La bomba, G. Petrosillo

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Ho visto il recente film (coproduzione Inghilterra-USA) di Nolan dedicato ad Oppenheimer e al progetto Manhattan. Per ricordare, il progetto Manhattan fu quello che condusse gli Usa a sviluppare la bomba atomica alla fine della II Guerra mondiale, mettendo insieme i più grandi scienziati dell’epoca che bruciarono sul tempo i nazisti, i quali lavoravano allo stesso scopo sotto la guida di Werner Karl Heisenberg, a cui si deve la prima formulazione “organica” della meccanica quantistica.
Il cast è stellare, come si dice in questi casi, con nomi altisonanti del grande schermo del calibro di Cillian Murphy che interpreta Robert Oppenheimer, Emily Blunt nel ruolo della moglie del fisico americano di origine tedesca, Matt Damon, Robert Downey Jr, Josh Hartnett nel ruolo di Ernest Lawrence, Casey Affleck,
Kenneth Branagh nel ruolo di Niels Bohr e tanti altri.
Come al solito gli statunitensi sono bravissimi a raccontare le atrocità di cui sono stati (e sono ancora) capaci. Non si nascondono dietro ad un dito e non evitano di far passare l’opinione che le due bombe contro il Giappone, a guerra conclusa, furono sganciate più in funzione antisovietica che antinipponica. C’è nella pellicola un dialogo molto esplicativo tra Oppenheimer e Truman nel quale quest’ultimo definisce un piagnone il primo che a cose fatte si era fatto prendere da scrupoli di coscienza. Come sempre, la praticità yankee ha la meglio, anche nella cinematografia, sui principi morali i quali, se non sono utili alla causa, possono essere tranquillamente accantonati, nonostante gli americani siano il popolo più retorico della terra.
Tuttavia, non è di questi avvenimenti noti che voglio parlare. Nel lungometraggio di circa tre ore ho assistito ad una scena di abissale ignoranza che sicuramente non è mai avvenuta. Sappiamo per certo che il fratello minore di Oppenheimer, Frank, anche lui fisico, si iscrisse al partito comunista. Dunque Robert, il padre della bomba atomica, aveva le stesse simpatie se non altro per tali frequentazioni parentali e amicali. Infatti finanziò anche gli antifascisti che combatterono in Spagna durante la guerra civile. A Guerra mondiale conclusa, come viene anche narrato nel film, qualcuno alimentò dei sospetti sulla sua persona, poiché, a causa dei suoi trascorsi, si pensava potesse aiutare o rivelare ai sovietici i segreti atomici statunitensi.
In un passaggio del film si sente Oppenheimer dire: “Ho letto Das Kapital, tutti e tre i volumi, c’è un pensiero…il possesso è un furto (viene corretto da una esponente del partito comunista americano…proprietà non possesso). Asini tutti quanti, gli sceneggiatori in primo luogo. Nessuno di loro ha letto nemmeno una riga dei tre volumi del Capitale di Marx, non il primo, l’unico da lui pubblicato, e nemmeno gli altri due, sistemati da Engels con i suoi appunti.
La proprietà è un furto è una frase di Proudhon. Marx ha scritto un saggio per criticare tali amenità, “Miseria della Filosofia” contro il testo del filosofo francese che invece si chiamava “Filosofia della Miseria”. Il furto, scrive Marx, in quanto violazione della proprietà presuppone la proprietà. Persino nel film “Le jeune Karl Marx” del 2017, di Raoul Peck, c’è una bellissima scena in cui Marx incontra Proudhon e chiede spiegazioni sul concetto secondo il quale la proprietà sarebbe un furto. Marx dice”se rubo la proprietà di qualcuno sto rubando un furto?” Una battuta che fulmina Proudhon. I due non si parleranno mai più benché Marx se ne sentisse, in fin dei conti,anche dispiaciuto per ciò che Proudhon aveva rappresentato per lui al principio della sua svolta teorica.
Francia-Stati Uniti 1 a 0.
Certo noi europei non sappiamo più fare bei film ma almeno non siamo ancora così ignoranti come gli americani e gli inglesi. In ogni caso rammentate: la proprietà privata non è un furto e non è nemmeno una rapina. Marx ed Engels non l’hanno mai sostenuto, non erano così banali. E ci scommetto, nemmeno Oppenheimer avrebbe potuto mai commettere un errore così marchiano.