CHIARIMENTO, di GLG, 3 novembre ‘12

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 Anche se in ritardo, desidero apportare qualche chiarimento (delle mie e nostre posizioni) in merito all’ultimo articolo di Stratfor pubblicato lunedì scorso. I lettori avranno sicuramente già capito che esso esprime alcune posizioni non collimanti con le nostre; d’altronde, ciò è logico poiché la rivista si rifà da una delle due linee strategiche, seguite dagli Usa negli ultimi vent’anni, in ogni caso sostenute da gruppi dominanti intenzionati a mantenere il predominio mondiale del paese, contrastando l’avanzata, ancora “timida” e altalenante, del multipolarismo (fase solo transitoria ad un deciso e apertamente conflittuale policentrismo).

Non entrerò dunque in polemica con le posizioni dell’articolo poiché lascio trarre ai lettori le dovute conclusioni circa le differenze “tra loro e noi”. Mi interessa invece far rilevare due interessanti frasi dello scritto, una all’inizio e una alla fine, perché segnalano a mio avviso le differenze tra le strategie (o solo tattiche?) in questione, da noi indicate come “vecchia” (in auge dopo il crollo dell’Urss, ma soprattutto tra l’11 settembre 2001 e la fine del 2006 quando Rumsfeld fu sostituito da Gates) e “nuova” (in particolar modo seguita dall’Amministrazione Obama e caratterizzata da un segnale ben preciso e “simbolico” nell’assassinio di Bin Laden; e, se vogliamo, nella rimozione di McChrystal con Petraeus in Afghanistan).

La prima “frasetta” interessante (e molto chiara) – con relazione all’aggressione della Libia – afferma: “Ciò che emerse in Libia è ciò che ci si aspetta quando una potenza esterna rovescia un governo in carica, per quanto brutale esso sia, senza imporre il suo ordine imperiale: instabilità protratta e caos” (corsivo mio sulla parola cruciale con cui personalmente designo la strategia detta “nuova”). La seconda frase, cui fare molta attenzione (a conclusione di altre assai espressive al proposito e anch’esse meritevoli di considerazione) recita:

 

“Liberarsi di un tiranno quando sei così potente come lo sono gli Usa e la Nato [significativo l’ordine di elencazione, poiché la Nato viene dopo gli (in quanto appendice degli) Usa; ndr] costituisce, al confronto, la parte facile…… Il problema è cosa viene dopo. Può anche accadere che un nazionalista liberale democratico [sequenza ridondante di termini per indicare un semplice Quisling al servizio del potere imperiale statunitense, brutale e violento, quello dei “liberatori” d’Italia nel ’45; ndr] appaia semplicemente dal nulla e afferri il timone, ma non è il risultato più probabile, a meno che non siate pronti per un’occupazione [corsivo mio; quello che gli Usa fecero appunto in Italia; ndr]. E se siete pronti per l’occupazione, bisogna che siate pronti a combattere una nazione che non vuole che voi determiniate il suo destino, a prescindere da quali siano le vostre intenzioni” [corsivo mio. L’Italia non fu, infatti, questo tipo di nazione. In Grecia, dove i comunisti tentarono la resistenza e una via diversa rispetto alla “liberazione”, essi furono schiacciati senza che nessuno potesse portare loro aiuto in base ai patti di Yalta. Del resto, in nessun paese europeo (salvo, ma in forme poco congrue e alla lunga non efficaci, in Yugoslavia) esistette un effettivo “fronte nazionale” in lotta per l’indipendenza del paese: o servi dei falsi “liberatori” o fautori di una “rivoluzione sociale” sostenuta dall’Armata Rossa. Il FLN italiano non fece eccezione; e il Pci, alla fin fine, nemmeno; ndr].

 

Mi sembra che il discorso sia chiaro e coerente. La “vecchia” strategia non crede all’utilità del caos (la “liquidità”), versione modificata del notorio divide et impera. Si fida molto di più dell’aggressione diretta e dell’occupazione. Ovviamente in paesi che non hanno nemmeno iniziato un’effettiva strada di sviluppo capitalistico. Laddove tale sviluppo si è verificato, l’alternativa tra le due strategie non esiste, perché sostituita da un’altra, con maggiori sfumature e complicatezza nell’intreccio reciproco. Tipico il caso dell’Italia, soprattutto negli ultimi anni. Per la potenza predominante diventa indispensabile appoggiare quelli che chiamo “cotonieri”, i gruppi industrial-bancari (finanziari nell’accezione leniniana del termine, non in quella dei superficiali che vedono solo il lato monetario della questione) di tipo subdominante; protagonisti della vessazione di gran parte della popolazione di quel dato paese e, nel contempo, proni di fronte alla cointeressenza servile con i gruppi della potenza in questione. Certo, vi sono anche in tal caso differenze nell’impiego di mosse atte alla corruzione dei “cotonieri”, ma i referenti, nel paese da rendere subordinato, sono abbastanza omogenei fra loro, talché le loro diatribe (come nel caso delle liti tra “subpotenti” nel “pollaio Italia”) non hanno le caratteristiche della divisione secca e violenta. La violenza, in tale tipo di paesi, può essere eventualmente impiegata da un gruppo che infine si ponesse il fine di abbattere i subdominanti e di affrancare il paese dalla subordinazione alla potenza predominante.

Nei paesi tipo Libia, Siria – o come Irak e Afghanistan (e, in altre epoche, il Vietnam, ecc.) – le strategie di asservimento, assai più stretto e cogente, si differenziano maggiormente. Da una parte, si crede, come messo in luce nell’articolo di Stratfor, che sia impossibile non procedere per via di occupazione e di drastica imposizione di dati comportamenti atti a favorire l’occupante. Solo l’economicista integrale può pensare che tale modo d’agire miri allo sfruttamento delle risorse e della popolazione del paese occupato. In Irak tale fraintendimento fu reso possibile dal petrolio, ma in Afghanistan esso è soltanto cervellotico. Il problema centrale sono le sfere d’influenza, fondamentali per cercare di crescere o – come nel caso degli Usa attuali – di impedire (o almeno ritardare) il multipolarismo. Non a caso, gli sciocchi economicisti, fra cui si annoverano alcuni idioti pseudorivoluzionari presi per geni e seguiti da torme di giovinastri senza cervello, hanno straparlato negli ultimi anni di esaurimento degli Stati nazionali, situazione che, più semplicemente, era caratterizzata dal predominio apparentemente incontrastato dello Stato della potenza statunitense. Oggi, che si approssima il suddetto multipolarismo, appare evidente come i vari Stati (anche delle potenziali potenze) si confrontino e si combattano, spesso per “interposto paese” (reso subordinato), usando in pieno dei loro apparati costituenti lo Stato (quelli addetti alla violenza) poiché è fondamentale appunto la questione delle sfere d’influenza.

La “vecchia” strategia Usa non si fida di misure di tipo curvilineo – o, forse detto meglio, reticolare; con riferimento, cioè, alla “rete di canali” in cui far scorrere la propria forza allo stato “liquido” – e prediligono l’attacco diretto e l’occupazione del paese che possa servire da base per successive manovre relative all’area da influenzare (da controllare al fine di frapporre ostacoli alla crescita delle potenze avverse). Proprio per tale motivo, i gruppi portatori di tale strategia criticano l’attuale atteggiamento “obamiano” (un nome per indicare determinati centri strategici di certi ambienti dei dominanti) portato, fra l’altro, a sminuire l’Esercito nei confronti di Marina e Aviazione; ed è ovvio che tali gruppi trovino dunque particolare appoggio nel corpo armato di terra.

Si ripete, in forme certo modificate dalla diversa situazione geopolitica non più bipolare, quanto si verificò quando Nixon – orientato da Kissinger – aprì alla Cina e, nel contempo, avviò concrete mosse per la pace in Vietnam (accordo del gennaio 1973 firmato a Parigi), ammorbidendo così (temporaneamente e tatticamente) anche il contrasto con l’Urss. La manovra, nel suo complesso, voleva lasciare maggiormente libere Urss e Cina di contrastarsi vicendevolmente, giacché la guerra in Vietnam costringeva i due paesi “socialisti” a forme di collaborazione e impediva l’esplodere di una resa dei conti all’interno del partito comunista nordvietnamita tra la frazione filo-cinese e quella filo-sovietica, dimostratasi poi maggioritaria e vincente (con successivo scontro tra Vietnam riunificato e Cina nel 1979, susseguente all’invasione della Cambogia da parte dei vietnamiti, che fecero cadere Pol Pot, più vicino ai cinesi). La resistenza di ambienti statunitensi alla strategia nixoniana – cui si deve sicuramente anche la vicenda Watergate, con la famosa “gola profonda” Mark Felt, agente FBI, rivelatosi solo nel 2005 – impacciò e ritardò l’operazione, fece saltare gli accordi di Parigi (gli Usa si erano però ritirati e avevano lasciato nel Vietnam del sud solo una minima parte di “coadiutori”). Si arrivò quindi nel 1975 alla campagna finale delle truppe nordvietnamite con vittoria decisiva a Phuoc Binh e caduta di Saigon il 30 aprile di quell’anno.

Anche oggi, sembra che le due strategie si intrighino a vicenda. Quella “nuova” sembra però ancora in buon vantaggio al momento. Del resto, dopo la sua rielezione (a mio avviso del tutto probabile), si vedrà se Obama porterà infine a termine il ritiro dall’Afghanistan o se si lascerà invischiare come a suo tempo Nixon. In ogni caso la strategia dei centri strategici, che operano nel contesto dell’attuale politica estera, non è totalmente affidata al metodo del caos e della liquidità. A est e sud-est della Cina si cerca di creare un solido cordone (e fra i paesi che lo compongono vi è pure il Vietnam). Il suddetto ritiro dalla terra afghana, almeno nelle intenzioni, dovrebbe alleggerire le preoccupazioni di Russia e Cina nei confronti della politica statunitense – timori che per il momento determinano una obbligata (quasi) “amicizia” tra i due paesi – consentendo loro di meglio sviluppare politiche non convergenti in area centroasiatica con possibilità di scontro (che esistono pure anche a nord verso la Siberia).

La strategia del caos è invece in pieno svolgimento a ovest (e sud-ovest) della Russia: nordafrica, medioriente, con precisi intendimenti pure in zona europea, di cui fa le spese in modo speciale il nostro paese, solita “portaerei” ben situata nella zona di possibile contrasto e di cercato indebolimento del paese ex sovietico. E’ ovvio che una simile strategia deve contemplare, come già rilevato in passato, vari “incidenti di percorso”, qualche boomerang, ecc. Probabilmente, pur essendo appoggiato da dati ambienti, lo stesso Obama sarà costretto a qualche modifica dell’attuale strategia (come del resto accadde per la “vecchia” a Bush quando sostituì Rumsfeld), onde adeguarla a condizioni rese via via più difficili da una crisi che – contrariamente a quanto sostengono (mentendo spudoratamente) gli attuali governanti “occidentali” (quelli italiani in testa, più “realisti del re” come sono sempre stati in quanto miserabili avanzi di una “classe” di subdominanti particolarmente fradicia) – non finirà presto; proprio perché non è affatto soltanto economica (e per null’affatto prevalentemente finanziaria), dipendendo invece dall’avanzante multipolarismo che accentua la ben nota s-regolazione del sistema capitalistico.

Del resto, non credo che gli ambienti americani – con referenti politici soprattutto fra i repubblicani – si rassegneranno alla “nuova” strategia così com’essa è al presente; implicando, fra l’altro, una qualche riduzione di peso dell’Esercito. Mi sbaglierò, ma ho l’impressione che questa parte politica non s’impegni a fondo per sconfiggere Obama e, quindi, i gruppi di predominanti che stanno dietro a quest’ultimo. Probabilmente, si aspetta di constatare meglio dove porta la “nuova” strategia; e si vuol pure accertare l’evoluzione politica di Russia, Cina, ecc. Il multipolarismo è già di per se stesso portatore di caos; se poi dovesse evolvere verso il policentrismo (nuova epoca simile al vecchio imperialismo, così frainteso la prima volta che se ne ebbe esperienza a cavallo tra XIX e XX secolo), l’odierna strategia statunitense diventerebbe a sua volta vecchia e inizierebbero i vari balletti di alleanze, disfacimento delle stesse, nuove alleanze con i nemici di poco prima, ecc.; tutti scoordinamenti ben noti da epoche molto antecedenti lo stesso capitalismo. Ne vedremo delle belle (cioè di bruttissime) nei prossimi anni.

Malgrado le menzogne di lestofanti inveterati – miserabilissimi quelli italiani, i più laidi di tutti – si tratterà di ben attrezzarsi alla bisogna. Per il momento ho solo voluto dire quattro cose affinché non si fraintendesse il nostro pubblicare posizioni imperiali relative alla “vecchia” strategia Usa (vecchia, ma non abbandonata).