BANCHE E FINANZA (quinta parte)

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L’espansione del sistema bancario risale al secolo scorso nelle avventure colonialistiche delle aree di influenza delle grandi potenze, prime tra tutte l’Inghilterra, che sviluppò le sue banche al seguito della flotta nella conquiste delle colonie (così come avvenne anche per gli altri paesi europei ed in misura minore per l’Italia). La supremazia della rete bancaria inglese era collegata alla sua supremazia coloniale derivante dal monopolio sul commercio internazionale, sostituito nel secondo dopoguerra da quello Usa. Il movimento internazionale dei capitali può essere misurato dalla crescita degli investimenti all’estero e, nella fattispecie, da quella delle aziende americane nel resto del mondo. Dalla fine della seconda guerra mondiale, le aziende in Usa produssero un movimento di capitali in uscita di gran lunga maggiore che in entrata con ritmi di sviluppi sempre crescenti assieme a movimenti finanziari ad essi associati. La piazza di Londra fin dall’inizio degli anni ’70 rappresentava la sede fondamentale del mercato monetario e dei capitali internazionali nel mercato dell’eurodollaro, termine limitativo di un mercato non esclusivamente europeo, sostituita qualche tempo dopo da quello ben più importante newyorkese di Wall-Street.
La crescita complessiva della massa finanziaria internazionale era costituita non solo da monete ma anche da prestiti bancari a medio termine e dalle emissioni di prestiti obbligazionari internazionali, dalle imprese multinazionali per il tramite delle banche; l’espansione del Capitale Bancario americano rappresentava l’aspetto più vistoso del processo di internazionalizzazione e centralizzazione dei capitali nello sviluppo delle banche Usa che sono diventate nel tempo le più grandi del mondo con destinazione privilegiata verso l’Europa. Uno dei fattori principali della crescita delle banche americane và ricercato, dagli anni Settanta ad oggi, nella sottrazione di risorse europee a vantaggio delle banche e imprese Usa. Attraverso filiali europee le banche Usa avevano libero accesso a risorse che in patria scarseggiavano o che sarebbero costate molto di più a causa, in particolare, di un livello dei consumi americano molto elevato che ha sempre neutralizzato il formarsi del risparmio, punto di debolezza di una eccessiva propensione al consumo delle famiglie ed impedente l’accantonamento delle risorse. L’intero risparmio di oggi è rappresentato dal 14-15% del Pil, realizzato prevalentemente dalle imprese americane e non sufficiente alla loro crescita economica. Gli Usa per alimentare questi investimenti prelevano risparmio all’estero a una media annua del 4-5% del Pil. La bilancia commerciale Usa è sempre in deficit con l’estero è questo viene compensato in parte da brevetti, servizi finanziari, profitti sugli investimenti esteri e flussi di capitali provenienti da imprese nordamericane che esportano dall’Europa, Cina, America Latina verso gli Usa stessi. Si può dire che questo deficit della bilancia commerciale Usa, pagato in dollari, ha alimentato per un lungo periodo la crescita dell’economia mondiale, un po’ come successe con la
scoperta delle miniere americane nell’offerta abbondante di oro realizzatasi nel basso medioevo.
Le banche americane hanno creato un sistema di protezione ferrea nei confronti dei propri depositi e investimenti fin dalla fine degli anni ’60, nella restrizione all’uscita dei capitali dagli Usa attraverso la “Edge Act” della Banca Centrale “Federal Reserve”; disposizione tutt’ora valida negli statuti delle Merchant Banks che, nei paesi esteri dove operano, vieta le sottoscrizioni di azioni da parte di persone fisiche e società statunitensi: limitazione di capitali Usa in uscita e loro accrescimento in entrata nel continuo reperimento di flussi finanziari di capitali esteri verso le imprese americane, con il risultato di un processo di accumulazione finanziaria negli Stati Uniti da difendere e salvaguardare quale presidio fondamentale al processo di centralizzazione dei capitali da gestire, altresì, attraverso la non coincidenza tra flussi Finanziari e Flussi di Investimenti. Il flusso ininterrotto di risorse finanziare sottratte alla periferia e trasformate in Capitale Finanziario deve essere gestito secondo le priorità del dominio esplicato nelle conflittualità permanenti tra gruppi o frazioni dominanti Usa; una parte residua dell’insieme finanziario ritorna ai paesi periferici quali rappresentanti delle frazioni capitalistiche nazionali in dipendenza simbiotica alle ragioni principali delle suindicate priorità dominanti.
Le Merchant Banks Usa, dall’inizio degli anni ’70 ad oggi, sono diventate una componente importante quasi esiziale, nel reperimento e trasmissione del grande flusso di liquidità verso il Centro, attraverso una diversificazione sempre maggiore delle loro attività finanziarie. Il grande Centro si (man)tiene come un tutto attraverso l’approfondimento capitalistico, nella riproduzione delle frazioni capitalistiche che sopravvivono e si moltiplicano succhiando come idrovore le risorse finanziarie negli appetiti sempre crescenti dello sviluppo che si realizza, nella frammentazione continua di imprese e mercati capitalistici. Le continue diversificazioni finanziarie delle Merchant Banks avvengono in sostituzione ed integrazione della classica intermediazione bancaria e vengono realizzate principalmente nella sottoscrizione e nel collocamento sul mercato di azioni ed obbligazioni di società per azioni, nell’assistenza e consulenza per fusioni ed acquisizioni di aziende, nella gestione di fondi di investimento, nella gestione in proprio di partecipazioni azionarie, nelle attività di intermediazione sul mercato mobiliare e delle materie prime, nello sfruttamento di giacimenti petroliferi come l’ultimo accordo tra la Goldman-Sachs e la Morgan-Stanley del gennaio 2007 per lo sfruttamento del petrolio nel Nord America; più recentemente, a fine febbraio la Goldmann-Sachs si accorda con gli ambientalisti per la difesa dell’ambiente in ottemperanza a interessi ecologici come contropartita dell’inquinamento da essa stessa prodotto e, soprattutto, i nuovi e crescenti appetiti in questo settore, entro valori eco-compatibili (pre)fissati con i Governi nazionali in cui già opera attivamente; tutto questo alla faccia del terrorismo
mass-mediatico sulla eco-compatibilità planetaria, creato ad arte nelle letterature economiche dello sviluppo attraverso la decrescita economica.
Il bastione finanziario Usa, posto a tutela del dominio sull’intero occidente e, particolarmente in Europa, con i presidi finanziari svolti principalmente dalle grandi Banche d’Affari americane, comincia a dare i primi segni di cedimento, gia avvertiti nel grande scivolone delle borse asiatiche ed europee del recente 27 febbraio; soltanto la borsa di Milano ha perso in poche ore il valore di 27 miliardi, corrispondente ad una finanziaria. Il sistema finanziario Usa è poggiato su piedi d’argilla ed è destinato in tempi non lunghi a ridimensionare il proprio ruolo, non senza aver fatto prima pagare pesantemente la propria crisi all’Europa, con più gravi ripercussioni sull’Italia. Due brevi considerazioni di analisi strutturali e finanziarie nelle dinamiche tra loro collegate da implicazioni e coinvolgimenti per l’intero sistema economico. Anzitutto il potente strumento monetario Usa nei confronti delle economie europee: la tenuta del basso cambio del dollaro nei confronti dell’euro incombe in modo drammatico sulle possibilità dello sviluppo della zona euro derivata dalla salvaguardia della sovranità monetaria e finanziaria Usa nei confronti dell’economia mondiale; una sovranità messa in discussione da quella cinese che con le sue riserve ufficiali può già oggi stabilire quale possa essere il cambio del dollaro e dell’euro, ancor più se decidesse di fare incetta con esse delle materie prime strategiche mondiali.
Lo strumento monetario Usa di controllo del cambio, associato al vincolo dei parametri di Maastricht, è il grande ricatto del dominio americano che morde in misura sempre maggiore le economie europee, mano a mano che si approfondisce la crisi dell’egemonia americana nel resto del mondo, in particolare quello asiatico. Il vincolo finanziario dei parametri europei di Maanstricht posti nei deficit nazionali entro il 3% di ciascun Pil è una delle componenti essenziali del dominio Usa nella complessa manovra di accerchiamento nei confronti del proprio “cortile di casa” europeo. Ed anche qui qualche considerazione storica è aperta alla riflessione per maggiori approfondimenti. Anzitutto il periodo scelto nelle imposizioni dei vincoli che, notoriamente, è l’anno di grazia 1992, a ridosso della caduta del muro di Berlino e, per inciso, lo stesso anno dell’inizio di mani pulite. Qualche riflessione dovrà pure essere fatta per questa importante coincidenza che ha segnato in modo profondo l’Europa riservando all’Italia una storia così drammatica e per certi aspetti ancora tutta da scrivere. La coerenza nel rispetto dei parametri del deficit delle economie nazionali rappresenta ben altro che semplice “osservanza parametrica” . E’, in primis, un vincolo imperiale posto insieme ad altri, un limite invalicabile di utilizzo di risorse di ciascun paese europeo per impedire il raggiungimento degli obbiettivi prefissati da ciascuna economia europea; un limite (im)posto in un gioco di più ampio respiro imperiale: l’impossibilità di raggiungere gli obbiettivi prefissati non garantisce la formazione di accumulo finanziario rappresentato da risparmi di risorse
nazionali necessari ad investimenti produttivi nel rilancio della competizione europea. Da questo punto di vista nasce un’ovvia conclusione, cioè che l’imposizione dei vincoli fu dettata in osservanza alle compatibilità Usa necessarie al proprio dominio strategico (garantire il flusso di risorse finanziarie dalla Periferia al Centro).
Quest’ultimo vincolo, limite come si è detto alla crescita europea, pari al 3% dei propri deficit nazionali può aprire una ulteriore riflessione quando si osserva che negli ultimi anni il deficit Usa di squilibrio del proprio conto estero è divenuto il doppio di quello stabilito nella UE, oltre il 6% del Pil annuo; assistiamo al paradosso dei dettati imperiali nei confronti dell’Europa: ciò che è permesso al Centro per quanto concerne il grande deficit senza controllo, non è permesso alla Periferia. E qui, è d’obbligo una ulteriore considerazione. La crescita del deficit Usa è dovuta, in questi ultimi anni, da investimenti di Cina ed Asia su azioni emesse da imprese americane ( per il tramite delle Banche d’Affari) e dal Governo Federale, che ha indotto ad un ulteriore ribasso del cambio del dollaro ed a un conseguente drammatico rincaro dell’euro. Bernanke direttore della Banca Centrale Usa, in controtendenza al suo predecessore Greenspan, continua a ripetere che l’economia è rosea per l’anno 2007, come messaggio alle banche di non tagliare fondi a chi investe negli hedge funds (titoli spazzatura ) e per garantire il grande deficit dei conti correnti (anche commerciali) che corrono su livelli di indebitamenti annui di 800 miliardi di dollari. Questa massa enorme di indebitamento di correntisti americani nei confronti delle banche richiede per la Fed (Banca Centrale Federal Riserve) la necessità di attrarre in misura maggiore denaro estero, rincarando i tassi sui Buoni del Tesoro onde compensare lo scivolamento del dollaro; crescita dei tassi che implica ulteriori aumenti nei confronti di quelli europei, (in Italia innumerevoli sono stati gli aumenti dei tassi sui Mutui verificatisi nel corso di un solo anno raggiungendo la soglia critica del 3,75%, limite oltre il quale i possessori di mutui variabili cominciano a cedere le proprietà di case alle banche) e la catena di implicazioni e connessioni di interdipendenze economiche non si ferma. Le ulteriori perdite del dollaro potrebbero indurre la Cina alla vendita della moneta e valute Usa detenute in quantità rilevanti e ciò potrebbe condurre all’inizio di guerre commerciali tra Usa e Cina, preludio potenziale ad un ingresso di una grande crisi simile a quella del ’29 che può avere oggi un ulteriore aggravio rispetto a circa settanta anni fa: la scarsa retribuzione del lavoro, in presenza di una sua produttività sempre maggiore, con elevatissima, quanto scandalosa, retribuzione del capitale.
La politica fiscale americana, concentrata sulle riduzione della tassazione dei dividendi e capital gains, ha avuto come effetto l’accrescimento degli utili delle imprese e la partecipazione al mercato finanziario del 60% degli americani (in Italia solo l’8%), con i messaggi delle banche ai propri correntisti di continuare ad investire in hedge funds (denominati titoli spazzatura, costituiti da azioni con propensioni al rischio, combinando la vendita allo scoperto e l’uso di capitale di prestito). Il recente scivolone della borsa di Shanghai rappresenta il giro di vite governativo cinese nei
confronti delle banche che concedono prestiti per investimenti dubbi ed al tempo stesso un forte segnale all’economia americana. Se si pensa che le Banche d’Affari Americane per potenziare i loro portafogli di acquisti hanno investito enormemente in titoli spazzatura e che una di queste, la Goldman-Sachs, rappresenta lo sfondo corposo degli interessi Usa sulle banche italiane possiamo immaginare da quali mani banditesche siamo governati.