BEL SUOL D’ODIO E DI RANCORE

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La democrazia in Libia qualcuno la invocò a suon di bombe ma non si vide mai. Si vedono e si sentono, invece, gli effetti del caos portato in nome della civiltà democratica. La Libia era la quarta sponda della Penisola ed è diventata l’ultimo scacco, in ordine di tempo, alla nostra effimera politica estera. Come al solito ci abbiamo messo del nostro per affermare l’inesistenza del Belpaese sullo scacchiere mondiale, tra giravolte geopolitiche (Libia, Iran, Siria) e cedimenti reiterati della sovranità statale (Nato e Ue). Stranamente però più aumenta l’impotenza e più le nostre classi dirigenti sentono di averne guadagnato in credibilità internazionale. Beata sfrontatezza dei servi.

L’ex leader della Jamaria libica Gheddafi era un despota sanguinario, perché iugulava i diritti degli individui e conculcava le libertà del popolo. Eppure, avevamo stretto con l’eccentrico dittatore del bel suol d’amore, oggi terra d’odio e di rancore, accordi di cooperazione politica e commerciale degni di rilievo. Era il nostro figlio di puttana e la cosa ci conveniva. Ma ai nostri partner atlantici non stava bene. C’eravamo arrogati grandezze che non ci competevano. Ed avevano ragione perché Roma non è Washington  e non vale nemmeno quanto Londra o Parigi. Alleati sì, ma senza esagerare. Evidentemente, i tagliatori di gole senza scrupoli che hanno scalzato le nostre controparti panafricane erano manigoldi più utili alla causa, soprattutto perché di lì a breve ci avrebbero estromesso dagli affari per far posto ai francesi, agli inglesi e agli americani. Sembra una delle nostre freddure  in cui l’italiano fa sempre bella figura ed, invece, i freddati della situazione siamo noi.

Tuttavia, anche i migliori doughnuts possono difettare nel buco, ed ecco la Casa Bianca chiederci aiuto logistico perché a Tripoli la situazione sta sfuggendo di mano. Dopo l’uccisione dell’agente segreto con licenza di felucheo, Chris Stevenson, che qualcuno nelle alte sfere gerarchiche statunitensi ha voluto sacrificare, forse per fare un dispetto ad Obama oppure per non metterlo in imbarazzo su fatti a noi pochi noti, è meglio non correre altri rischi.

Il bell’abbronzato, per via della faccia di bronzo, ci ha inviato il segretario di stato John Kerry a ricordarci che “in Libia ci sono ancora tantissime sfide e l’Italia può avere un ruolo cruciale per portare stabilità”. Ma non ci dica. Noi che siamo più codardi che smemorati, anziché rispedirlo al mittente senza tanti complimenti alla signora Michelle lo abbiamo accolto assicurandogli i riscontri necessari. Del resto, i sussulti di Sigonella sono lontani e da quando alla Farnesina è salita una tessera onoraria del Bilderberg è diventato tutto un fatto di convenevoli tra fratelli in grembiulino o aspiranti tali.

Perché agli Usa nessuno avanza un rifiuto anche se è a causa loro se adesso passiamo le giornate a leccarci le ferite ed a rimpiangere il Moro tinto della Tripolitania.

Nel frattempo 200 marines sono sbarcati in Sicilia, pronti ad intervenire in caso d’emergenza. L’isola è cosa loro sin dal 1943, con Cosa Nostra a supporto da illo tempore. E lo Stato a reggere il moccolo ai primi e alla seconda.

Si sono fatti ancora l’Italia e gli italiani. Ringraziamo i nostri governanti e gli americani.