IL RE MUORE

BERLUSCONI FERITO DA LANCIO OGGETTO E NON DA UN PUGNO

 

La parabola politica di Berlusconi si sta concludendo nel peggiore dei modi ed il suo comportamento di fronte all’inevitabile destino va sempre più ricalcando quello del Re Bérenger I, ne “il Re muore”, di Eugene Ionesco. Nemmeno sull’orlo dell’abisso, prima di precipitare nel vuoto, costui riesce ad avere uno scatto d’orgoglio per uscire di scena con dignità. Non ha frasi memorabili da consegnare alla storia, non ci sono azioni mirabili da associare al suo titolo nobiliare, se non tante rese e poca resa, capitoli di una esistenza piena di capitolazioni. La sua immagine, come quella del protagonista della commedia di Ionesco, sarà conservata in una memoria senza ricordi di un reame in cui non c’era più niente di anormale perché l’anormalità era diventata la norma.

E’ un prigioniero politico che si comporta come un profugo. Ancora s’illude che quelli che lo hanno privato del passaporto e che lo faranno decadere dal Parlamento possano garantirgli un minimo di agibilità politica o, almeno, una ritirata onorevole. Tentenna, tenendo in piedi un governo palesemente dannoso per il Paese (che non è il suo regno), perché qualcuno gli mostra un’acciughina davanti agli occhi ed anche ora che questo tranello si è manifestato in tutta la sua sordidezza, con la nomina di quattro senatori a vita a lui avversi (la truppa cammellata di Re Giorgio segue, a secoli di distanza, Incitatus, il cavallo di Caligola) continua ad oscillare per timore di vedersi sottratte le imprese ed il patrimonio.

Lo costringeranno a togliersi di mezzo con il supplemento del marchio dell’infamia, perché così saranno certi che il lazzarone giammai si rialzerà o potrà tramandare la sua eredità politica in dono ad altri. E’ proprio come Bérenger che “non è più un re, è un porco sgozzato” piagnucolante e penoso, il quale dietro di sé ha lasciato il deserto perché “non ha pensato ai successori. Dopo di lui, il diluvio. Peggio del diluvio, dopo di lui, il nulla. Un ingrato, un egoista”.

Le poche cose da lui fatte vengono seppellite dalle troppe cose sfatte, al pari di Re Bérenger al quale la prima moglie Marguerite rammenta che: “… decine d’anni fa o tre giorni fa, il vostro impero era fiorente. In tre giorni, avete perso le guerre che avevate vinte. Quelle che avevate perse, le avete riperse. Da quando i raccolti sono marciti e il deserto ha invaso il nostro continente, la vegetazione è andata a rinverdire i paesi vicini che erano deserti sino a giovedì scorso. I razzi che volete lanciare non partono più. Oppure si sganciano, e subito si spiaccicano in terra con un rumore soffocato”.

Ormai B. (Berlusconi- Bérenger) è un’ ombra sulla quale sta calando l’oscurità. I primi a prendere commiato da lui sono quelli che più lo avevano riverito, servito, ossequiato, quando era all’apice della carriera, per ricavarne privilegi e prebende. Sono gli stessi che anticipano la fuga senza voltarsi indietro perché la storia deve andare avanti, almeno quella della loro professione. E’ il mestiere del traditore che non conosce la disoccupazione.

B. ha vissuto come ha scelto, ha governato come non ha saputo ed è politicamente morto come non ha voluto, per una sua sragione di Stato. Il suo nome resterà scolpito, insieme a quello dei suoi detrattori, “nell’immensità trasparente del vuoto” di una Italia, da vent’anni in qua, attraversata soltanto dai fantasmi.