Contro la decrescita e gli intellettuali imbroglioni

Decrescita-felice

Decrescita-feliceUn buon libro di Luca Simonetti, edito da Longanesi, intitolato “Contro la decrescita”, mette finalmente al tappeto i paralogismi, i sofismi, i logaritmi gialli e tutte le altre argomentazioni false e tendenziose dei teorici di questa scuola di “de-pensiero”, portata alla ribalta da un certo intellettualume post-marxista, incistato da vecchi arnesi del pensiero comunitario organicistico di destra ed altri immondi terzomondisti che antepongono “er core” alla ragione per meglio nascondere il portafoglio pieno. La decrescita è un fenomeno (in)culturale, politicamente trasversale, che è riuscito a mettere sullo stesso fronte reazionario ex sedicenti marxisti come Latouche, neo-marxisti idealisti come Fusaro, autentici cialtroni travestiti da santoni come Vandana Shiva, profeti del regresso sociale che disprezzano la modernità, salvo farne abbondante uso per propagare le loro sciocchezze, come Massimo Fini (non citato nel libro), pauperisti incalliti, pronti a condannare a morte milioni di vite (escluse le loro) in ossequio al rispetto di antichi “parametri naturali” in quanto bisogna imparare a sopportare, senza troppe lamentele, fame e malattie, come Ivan Illich, ed altra umanità varia ed avariata, col gusto di insegnare agli altri l’austerità senza praticarla personalmente. Quando non è fuffa la decrescita è nostalgia dei bei tempi andati, a volte così andati che qualcuno è riuscito persino a rimpiangere l’era paleolitica (Zerzan). Tuttavia, sono sempre meglio questi sentimentali che si spingono fino al paradosso di rievocare l’età della pietra, attirandosi addosso persino lo scherno del volgo ignorante ma gaudente, che certi finti rivoluzionari i quali, invece, pretendono di usare le loro balzanerie per fare la guerra al finanzcapitalismo (altro concetto spazzatura inventato da questi imbecilli a reti unificate). Insomma, i decrescisti sono l’anello di congiunzione tra il nostro antenato scimmiesco ed il truffatore più scaltro ed evoluto, coccolato dall’editoria e dai media, per la gioia dei pre-potenti del mondo, soddisfatti che l’opposizione al capitalismo venga da questa genia di imbroglioni capaci di perorare l’esodo dalla realtà come forma di (finta) resistenza al sistema. Simonetti però rimette intelligentemente le cose a posto, dimostrando che questi teorici del piffero, cianciano a vanvera di concetti vuoti che nemmeno si sforzano di riempire: Che la decrescita sia solo una parola? C’è chi lo ha affermato. Per esempio, Latouche più volte ha scritto che la decrescita non sarebbe niente altro che «uno slogan politico… una parola-bomba», una «parola d’ordine», oppure «una bandiera», uno «slogan provocatorio»”.Non ci sorprende, dunque, che essendo la decrescita solo una espressione senza senso abbia attirato, come una calamita, un esercito di parolai accademici, veri cani da riporto del pensiero dominante pronti a lanciarsi su qualsiasi osso alla moda per ricavarne fama e luci del varietà. La decrescita felice fa felici e contenti esclusivamente i filosofi che se ne fanno latori a bischero sciolto, i quali occupando tutti gli spazi pubblici della critica alla fase storica impediscono a gente più lucida e saggia di far conoscere le proprie opinioni. I decrescisti, come quelli che concionano di finanzcapitalismo e di altre simili amenità, lavorano per il re di Prussia ma si spacciano per paladini del popolo. Resta da segnalare un punto fondamentale, il vero tema che chiude qualsiasi discorso con questi terremotati della ragione, con siffatti sfollati dal cervello, sicofanti e lestofanti al contempo. Nessuno di loro ci ha ancora spiegato, come scrive correttamente Simonetti,“…come si possano ricreare i «modelli culturali» e l’«organizzazione sociale» del Paleolitico senza ricreare anche il sistema di produzione del Paleolitico. Come osservava Marx: Proudhon ha compreso perfettamente che gli uomini fabbricano il panno, la tela, la seta entro determinati rapporti di produzione. Ma non ha compreso che questi rapporti sociali determinati sono prodotti dagli uomini esattamente come lo sono la tela, il lino ecc. I rapporti sociali sono intimamente connessi alle forze produttive. Impadronendosi di nuove forze produttive, gli uomini cambiano il loro modo di produzione e, cambiando il modo di produzione, la maniera di guadagnarsi la vita, cambiano tutti i loro rapporti sociali. Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore la società col capitalista industriale.” Bisognerebbe precisare, per non incorrere in una visione ristrettamente tecnologistica, che Marx, sempre in Miseria della Filosofia, qualche pagina dopo scrive: “Le macchine non sono una categoria economica più di quanto lo sia il bue che trascina l’aratro. Le macchine non sono che una forza produttiva. La fabbrica moderna, che si basa sull’applicazione delle macchine, è un rapporto sociale di produzione, una categoria economica”. Ovvero, al centro devono essere messi i rapporti di produzione, è questo l’unico modo per non cadere negli errori grossolani dei deficientisti (così meriterebbero di essere chiamati, altro che decrescisti!) perché il Capitale è, innanzitutto, un rapporto sociale. Costoro, i deficientisti, sono una rogna, una iattura, andrebbero picchiati selvaggiamente e poi esposti alla pubblica gogna, sputati in faccia e frustati per ogni apparizione televisiva nella quale hanno propalato slogan vacui e falsità sudicie, in quanto si sono resi complici di quelli che dichiaravano di voler contrastare, hanno distratto molti giovani dai veri obiettivi dell’epoca presente, sottraendo energie fresche alla comprensione dei fatti e dei compiti urgentissimi dei nostri tempi, quelli connaturati al “capitalismo di oggi” (di matrice americana, molto differente dal capitalismo borghese dell’epoca di Marx) e alla lotta in corso tra agenti strategici a livello di formazioni geopolitiche mondiali.