LA LOGICA IN HUSSERL: L’APPARENZA DEL SIGNIFICATO


La prima impressione che si ricava dalla lettura di Husserl (1859-1938) è quella di una certa assonanza con Marx, pur in un campo di indagine diversa; una ricerca rivolta ad un disvelamento ideologico nei confronti dei tanti dogmatismi e misticismi filosofici, che i “Positivisti” nutrivano per le scienze, grazie all’Utilitarismo di J.S.Mill (e Spencer). Si ricorda a questo proposito, che il pensiero di Mill esercitò una profonda influenza su tutta la cultura filosofica-scientifica europea Ottocentesca, nella tesi fondamentale che l’intero sapere traesse le proprie radici dall’esperienza elevata a bandiera contro i pericoli di ogni metafisica romantica; un collegamento naturale, tra l’Illuminismo Settecentesco con il Positivismo Ottocentesco non scevro di nuove verità assolute e intoccabili e che trova nella filosofia dell’Utilitarismo un’ idea centrale di etica -politica, in cui “tutte le cose che si desiderano sono fonti di piacere o tendono a promuovere il piacere e a prevenire il dolore” e che esisterebbero “sentimenti naturali innati” tali da fare emergere una spontaneità in grado di garantire con tutti coloro che hanno sperimentato due piaceri diversi, la tendenza a preferire uno (il piacere) rispetto all’altro. Mill è inoltre un convinto difensore dei diritti dell’individuo, i quali diritti non li considera antitetici alla società in cui vive, ma integranti con essa. Una visione oltremodo ottimistica, che riflette le convinzioni della borghesia inglese, ormai al potere e sicura di risolvere tutti i conflitti sociali; insomma, una difesa strenua del regime liberalborghese inteso come bene assoluto da contrapporre a tutti gli altri regimi considerati come mali.
Quest’ultimo rilievo rappresenta maggiormente l’humus culturale sullo “stato” delle filosofie e delle scienze sociali e politiche nel contesto storico europeo, con cui Husserl fu costretto a fare i conti, prima di poter ripartire con una nuova indagine filosofica, nel tentativo di liberare l’umanità europea dal suo storico declino. Il (ri)fondatore della “Fenomenologia,”si presentò come critico di ogni “apriorismo idealistico,” nella costruzione di una filosofia quanto più possibile aderente ai “dati immediati” e innegabili, sui quali poter costruire ogni ricerca scientifica. Occorreva (ri)partire da “evidenze stabili,” dai dati indubitabili (e inconfutabili), sulle cui basi poter innalzare l’edificio filosofico, in una chiara inversione di tendenza, da realizzarsi attraverso un nuovo oggetto gnoseologico della ricerca, a fondamento della “Teoria della Conoscenza,” in nuovi eventi da (di)svelare, “così evidenti da non poter essere negati”. Questo fu l’intento della “Fenomenologia” husserliana che così si può grossolanamente riassumere: descrivere i fenomeni che si annunziavano e si presentavano alla coscienza ed in controtendenza ad ogni persuasione filosofica e scientifica, le cui convinzioni sono incastonate dal mondo “naturale,” espressione quest’ultima della necessità di liberarsi dalle opinioni preconcette e da realizzarsi soltanto attraverso la “epochè” ( la “sospensione di giudizio”) di Husserl; astenersi dai giudizi del senso comune circa l’esistenza naturale del mondo e dell’uomo, nel rompere le incrostazioni dei saperi tradizionali per far emergere “una filosofia rigorosa;” è l’intero mondo naturale “del così come appare” in cui si confonde la concretezza immediata con la “natura” artificialmente costruita dalle scienze.
Il problema della “riduzione fenomenologica” assume significati diversi nelle varie fasi delle “Le Ricerche logiche” <Prolegomeni a una ricerca pura> di Husserl, scritti in due volumi, dal 1900 al 1901. Le implicazioni del lavoro della ricerca husserliana sono di una misura tale che non possono essere conchiuse in una teoria, tanti sono stati i tracciati segnati, nei tentativi di allargare i confini delle discipline scientifiche. Ma quello che ha di mira Husserl e che trova impregnata l’intera sua opera è la duplicità della direzione dell’indagine scientifica: da un lato, il carattere scientifico che presiede ad una “logica formale,” il cui livello è stato ottenuto da un passato di acquisizioni documentabili e registrabili, che hanno posto via, via, nuovi livelli intellettuali, in nuovi principi teorici così da garantire una costante ristrutturazione sistematica; dall’altro, l’esplorazione dei metodi di queste acquisizioni nei presupposti dei fondamentali della costruzione. “ L’ars inventiva dello scienziato specialista e la critica della conoscenza del filosofo sono attività scientifiche che si integrano a vicenda e solo attraverso di esse si realizza la piena ed evidente comprensione teorica che abbraccia tutte le relazioni essenziali.” E ciò non significa che lo scienziato che non comprende e non indaga sui presupposti della sua costruzione, non sia in grado
di realizzare un’opera scientifica; una sovrapposizione tra le due relazioni (lo scienziato specialista ed il filosofo specialista della critica della conoscenza) possono dare adito ad un limite di apparente incompletezza dello scienziato specialista che si imporrà soltanto nel proseguo della sua ricerca scientifica, come “crisi interna allo sviluppo”
E’ proprio questa duplicità di direzione dell’indagine scientifica, a configurare il centro effettivo dell’idea husserliana della logica, in un concetto fondativo della teoria della conoscenza, nelle “distinzioni” dei rapporti tra “forme,” e “materie” e tra segni ed espressioni. Un insieme di analisi logiche in grado di delineare una sintesi sociale “dell’intersoggettività storica,” in progressione cognitiva, condizione essenziale di quest’ultima, in cui ogni problema risolto non segna mai una conquista definitiva, ma semplicemente un nuovo livello da cui riprendere il cammino della ricerca. Ciò è inoltre quanto emerge dalla ultima sua opera pubblicata nel 1937 (poco prima della sua morte) e incompiuta, dal titolo “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale.”
Il forte richiamo, in essa, all’intersoggettività storica non segnò soltanto il tentativo contrapposto “all’intellettualismo della logica” o al “relativismo degli storicisti,” quanto l’auspicio ad un ritorno alle fonti intuitive e genuine dell’esperienza, tale da rompere ogni incrostazione del sapere tradizionale, ingenuamente naturalistico e oggettivistico. Questo ultimo scritto incompleto rappresenta una sorta di testamento morale e spirituale di Husserl quando sollecita una reazione culturale alla crisi imperante nelle scienze europee, in pieno riduttivismo positivistico; si può invertire il declino soltanto recuperando “il senso intersoggettivo (storico-sociale-ideale) delle categorie obiettivistiche delle scienze e delle ormai alienanti istituzioni sociali.”
L’obiettivismo naturalistico rappresentò il paradigma delle filosofie di tutti i tempi i cui tentativi di superamento furono per Husserl le “Filosofie idealiste o trascendentali”; le storie di queste filosofie simboleggiarono questi tentativi riusciti solo parzialmente o imperfettamente, perché l’idealismo non riuscì mai a liberarsi del tutto dagli ingenui presupposti naturalisti che rimasero le tentazioni forti di ogni filosofo. La possibilità di dare origine ad una filosofia trascendentale che segnasse un distacco dai modi di fondazione di una scienza “obiettiva naturalistica” è una vera e propria “rivoluzione copernicana” e anche il superamento del paradosso husserliano della soggettività umana, che è nello stesso tempo “soggetto per il mondo e insieme oggetto del mondo.”
Questi squarci di “verità” di questo grande autore dei primi del Novecento si collegano in qualche modo allo spirito critico degli scritti di Marx sulle scienze (si pensi ai seguaci del partito di Marx, soggiogati dal positivismo di During, che ebbe modo di affermarsi come nuovo astro nascente del socialismo) nella sua tensione al disvelamento delle ideologie, prime fra tutte quelle liberiste, che cercavano di imbragare la realtà entro il mondo della realtà dei dominanti. In tutto il Novecento le “realtà ideologiche” sono state prodotte a iosa e con una fantasia inesauribile, paragonabile ad un vero e proprio fuoco di sbarramento dottrinale, in una sorta di offuscamento culturale, onde poter riposizionare “in un continuum” i nuovi assi ideologici più addomesticati alla bisogna: nuove combinazioni concettuali, facenti fronte alle “emersioni critiche,” nelle declinazioni dei tanti “neo” (neo-liberismo, neo-marxismo, neopositivismo) o dei tanti “ismi,” veri e propri inganni ideologici in servizio permanente attivo, grazie alla pervicacia diabolica del nascondimento della “realtà vera” sostituita dal “così come appare.”
G.D. marzo ‘09