Il texas in italia

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La Basilicata, anche vista da lontano, dalle colonne del Wall Street Journal (qui), resta una regione povera di opportunità ma ricca di risorse. Purtroppo, ecco ripresentarsi ancora una volta, come una beffa tremenda in un’epoca di crisi atroce, la grande contraddizione che soffoca le nostre speranze, da nord a sud. Qual è questa contraddizione? La potremmo sintetizzare così: il” potremmo ma non vogliamo” dei decisori i quali si avvoltolano, per comodità e popolare ripiego, nel discorso ideologico contraddicente l’oggettività, in favore di una immaginazione romantica che ci rende poveri e “mortidifame” ma sempre più belli e sensibili alle mode culturali che ci riportano indietro di secoli.

Diciamoci tutta la verità, la piccola patria lucana potrebbe diventare il nostro Texas, grazie al petrolio, ma l’istinto predatorio centrale che prova a prendere (spesso in combutta con pavidi ras locali) senza dare e lo schiocchezzaio ambiental-turistico “gloprovincialistico” di invasati variamenti siglati (wwf, ola, verdi notriv ecc. ecc.)  impediscono a questa terra di sposare appieno le sue predisposizioni “naturali”.

I decisori lucani anziché combattere le due tendenze, da un lato lo sperpero di denaro per l’abuso politico, dall’altro il talebanismo del sole che (ir)ride, s’accodano ai bassi istinti irrealistici di quanti sragionano senza argomenti di scienza (ed anche in mala fede), dando una pacca al cerchio magico correntizio-sperperatore ed una alla botte senza fondo umoral-ecologica. Insomma, un po’ trivellano ed un po’ conservano il panorama (salvo poi deturparlo comunque, ma in maniera alternativa e fintamente pulita con pal(l)e eoliche e inutili pannelli solari) per mantenere gli equilibri tra combriccole che ci marciano, e come se ci marciano, mentre marciscono produttività e sviluppo.

Abbiamo il “combustibile” a portata di mano, in quantità ingenti, ma non siamo in grado di avviare il motore della crescita. Come scrive il WSJ: “Con una stima di 1,4 miliardi di barili, l’Italia ha le terze più grandi riserve certe di greggio in Europa, dietro solo ai giacimenti offshore della Norvegia e del Regno Unito, secondo la BP BP.LN -0.40 % Statistical Review. Gran parte del petrolio in Italia è in Basilicata , una regione agricola e montagnosa punteggiata da pittoreschi uliveti e borghi medievali. E ‘anche uno dei luoghi più poveri d’Italia , con il 14,5% di disoccupazione su una popolazione di 600.000 abitanti e poche infrastrutture e industrie”.

Con questi presupposti c’è ancora chi sostiene, molto a cazzo di cane, che la Lucania deve continuare a concentrarsi su tutt’altro “core business”, dal turismo al prodotto tipico. Follia allo stato puro di chi nella nicchia ci sguazza, per nicchiare sul quel che davvero converrebbe fare e non si fa mai per timore di perdere il terreno, coltivato a grappoli di voti, da sotto i piedi.

Certo, ci saranno sempre alcune eccentricità gustose da  esaltare, dal puparuolo crusco al pecorino, ma non invertiamo l’ordine delle priorità e delle necessità ricorrendo al sempiterno catastrofismo d’accatto per sbarrare la strada a qualsiasi iniziativa non politicamente ed ecologisticamente omologata. Prima viene l’oro nero e poi tutto il resto, nessuno mi convincerà che ortaggi e formaggi vanno meglio per la modernizzazione economica.

Non mi azzardo a sostenere che le estrazioni non causino esternalità negative, in molti sensi, ma qui la scelta è tra lavorare o non lavorare, morire d’inedia e di disperazione oppure, in nome del benessere adesso latitante, imparare a correre qualche rischio in più che, opportunamente, la tecnologia di oggi ci consente di “calcolare”. Non siamo più fessi dei texani e nel settore, grazie all’Eni e alla sua tradizione produttiva, siamo all’avanguardia, copiati ed invidiati da tutto il mondo. Inoltre, la scelta pro-oil, calmierata con giudizio e contrattata finemente agli alti livelli, porrà sicuramente la Basilicata sulle corsie preferenziali della geoeconomia e geopolitica contemporanee, dove si giocano le grandi partite storiche di questo scorcio di XXI secolo. Ma qui, sconsolatamente, basta una mera fiammata al centro oli di Viggiano (leggi qui) per far gridare allo scandalo e terrorizzare la popolazione.

Con la scintilla a mezzo stampa s’appicca il fuoco nel pagliaio sociale, che è molto più infiammabile degli idrocarburi, per fare terra bruciata del buon senso. Anziché i pompieri, accorrono sul luogo del “delitto” gli incendiari ambientalisti che dubitano, a prescindere, delle multinazionali (egoiste e cattive, anche se italiane) e buttano altra benzina sulle fiamme per ridurre in cenere il progresso (termine che non mi piace, ma ad integralista, integralista e mezzo). L’ultima parola in questo mondo alla rovescia,  sciaguratamente, spetta ancora a loro: “Vogliamo i governi che cambino il loro modo di pensare l’energia, e le opportunità sono nelle energie rinnovabili”, ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile energia e clima del WWF Italia. “Gli idrocarburi sono il passato, non la via del futuro” (WSJ). Mi cadono le braccia e mi si rizzano i capelli di fronte a tanto cervello spappolato. Forse il petrolio un giorno finirà (quando ancora non si sa, checché ne dicano al club di Roma) ma se le energie alternative sono rappresentate dal solare e dall’eolico (senza ricorso al nucleare) allo stato di sviluppo attuale, resteremo al freddo e al buio fino all’estinzione della specie. Eppure, prevedo che si estingueranno molto prima tutti questi ambientalisti del piffero straparlanti a vanvera.