GRECIA, SPAGNA, ITALIA

 

          Da quando lo spread dei titoli spagnoli ha sfondato la quota dei 500 e quello italiano dei 450  e la Grecia si sta avviando al voto con la prospettiva  di un guadagno dei consensi di coloro che dicono no alle condizioni contrattate con l’Europa per la seconda trance di aiuti,  è venuta al pettine la grande illusione dell’euro, quella di una moneta unica che trascinasse dietro un’Europa politica vera.

    In una fase di stallo si continua pensare che gli eurobonds  sussumano a livello comunitario parte dei debiti pubblici nazionali: come il 78% dei greci risponde nei sondaggi di voler restare nell’euro alle proprie condizioni, allo stesso modo il 90% dei tedeschi risponde che non deve pagare il debito di altri.

    Il governo tedesco è convinto che la soluzione debba venire dagli stessi paesi più indebitati : la crescita è importante ma solo in quanto risultato dai programmi di austerità. Da qui le due principali strade indicate  dal presidente francese Hollande . In primo luogo una ripartizione meno deflazionistica degli oneri di aggiustamento tra i Paesi i deficit e quelli in surplus (Germania). In secondo luogo un consistente pacchetto di investimenti europei in infrastrutture da finanziare sia attraverso il bilancio comunitario, sia attraverso la Banca Europea per gli investimenti (Bei). Ma tutto ciò si scontra con l’irremovibile Angela Merkel.

     A ciò si aggiunge il problema della Spagna. E’ nota una forte crescita del rapporto tra debito pubblico e Pil, causa soprattutto dell’indebitamento del settore immobiliare che ha portato a fondo le banche spagnole. E’ bene notare che i debiti più cospicui sono quelli dell’imprese di costruzioni e delle imprese immobiliari. Con i debiti, nell’ultimo decennio, le società di costruzioni spagnole sono diventate degli autentici colossi, assai presenti nel mondo, anche capaci di grandi acquisizioni in settori diverse da quelle delle costruzioni. La bolla immobiliare spagnola si è gonfiata negli anni del nuovo secolo, il cui volano è rappresentato dal circolo virtuoso dell’impetuosa crescita dell’economia all’aumento del gettito fiscale che ha sempre più legato i grandiosi progetti di infrastrutture dei governi di Aznar e di Zapatero; l’arrivo della crisi ha invertito quella tendenza e interrompere il programma di investimenti in infrastrutture togliendo fondi alle grandi imprese di costruzioni e queste a onorare i loro impegni con le banche incamerando le proprietà immobiliari su cui avevano acceso i mutui e i prezzi delle case sono così precipitati.

     In pochissimi anni a partire dalla grande crisi un certo numero di Paesi appartenenti alla zona euro ha accumulato un ingente ammontare di debiti pubblici  perché costretti a coprire le passività accumulate dalle banche e dagli altri intermediari finanziari. Si è formato così un eccesso di debiti sovrani che sono stati sottoscritti dalle stesse banche dei paesi che hanno visto ulteriormente deteriorarsi i loro bilanci: una interazione perversa tra crisi dei debiti sovrani e crisi bancarie che sta mettendo in ginocchio l’area euro. Il panico bancario greco (drammatica fuga dei deposti bancari) sta contagiando in modo sempre più pericoloso la Spagna. Lo spread spagnolo superiore ai 500 punti e i tassi di interesse pari a circa il 7% sono livelli allarmanti che hanno costretto in passato paesi come la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo a ricorrere ai meccanismi di salvataggio europei e internazionali e che associata a politiche di austerità fiscale, elevato indebitamento privato e crescenti debolezze dei sistemi bancari hanno finito per peggiorare le condizioni di quei paesi fino a un punto di non ritorno.

    Al recente vertice di Camp David il piano “B” circa l’uscita della Grecia fuori dall’euro è stata smentita, anche se nessuno può negare che le grandi banche americane e inglesi stiano trattando (con  vendita del debito pubblico spagnolo e italiano) come imminente la fuoriuscita greca con l’annessa ipotesi del crollo dell’euro. Anche se Obama difende l’eurozona nei cui confronti pensa ad una strategia politica non solo di un export Usa in Europa ma di un vitale bisogno di un Italia che rimanga nell’euro per questioni puramente strategiche legate alla questione di Israele del Medio Oriente e della missione in Afganistan.

    GIANNI DUCHINI giugno 2012