DOBBIAMO MORIRE PER WASHINGTON

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Gli Stati Uniti d’America stanno creando un cordone sanitario intorno alla Russia. A sostenerlo sono gli stessi analisti americani che, al contrario di quelli europei, hanno il dono dell’onestà intellettuale. George Friedman, animatore del think tank Stratfor, è uno di questi ed è stato proprio lui ad affermare, al Chicago Council on Global Affairs nel 2015, che il piano principale degli Stati Uniti e dei suoi amici sarà questo per l’imminente futuro. La Guerra Fredda si è conclusa nel 1991, con l’implosione dell’Urss, ma la cortina di ferro, dopo 25 anni, viene nuovamente innalzata. Perché? Non c’è più il comunismo che minacciava lo stile di vita occidentale e la Russia si è adeguata a molti degli standard internazionali di matrice capitalistica, basati sulla proprietà privata, l’impresa, il mercato, ecc. ecc. Forse, anzi sicuramente, il comunismo non c’è mai stato e quello che così veniva chiamato era un sistema diverso, ancora di difficile decifrazione, che, comunque, si contrapponeva all’alleanza dei paesi atlantici e ai loro sistemi economici e politici. L’opposizione socialismo-capitalismo era, pertanto, una formula ideologica, pur se non solo apparente, che nascondeva dell’altro. Oggi la situazione ci appare più chiara per il venir meno di quelle vecchie schermature idealistiche dissoltesi con la fine del comunismo e le varie trasformazioni capitalistiche. Dietro il paravento della battaglia tra gli “ismi”, ciascuno con le proprie specificità sociali e culturali, si stagliava la politica di potenza di due giganti egemoni e avversari che, usciti entrambi vincitori dal conflitto mondiale, erano giunti a controllare vaste aree del globo insidiandosi (e annullandosi) a vicenda. Non era però una situazione di equilibrio perfetto poiché gli Usa sono sempre stati davanti all’Urss nonostante le circostanze impedissero una preponderanza più netta di quelli su questa. Ma possiamo dire, senza alcuna discussione, che le nazioni leader di questo scenario bipolare erano la Russia per l’Est e gli Usa per l’Ovest. Ora l’America non vuole che quella spartizione si ripeta trascinandosi dietro rapporti di forza ad essa sfavorevoli. L’Europa, dopo la seconda guerra mondiale, era stata divisa per zone d’influenza riferentisi ad un campo o all’altro. Quelli che oggi sono membri dell’Ue erano effettivi del patto di Varsavia, ispirato da Mosca. La Repubblica Democratica Tedesca, la Polonia, la Cecoslovacchia, la Romania e la Bulgaria. Altre Repubbliche sovietiche, dichiaratesi poi indipendenti, sono entrate nell’Unione Europea, come quelle Baltiche. Alcune stanno provando ancora a farne parte, vedi Georgia e Ucraina. Jugoslavia e Albania, benché repubbliche socialiste, godevano di maggiore autonomia dal Cremlino. La prima, in seguito alla caduta dell’Urss, è stata smembrata con un conflitto etnico sanguinoso e attirata quasi interamente sul versante Euro-Atlantico, al pari della seconda di cui noi italiani ricordiamo in particolare l’esodo della disperazione dei suoi abitanti sulle coste pugliesi. Nonostante le promesse di Bush senior a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe allargata nella parte orientale dell’Europa è avvenuto l’esatto contrario, con la Russia che attualmente è circondata da basi nemiche. Washington ha ridisegnato la cartina europea, la stessa Unione ne ha approfittato per espandersi ai danni di Mosca ma la nostra propaganda filo-americana continua ad accusare la Russia di rappresentare un pericolo per il Continente e l’integrità territoriale dei suoi componenti. Tutto questo per essersi riappropriata di una piccola penisola come la Crimea, donata a Kiev ai tempi di Kruscev, nella quale ci sono suoi insediamenti militari. Il capovolgimento della realtà è evidente a chiunque non sia in cattiva fede.
Tuttavia, gli europei non si sono accorti o fingono di ignorare un fatto determinante. L’unificazione europea è essa stessa un progetto americano, sin dall’inizio. Ogni passo che essa mette è preceduto da uno della Nato, cioè degli Usa, che con la volontà ed il pretesto di fermare presunti nemici esterni stringono la loro morsa su Bruxelles. Per questo si dice che l’adesione di uno Stato alla Nato è l’anticamera del suo ingresso nell’Ue. I missili puntati sul Cremlino sono su territorio europeo ma a disporne è la catena di comando yankee, la quale condivide le decisioni, per mantenere le apparenze, a giochi già stabiliti. Chi ha il monopolio della forza ha la capacità decisionale e se qualcosa non gli va bene da sostenitore può tramutarsi velocemente in avversario. Siamo ancora sicuri, a questo punto, che il pericolo più grande per noi sia l’orda slava?
Non ci stiamo inventando nulla perché sono i documenti d’oltreoceano a confermarlo.
Scrive James Hansen su Italia Oggi: “un memorandum del 1950 dà istruzioni dettagliate sulla conduzione di una campagna per favorire la creazione di un parlamento europeo. È firmato dal generale William Donovan, il direttore nel corso della seconda guerra mondiale dell’Oss-Office of strategic services, diventato la Cia alla fine del conflitto. Il principale veicolo per il coordinamento e il fianziamento è stato l’American committee for a united Europe, l’Acue, fondato nel 1948. Donovan, nominalmente tornato a vita privata, ne era il presidente. Il vicepresidente era Allen Dulles, il fratello del segretario di stato John Foster Dulles e lui stesso il direttore della Cia negli anni Cinquanta. Il board era composto da numerose altre figure di primo piano nell’intelligence, sia di provenienza Cia che già attive nell’Oss. I documenti reperiti indicano che l’Acue è stato di gran lunga il principale finanziatore del Movimento europeo, la più importante organizzazione federalista europea del dopoguerra. Dimostrano, per esempio, che nel 1958 gli americani hanno fornito il 53,5% dei fondi del movimento, che contava tra i suoi «presidenti onorari» personaggi del calibro di Winston Churchill, Konrad Adenauer, Léon Blum e Alcide de Gasperi. Alcuni dei suoi rami operativi, come la European youth campaign, erano totalmente finanziati e diretti da Washington. Dalla documentazione emerge che i leader del Movimento europeo, Joseph Retinger, Robert Schuman e l’ex primo ministro belga Paul Henri Spaak, venivano a volte trattati alla stregua di «bassa manovalanza» dai loro sponsor americani, una fonte di comprensibile infelicità”.

Le premesse sono state queste e le conseguenze appaiono anche più ferali sotto i nostri occhi contemporanei. Per giunta, la presente classe dirigente europea non vale nemmeno l’unghia di quei nomi altisonanti apparsi nei rapporti citati. Se Churchill o De Gasperi si sono lasciati circuire dietro sovvenzionamenti i nostri politici sono sicuramente a libro paga.
Da quando la Russia si è risollevata dalle sue ceneri le pressioni statunitensi per tenerla lontana dall’Europa sono cresciute esponenzialmente. Washington teme come la peste un asse Berlino-Mosca che sarebbe in grado di rimettere in discussione la sua supremazia sul Vecchio Continente. Inoltre, non intende più indorarci la pillola (anche perché le contingenze sono profondamente mutate) della disputa mondiale in atto assumendosi ogni responsabilità (il nostro welfare state, dalla culla alla tomba, poté svilupparsi grazie a questa sua iperprotezione durante la Guerra Fredda), come nel secolo precedente, allorché la presenza di un antagonista col quale quasi si equivaleva suggeriva di utilizzare molto più soft power ed elargizioni economiche in cambio della fedeltà dei propri clienti. Anche ciò viene detto esplicitamente da George Friedman:

“Noi ci troviamo costantemente in delle guerre. L’Europa non tornerà agli anni ’30 ma tornerà alle cose umane, avrà le sue guerre e le sue paci, avrà perdite di vite umane, magari non si conteranno centinaia di milioni di vittime ma il fatto che l’Europa si ritenga eccezionale, penso sia la prima cosa che mi colpisca…ci saranno conflitti, ci sono già stati conflitti, in Jugoslavia ad esempio, ora c’è di sicuro un conflitto in Ucraina…il principale interesse per gli Usa, per via del quale abbiamo combattuto delle guerre, I, II guerra mondiale e Guerra Fredda, consiste nella relazione tra Germania e Russia, perché se si uniscono sono l’unica potenza che possa minacciarci. Dobbiamo essere sicuri che questo non succeda. Gli Usa hanno un interesse fondamentale, ora controllano tutti gli oceani del mondo, nessuna potenza si è mai nemmeno avvicinata a farlo, è grazie a questo che possiamo invadere senza essere invasi. Tenere saldo il controllo dei mari e dello spazio è la base della nostra potenza. Il modo migliore per sconfiggere una flotta nemica è impedire che sia mai costruita…gli Stati Uniti non possono invadere l’Eurasia, non appena il primo soldato mette il suo stivale sul terreno scatta la superiorità numerica…però possiamo dare appoggio a numerose potenze rivali affinché si scontrino tra di loro: appoggio politico, economico, militare, consulenti. Possiamo, inoltre, destabilizzare il nemico con attacchi invalidanti. Dunque, gli Usa non possono intervenire costantemente in tutta l’Eurasia, devono intervenire selettivamente. E solo come estrema ratio…La vera incognita in Europa è rappresentata dal fatto che mentre gli Usa costruiscono il loro cordone sanitario…noi non conosciamo la posizione della Germania. La Germania si trova in una posizione del tutto particolare. Il suo ex cancelliere Gerhard Schroeder fa parte del consiglio di amministrazione della Gazprom e in Germania hanno una relazione molto complessa con i russi. Gli stessi tedeschi non sanno che fare. Devono esportare ed i russi possono comprare le loro merci. D’altro canto, se perdono la zona di libero scambio devono pur inventarsi qualcosa di differente. Per gli Usa la paura più forte è data dal capitale russo, dalla tecnologia russa. La tecnologia tedesca ed il capitale tedesco, assieme alle risorse naturali russe e alla manodopera russa, rappresentano l’unica combinazione che da secoli spaventa gli Usa. Come finirà? Gli Stati Uniti hanno messo già messo le carte in tavola: si tratta del corridoio dal Baltico al Mar Nero”.

Washington vuole dominare questo passaggio strategico in funzione antirussa e potrà farlo in pieno se la Germania, ago della bilancia europeo, si adatta ai suoi programmi. Ma se Berlino cede anche l’Europa cadrà sotto un giogo perenne.

Dunque, noi europei dovremmo combattere e morire per realizzare i programmi americani sul nostro suolo. Dovremmo combattere e morire soprattutto contro i russi e principalmente per evitare che russi e tedeschi ottengano un accordo col quale buttare fuori gli yankee dal Continente e sottrarlo all’influenza statunitense. Dovremmo combattere e morire per garantire la predominanza americana e la nostra sudditanza alla Casa Bianca. Dobbiamo davvero sacrificare la nostra migliore gioventù per scelte che non ci appartengono? Siamo ancora convinti che convenga stare dalla parte di Washington? Da adesso in poi, quando l’Alto Rappresentante per la politica estera europea ripeterà un’altra volta che Mosca è una minaccia per Bruxelles, laddove gli elementi che vi abbiamo fornito rivelano l’opposto, saprete per conto di chi sta parlando e per quali sporchi obiettivi antieuropei.