Guerra e pace.

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Un terribile amore per la guerra è un libro fondamentale di James Hillman. Nel saggio si afferma quello che generalmente si nasconde per non turbare le anime pie. Occorre invece una chiamata alle armi della mente affinché si capisca la “mente delle armi”. Nessuna guerra si fa per la pace come la retorica narra. La guerra si fa per vincere e sottomettere il nemico che altrimenti farebbe lo stesso con noi. Chi si riduce ad amare il nemico che ti ha vinto e piegato in guerra, come l’Italia sconfitta dagli americani oramai da oltre settant’anni, lo fa per pecoraggine anche se alla sua viltà dà di volta in volta nomi diversi: libertà, democrazia, civiltà ecc.ecc. Non c’è libertà, civiltà o democrazia quando gli eserciti stranieri stanziano sul tuo suolo e si ingeriscono nelle tue decisioni. La guerra non è l’eccezione ma una una condizione umana primaria anche se preferiamo girarci dall’altra parte se la battaglia non ci riguarda direttamente. Hillman scrive: “Non voglio marciare per la pace, né pregare per la pace, perché la pace falsifica tutto ciò che tocca, è una copertura, una iattura. O semplicemente una parola insulsa. Ciò che la maggior parte degli uomini chiama pace, ha detto Platone, lo è solo di nome.
Anche se gli Stati dovessero cessare di combattersi, ha scritto Hobbes, non si dovrebbe chiamarla pace, ma piuttosto una pausa di respiro. Tregua, sì; cessate il fuoco, sì; resa, vittoria, mediazione, politica del rischio calcolato, stallo: queste parole hanno un contenuto, ma pace… la pace è buio che cala…la pace è insieme vuoto e rimozione. Soprattutto Il vuoto lasciato dalle definizioni della pace con la rimozione della guerra gonfia la pace di idealizzazioni (altro classico meccanismo di difesa). Fantasie di riposo, di tranquilla sicurezza, di vita “normale”, di pace eterna, paradiso in terra, la pace dell’amore che trascende l’intelligenza; la pace come stato di benessere…La pace dell’ingenuità, dell’ignoranza travestita da innocenza. Gli aneliti di pace diventano a un tempo semplicistici e utopistici, con i loro progetti di amore universale, di disarmo mondiale e di una federazione di nazioni nell’era dell’Acquario, oppure regrediscono ai bei tempi andati dei sani valori americani illustrati da Norman Rockwell. Queste sono le opzioni di ottundimento psichico offerte dalla “pace”.

La pace non può esistere (se non metaforicamente, per questo semmai l’unica vera pace è quella eterna, fredda e immobile) e quello che così chiamiamo non è altro che un conflitto di diversa intensità che non si combatte più con le bombe e le pallottole ma con altre armi che non esplodono ma ugualmente servono a fronteggiarsi e primeggiare sull’avversario. La guerra è dunque una politica portata alle sue estreme conseguenze, una politica di diversa forza e energia ma pur sempre un mezzo per perseguire gli stessi scopi di supremazia, tanto che esiste guerra (sotto altre forme) nella politica e sempre politica nella guerra. Le guerre non sono fatte per distruggere tutto perché non c’è vera vittoria se non resta nessuno da assoggettare e qualcosa da conquistare.
In ogni caso, dice ancora Hillman, la guerra è la norma, essendo il conflitto nella società, come ben sapeva Eraclito, il padre di ogni cosa.
“L’unica virtù della definizione che il vocabolario dà di pace consiste nell’assumere implicitamente la guerra come norma. La guerra è l’idea più ampia, il termine normativo che conferisce alla pace il suo significato. Le definizioni che ricorrono a formulazioni negative o privative sono psicologicamente rozze. La nozione esclusa balza immediatamente alla mente e infatti la parola “pace” può essere compresa intuitivamente soltanto dopo che sia stata compresa la parola guerra. La guerra è sottintesa anche in un’altra comune accezione di pace: la pace come vittoria. La fusione tra pace e vittoria militare risalta con chiarezza nelle preghiere per la pace, in cui tacitamente si chiede di vincere la guerra. Si è mai sentito qualcuno pregare perché la propria parte si arrenda?…è più realistico considerare la guerra più normale della pace”

In realtà noi ci siamo arresi al nemico o finto amico senza nemmeno pregare. Chiamiamo pace un’occupazione fisica e purtroppo anche mentale che ci tiene soggiogati da decenni. Siamo talmente assuefatti a questo stato di minorità e minorazione che ci scandalizziamo se un soldato parla il linguaggio della divisa senza ricorrere a rassicuranti circonlocuzioni. Troppa finta pace ci ha rincoglioniti. È accaduto recentemente con un Generale che si è espresso in maniera non proprio orecchiabile per i nostri damerini di piazza e di Palazzo i quali pare ora vogliano la sua testa.
Il generale Sherman o il generale Patton furono capaci di frasi ben più terribili e di azioni ancora più criminali. Furono premiati, non rimossi. Del resto, chi volete che faccia la guerra? Crosetto con i suoi pensierini su Twitter? La brigata lgbt all’assalto dei pride ? I migranti approdati con i gommoni sulle nostre coste venuti per necessità a prendere prima che a dare ? I professori di neolingua biforcuta?
“Se la patria la dovessero difendere solo le persone perbene te saludi patria”, dal film la Grande Guerra.
Capiamo perché Marinetti parlò di guerra come sola igiene del mondo, si arriva sempre al punto che iniziano a circolare troppi stronzi, allora prima o poi occorre tirare lo sciacquone per non essere sopraffatti dai liquami e dagli odori nauseabondi.