GLI INTELLETTUALI E LA CRISI

merlino

Non è vero che le fasi di crisi falcidiano ciascuno in egual modo. La crisi è per molti ma non per tutti. C’è sempre qualcuno che riesce ad approfittare della situazione e a rafforzarsi nei settori in cui opera. Per dieci banche che falliscono, una si espande conquistando il mercato delle concorrenti cadute in disgrazia.Lo stesso vale per le imprese e per tutti gli altri soggetti economici che si contendono soldi e primato. Il denaro non evapora ma cambia cassa e posizione. I forti resistono e i deboli periscono, gli squali ingrassano e i pesciolini scompaiono. La crisi è come un’era di violenta selezione naturale dalla quale escono vivi solo gli esemplari più resistenti, quelli più rapidi agli adattamenti dell’ambiente circostante, quelli più furbi e meno avvezzi alle buone maniere o, se preferite, più adusi alle cattive.

La lotta per la sopravvivenza diventa la regola ad ogni livello, dal macrocosmo politico, al microcosmo economico e tutti ne sono invischiati, dai governi alle aziende. La crisi spesso annuncia un grande cambiamento, la fine di un mondo, il principio di un altro. Tuttavia, se in campo economico e finanziario la crisi riduce gli attori e gli spazi di agibilità, nel mondo culturale si generano situazioni esattamente opposte.

La crisi è una manna dal cielo per gli intellettuali del piffero, coloro che hanno sempre una risposta a tutto e soluzioni per l’avvenire, cioè per il nulla. Il presente, generalmente, lo disprezzano perché è la conseguenza dei loro vaticini inascoltati.

C’è da dire che anche quando la crisi non è reale, cioè non incide direttamente sul tenore di vita delle persone, costoro la paventano da lontano, la vedono a secoli di distanza con tuoni e fulmini sull’umanità, sotto forma di caduta dei valori e di perdita di sensibilità civile dei gruppi e dei singoli. Ma così eterea, al pari di uno spauracchio che tarda a manifestarsi, essa non rende alla stessa maniera per i loro portafogli. Infatti, in tempi d’abbondanza e di opulenza queste Cassandre restano per lo più ai margini. Soltanto i più bravi, cioè i veri artisti della cialtronaggine che scacciano dalla piazza gli improvvisatori e i dilettanti, riescono ad accreditarsi al grande pubblico come autentici imbroglioni autorizzati, facendosi largo nella ressa con profitto.

Ma, nel momento in cui si verifica la débâcle effettiva, con riduzione concreta del benessere e dilatazione della paura sociale, la formula metafisica di ieri diventa l’esplosiva reazione chimica dell’oggi. La narrazione suonata davanti a pochi ascoltatori diventa finalmente la messa cantata che attira fedeli ed apostoli a gratis, disponibili a farsi in quattro per il verbo del genio. Quando l’oroscopo stellare, casualmente, s’avvicina al fenomeno brutale, gli intellettuali intuiscono che è il loro momento, bisogna battere sul tamburo e sulla cassa, ottenendo visibilità e cachet più alti, corrispondenti alla loro bravura o impostura (fate voi che tanto è equivalente). E’ anche il frangente propizio per i più giovani di uscire dalle loro caverne settarie ed accademiche e di mostrarsi alla grande platea, per prendere il posto dei laceri e screditati predecessori che si sono giocati la fama compromettendosi con l’ordine pregresso.

Inizia così la kermesse dei pagliacci che vanno ad affollare le case editrici, i talk show televisivi, le Summer School, le piazze e i salotti à la page. Naturalmente, tutto a pagamento per ogni puntata o a promozione dei propri saggi e pamphlet attualissimi. Li senti infiammare le folle con le loro previsioni già previste ma restate a lungo in sordina a causa del silenziamento dei mezzi di comunicazione (i medesimi che ora li mettono in vetrina ovunque), tutti intenti a denunciare la disattenzione nei loro confronti, proprio quando avevano capito già tutto e invocavano il cambiamento per la redenzione collettiva. Poi passano al sodo, ad ingarbugliare le frasi per scioccare gli astanti, colpiti non dalla luminosità del pensiero che non possono intendere perchè non ha senso, ma dagli effetti speciali delle loro invettive apocalittiche. Tra chi vorrebbe riportare l’umanità alla preistoria per mettere fine all’alienazione consumistica e capitalistica, chi ammoderna vecchi fallimenti sociali per recuperare il contatto con la natura, chi ripropone di tornare all’origine della specie e a rapporti sociali primordiali, recuperando ciò che non è mai esistito, chi vorrebbe mandare tutti a piedi, da Trento a Canicattì, limitando il Global Warming e salvare il pianeta, è tutto un fiorire di utopie e di banalità, per i beni pubblici ed il bene pubblico i quali, casualmente, coincidono con la parcella richiesta e la fattura rilasciata dal sommo poeta.

Ovviamente, poiché le strade dell’inganno sono infinite e gli intellettuali sempre più raffinati e geniali nel perseguirle, ci mettono molta dottrina in tutto quello che dicono e fanno. Il prodotto deve essere ben impacchettato per trovare compratori generosi e consumatori annichiliti. Devono sembrare più seri e veritieri per continuare ad approfittare della credulità generale. Li sentiamo sparare numeri, dare cifre, improvvisarsi esperti con gran fragore mediatico e parossistica confusione di ruoli e di teoresi. Il mito, il misticismo, il narcisismo e l’egocentrismo si ammantano di scienza e coscienza di classe per circuire le masse, ultra disponibili alle facili consolazioni e alle ideologie prêt-à-porter purché ci si salvi. Che dietro ci sia il trucco lo si comprende però da alcune enormità proferite a cuor leggero, nella foga di piacere e compiacersi, baggianate discendenti dallo sconfinamento di campo disciplinare a cui sono costretti a ricorrere tali imbonitori per fare il botto. La sagra degli innesti produce applausi in sala ma sconcerto nella ragione. Abbiamo il filosofo imberbe, un po’ storico ed po’ presuntuoso, che definisce la sfera economica il nuovo nazismo, e via con l’ovazione dei citrulli ipnotizzati; il giornalista economista che ha già pronta la soluzione, lo Stato benefattore assume tutti i disoccupati e li impiega dove non fanno concorrenza ai privati e, quindi, immaginiamo dove non faranno proprio un cazzo perché non servono a nessuno, una riedizione populista e fuori corso storico del far buche e riempirle di Keynes, ma non si fa in tempo ad obiettare sulla castroneria che un’altra acclamazione ti copre le parole; poi giunge puntuale, senza appuntamento, l’economista religioso che fa mia culpa sui disastri finanziari e getta la colpa sull’immoralità dei finanzieri, i quali appena qualche anno fa erano invece i benefattori del sistema, che con le loro trovate ingegneristiche moltiplicavano soldo da soldo per la felicità della globalizzazione. Dall’altra parte della barricata resistono, invece, gli impenitenti del tutto si risolve da sé, con più mercato e meno stato, più globalismo e meno localismo, più Europa e meno Italia, che nonostante i disastri, le previsioni sballate e i conti accomodati gridano alla ripresa quando il Pil o gli indici di borsa fanno un peto al rialzo di uno zero virgola niente. Tra gli uni e gli altri siamo fottuti e senza speranza. Ad ogni modo non crediate che questi farfalloni siano un esito infausto dei nostri giorni tristi. In altre epoche non stavano messi meglio di noi quanto a “falsari”. Forse, i nostri avi, parimenti sprovveduti, avevano la fortuna di avere a che fare con mostri sacri dell’intelligenza ai quali, ogni tanto, sfuggiva qualche corbelleria (ogni tanto però), e di poter, comunque, contare su smascheratori di impostori della stessa immensa levatura. Leggete qualche racconto di Luciano di Samosata e ne avrete la riprova.

 

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Ci sono degli uomini – vanno considerati una razza a parte – da non molto saliti alla ribalta del mondo, sfaticati, attaccabrighe, vanitosi, irascibili, golosi, stupidi, pieni di boria e di prepotenza, insomma, per dirla come Omero, «inutile peso della terra». Questi individui sono divisi in sètte, e, dopo aver elaborato castelli di ragionamenti contraddittori – talmente contorti che in essi inevitabilmente ci si perde come in un labirinto – si sono dati dei nomi, ad esempio gli Stoici, gli Accademici, gli Epicurei, i Peripatetici, per non dire di altri ancora più ridicoli. Sfoggiando la «virtù», – parola che incute sempre rispetto – col ciglio alzato, la fronte corrugata e la barba fluente, se ne vanno in giro, cercando di mascherare sotto un aspetto completamente falso e artefatto i loro abietti costumi, in tutto e per tutto simili a quegli attori tragici di cui cosa resta – tolta la maschera e lo splendido costume ricamato d’oro? Solo un ridicolo omiciattolo ingaggiato con una paga da fame per lo spettacolo. 30 Gente di questa risma non solo si considera superiore al resto dell’umanità, ma si permette di raccontare un mucchio di assurdità anche su noi dèi. Raccattano giovani ingenui e inesperti, e poi a questi poveretti parlano con aria solenne, come se declamassero da un palcoscenico, della famosa «virtù» e imbottiscono le loro teste di discorsi senza capo né coda. Di fronte ai discepoli tessono in continuazione lodi sperticate della fermezza, della moderazione, del bastare a se stessi, e predicano il disprezzo delle ricchezze e dei piaceri; invece, quando sono soli e si abbandonano alla loro autentica natura, quanto si ingozzano, quanto vanno a donne, come leccano via il sudiciume perfino dalle monetine, non si può nemmeno dire. La cosa più grave di tutte, però, è che non combinano niente di buono né per sé né per gli altri, sono tanto inetti quanto presuntuosi, «non sono stimati affatto né in guerra né nell’ambito delle attività civili»,94 e, nonostante questo, invece, lanciano accuse a destra e a manca, mettono insieme discorsi malevoli e odiosi, si esercitano a inventare insultioriginali, quindi muovono rimproveri e ingiurie al prossimo, e tra loro, a quanto pare, si guadagna le posizioni più eminenti chi sa urlare più forte di tutti e più di tutti è sfacciato e insolente e pronto all’invettiva. 31 Eppure, prova a domandare proprio al più accanito, che grida e biasima gli altri: “Ma tu, cos’è che fai e, perdio!, quale contributo dài, in concreto, al consorzio umano?”.95 Se vorrà, una volta tanto, essere onesto e sincero, ti risponderà: “Andare per mare, o coltivare la terra, o combattere o dedicarmi a qualsiasi altra attività pratica, lo ritengo fatica sprecata; invece schiamazzo, sto sporco, faccio il bagno freddo, me ne vado in giro scalzo d’inverno, indosso un mantellaccio lurido, e, come Momo, critico e denigro i comportamenti altrui. E se un vicino spende molto per concedersi una cena prelibata o mantiene un’amante, mi impiccio subito della questione e mi scandalizzo pure, mentre se un amico o uno dei miei compagni è a letto malato e ha bisogno di cure e di assistenza, faccio finta di niente”…

 

…Vedevo però molti non posseduti da amore per la filosofia, ma bramosi semplicemente della gloria che deriva dal nome di filosofo, con l’aria di gente come si deve per quel che concerne l’esteriorità, la “facciata”, insomma quello che chiunque può copiare agevolmente, barba lunga, modo di camminare e di vestire; ma quanto a modo di vivere e di agire, la loro era una musica ben diversa, in contrasto con l’aspetto: in realtà battevano sentieri opposti ai vostri e distruggevano la dignità del vostro credo. Allora mi indignavo: per me era come se un attore tragico, lezioso ed effeminato, si mettesse a recitare la parte di Achille, di Teseo o, peggio, di Eracle…

 

Predicano, per esempio, che bisogna disdegnare i soldi e il successo, ritenere un bene soltanto la virtù, non cedere alla collera, disprezzare senz’altro la personalità più in vista e discutere da pari a pari con loro: sono tutti propositi molto belli, mio dio!, saggi e ammirevoli, non c’è dubbio. Ma tali princìpi li insegnano dietro compenso, adorano i ricchi e stanno a bocca aperta davanti al “dio Quattrino”; sono poi più attaccabrighe dei cagnetti, più paurosi dei conigli,57 più adulatori delle scimmie, più lussuriosi degli asini, più ladri dei gatti e più rissosi dei gallettiguadagnano le beffe della gente quando si azzuffano per tutto questo, si spingono via l’un l’altro a gomitate nelle anticamere dei signori, partecipano a pranzi affollatissimi dove si abbandonano alla più volgare e bassa adulazione e si ingozzano al di là di ogni decenza, si mostrano scontenti di tutto, filosofeggiano in modo sgradevole e inopportuno tra un bicchiere e l’altro, non reggono il vino schietto58: i “profani” che assistono a scene del genere ovviamente ridono e disprezzano la filosofia, visto che produce tali rifiuti umani. …

 

(Luciano di Samosata, frammenti da Storia Vera ed altri racconti fantastici, Garzanti)