. Ciò hanno sempre voluto, in fondo, la classe operaia e il ceto impiegatizio, migliorare il tenore di vita, scimmiottare i benestanti nello stile, ascendere ai medesimi livelli di reddito e di appagamento. E se non direttamente loro, almeno la loro prole, per la quale sognano un futuro dirigenziale. Non è, dunque, quello che racconta Fusaro su Il Fatto Quotidiano: “la disgregazione storica del proletariato come classe in sé e per sé e il suo transito dal sogno di una cosa marxiano al sogno delle cose mercatistico. L’economicizzazione del conflitto segna, ancora una volta, la necessaria premessa per la riconversione del Servo in docile cultore delle sue stesse catene, in soggetto addomesticato che sogna l’ingresso nell’acquario degli impiegati e non più il rovesciamento dell’ordine ingiusto della società classista”.
Semmai è il contrario, è la costante riaggregazione delle categorie subalterne a quelle sovrastanti, a causa di una dinamica a cui non possono sfuggire, respinti ed attratti da forze soverchianti, quelle dei rapporti sociali capitalistici, di cui sono attori-agiti (eterodiretti dal Capitale, per mano dei suoi funzionari privati, anch’essi maschere di rapporti sociali). E’ chiaro che un essere così succube ed abbruttito, suo malgrado, quando torna a casa vuole rilassarsi con la partita di calcio. Non vuole pensare a nulla e non vuole subire anche la coercizione di andare a vedere un film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco, costretto dai suoi capi bastardi. Questa è roba per chi ha tempo “da perdere”, per i soggetti “riflessivi” che fanno un lavoro intellettuale o non lavorano affatto, secondo i canoni fantozziani. Soltanto un individuo del primo tipo può permettersi di affermare, liberando la sua rabbia individuale, che la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca, raccogliendo 92 minuti di applausi dai suoi simili. E ha pure ragione, attenendoci al caso particolare di rottura dei coglioni per l’imposizione di una visione non richiesta, fuori dell’orario di esecuzione della prestazione (le cose belle devono essere scelte autonomamente), ma dandogli torto in generale perché la pellicola di Ėjzenštejn è, ovviamente, un capolavoro espressivo e tecnico. I destri, che al pari dei marxisti parolai, non capiscono un cazzo, hanno interpretato alla lettera lo sfogo di Fantozzi sulla Corazzata Potemkin. Come Berlusconi o Guzzanti i quali sostengono che con quella “cagata pazzesca” Villaggio fece a pezzi il mondo comunista. Niente affatto, semmai sputò in faccia quell’intellighenzia, maggioritariamente di sinistra, che viveva di retorica e di empatia per gli sfruttati, ma soltanto in apparenza. Gente che voleva elevare il proletariato per usarlo come trampolino di lancio per la propria carriera.
Un discorso ancora attualissimo, benchè siano cambiati i soggetti “oggetto” di questa benevolenza da quattro soldi.