CONTROREPLICA IN MERITO ALLE CRITICHE RIVOLTE ALLA RELAZiONE DI O. PESCE (di E. Ricciardi).



Di seguito propongo una replica, per punti, al post di Iglis Restani, seguendo l’ordine d’esposizione delle considerazioni di quest’ultimo, con la precisazione preliminare, tuttavia, che, poiché l’”appello” cui si fa menzione nel post non ha formato oggetto delle mie osservazioni critiche, in quanto da me non letto e comunque nemmeno pubblicato su questo blog, non è pertinente richiamarlo per ribattere alle mie critiche, che riguardavano, appunto, solo e soltanto la relazione di Pesce.

1) Anzitutto, credo sia buona regola metodologica, quando si citano alla lettera brani di un testo dotati di una loro intrinseca unità sintattica e semantica, riportarli per intero. In concreto, così viene riportata la conclusione delle mie osservazioni: “un dichiarato non interventismo rispetto alla Libia….cosa ,che se così fosse, non condividerei….”. Questa, invece (a parte l’errore nel riportare la punteggiatura), è la frase intera: “Infine, mi pare che il dichiarato non interventismo rispetto alla Libia sia declinato come equidistanza fra Gheddafi e gli insorti. Cosa che, se così fosse, non condividerei, giacché credo che, in questo momento, il primo vada sostenuto senza riserve”. Dunque, nel sottolineare comunque i termini dubitativi in cui ho formulato questa affermazione (segnalati dall’uso del condizionale), criticavo quello che a me è parso un atteggiamento di “equidistanza” (come mi sembra attesti la seguente affermazione di Pesce: “il popolo libico deve risolvere da solo i suoi conflitti, senza ingerenze e senza intervento armato dall’esterno”), ritenendo invece che, in questo momento, Gheddafi vada sostenuto senza riserve (per quello che conta, poi, il nostro sostegno). Anzi, a mio avviso ipotetiche “ingerenze” armate a favore di Gheddafi sarebbero (e sarebbero state fin dall’inizio dell’aggressione) le benvenute.

2) Quanto appena rilevato serve anche a confutare ciò che ha affermato Restani: “Gli obiettivi indicati vanno a favore e sono di sostegno al legittimo governo della repubblica libica”. In realtà, come si è appena visto, non è così. Didatti, una cosa è asserire “no all’intervento armato, se la veda da solo il popolo libico”; altra è affermare “Gheddafi è l’aggredito, e va comunque sostenuto il suo pieno diritto di reprimere gli <insorti>”. E quest’ultima posizione, nella relazione di Pesce, non è sostenuta.

3) Pertanto, se la posizione di Pesce è quella da me qui ricordata, “l'obiettivo di costruire una opposizione a questa guerra” (lascio perdere, per la sua genericità, l’altro dichiarato obiettivo costituito dall’”approfondimento delle questioni”), il quale è ricondotto da Restani ai “motivi pratici” che avrebbero sorretto la relazione di Pesce così come alla loro iniziativa, rischia di stemperare ed essere assorbito nel genericismo pacifista e super partes, tanto più se abbinato all’invito – formulato, come detto, nella relazione di Pesce – a “lasciar fare” al “popolo libico”. Questo è uno, se non il principale, tra gli errori di valutazione a cui può condurre un’analisi condotta facendo uso di nozioni, perifrasi e categorie quali “milioni persone in piazza”, “solidarietà tra i popoli”, “rabbia popolare”, “masse”, “popolo arabo”, ecc.. E sono proprio di questo tipo gli “errori di valutazione rilevanti nell’immediato” di cui facevo menzione nelle mie osservazioni critiche, quando mi riferivo ai “motivi … pratici” di dissenso rispetto alla relazione di Pesce. Faccio notare, al riguardo, che ciò era già tutto scritto. Quindi, allorché Restani afferma che tali motivi pratici “non [gli] sono chiari”, egli dovrebbe attribuire la sua difficoltà nel “vedere chiaramente” detti motivi, ad altri fattori che non alla mia prosa.

4) A parte che nel mio intervento non affermo mai “la presenza nei paesi arabi di movimenti popolari”, bensì di manifestanti (con riferimento a Tunisia ed Egitto) e di insorti (rispetto alla Libia), comunque il punto è che non annetto alcuna funzione salvifica e progressiva di per sé a tali pretesi movimenti. E men che mai mi pare gliela attribuisca La Grassa. Anche perché è molto facile, soprattutto con l’apparato mediatico che abbiamo visto all’opera in questi mesi (ed in questi giorni, anche rispetto alla Siria), far passare agitazioni di gruppi relativamente minoritari della popolazione per oceanici sommovimenti di popolo. Al riguardo, ritengo che taluni documenti e manuali di istruzioni, redatti per lo più da organizzazioni statunitensi vocate all’esportazione della democrazia occidentale, relativi al modo di condurre la c.d. “lotta non violenta” per la democrazia, possano offrire elementi utili per valutare in modo meno trasognato l’asserita genuinità di certi presunti movimenti di popolo.

5) Restani riporta questo mio passaggio: ”L'affermazione …secondo cui l'Occidente tenderebbe a valutare negativamente le rivolte…deriva (i) proprio dalla necessità ( di Pesce) di valorizzare le rivolte in quanto sommovimenti di popolo…..poiché quest' ultimo è buono e progressivo per definizione…”, aggettivandolo come “piuttosto confuso”. Però poi, per contestare tale passaggio, si pone l’interrogativo se “L'Occidente valut[i] negativamente o positivamente questi movimenti”. Esatto, il punto preliminare della questione è individuato. Ma allora, evidentemente, il mio passaggio non era così confuso e Restani, difatti, l’ha ben compreso. Ciò rilevato, egli aggiunge: “I fatti concreti però al momento sono che Obama continua a sostenere i generali in Egitto”. Esatto anche questo. Omette però di ricordare, Restani, che l’ascesa al potere dei generali è stata salutata e “voluta” dalla sua tanto amata “piazza”. Analogamente, omette di ricordare che nella generalità dei media occidentali si sprecano gli elogi delle giovani generazioni egiziane e tunisine che hanno sete di benessere e “libertà democratiche” (proprio di quelle stesse “libertà democratiche” per cui, anche secondo Restani, combattono i giovani arabi in rivolta). Quindi, è confermato che, contrariamente a quanto asseriva Pesce, l’Occidente non agita alcun spettro dell’islamismo e non perde occasione, anzi, per continuare ad elevare inni alla c.d. “primavera araba”.

6) Ma allora perché Pesce ha avuto bisogno di sostenere che l’Occidente sta invece reprimendo i movimenti arabi? Perché, ripeto, in questo modo si dimostrerebbe, per logica contrastiva, l’autenticità popolare ed il carattere progressivo dei movimenti stessi. Peccato che, appunto, l’Occidente, ed in primis la sinistra tutta, si stia dimostrando, al contrario, un fervente sostenitore di tali c.d. movimenti. Poi si può pure non escludere che siano in atto repressioni in Egitto e Tunisia (ma non dispongo di alcuna informazione sul punto). Tuttavia, anche ammesso ciò, ci si dovrebbe allora domandare perché mai queste formidabili for
ze di popolo, che sarebbero state capaci di cacciare in un baleno Ben Alì e Mubarak, ora non siano in grado di cacciare i militari. E si dovrebbe allora quantomeno revocare in dubbio che tali presunte forze di popolo siano state effettivamente fomentate, dirette ed incanalate verso gli obiettivi desiderati da quegli stessi raggruppamenti che ora, secondo la tesi che continuo a considerare schiettamente populista, ne sarebbero i nemici. E siffatto dubbio, a sua volta, rimanda al sospetto che, allora, non si sia in presenza di forze di popolo, ma di elite che hanno capacità e mezzi per incunearsi in determinate congiunture sociali, magari anche oggettivamente già instabili, al fine di non solo semplicemente indirizzare, ma creare esse stesse ciò che poi diventerà, nella vulgata, il sommovimento di popolo. Non vorrei, in fine, che l’entusiasmo invocato da Restani finisca per sostituire il – certo, meno eccitante e soggettivamente gratificante – “pessimismo” della ragione (anche se credo bisognerebbe sottrarsi all’automatismo dell’uso della coppia ottimismo/pessimismo).