LA PROBLEMATICA DEL “MOVIMENTO” IN BERGSON


Con la lettura di “Pensiero e Movimento” di Henri Bergson (una raccolta di saggi scritti tra il 1903 ed il 1938) avverto un certo sommovimento emozionale non puramente epidermico ma qualcosa di molto più profondo; basta seguire l’insieme di argomentazioni tenute insieme sul filo di una elaborazione al di fuori di ogni schema di ricerca, con conseguenze non da poco, sul pensiero filosofico del Novecento; il peso che il pensiero di Bergson ha avuto è ancora tutto da far emergere, se si pensa soltanto che in Italia tale autore è stato tenuto discretamente in “freezer” fino all’inizio degli anni Ottanta, cioè fino al momento della sua traduzione.
La suddivisione del libro è fatta in relazione ad un’analisi condotta per gradi di approssimazione “in movimento” seguendo una ‘didascalia dell’Intuizione;’ una modalità di indagine che si fa carico di rimuovere le realtà statiche, in immagini di “un prima e un dopo”, e mirata al fine ultimo dell’oggetto di un’analisi: un riposizionamento di una realtà, quella di Bergson, in più ampi spazi concettuali; non un semplice allargamento della conoscenza (un andare oltre), ma nuovi paradigmi da svelare; anzitutto, nella pecurialità del rapporto tra filosofia e scienza, non senza investire con ciò, i presupposti fondamentali che presiedono allo sviluppo delle scienze sociali; un messaggio in forma forte (nella tensione dell’indagine condotta in sentieri inesplorati) con l’effetto simile ad un grosso macigno lanciato sulle staticità di ogni ricerca (filosofica-scientifica), che con le loro immagini riflesse tendono a permeare e ristagnare in modo mefitico ogni angolo dell’ intelletto umano.
L’Intuizione assunta a metodo filosofico è la figlia naturale dei sistemi filosofici, che nel “tempo reale” e nell’insieme delle concezioni, tende ad inglobare “tutto il possibile, e finanche l’impossibile;” risultando di converso, tutto questo inconcepibile per il matematico il cui metodo (scientifico) si fonda essenzialmente sul “trascorrere” (del tempo): il ruolo della scienza è di prevedere e con ciò “ estrae e trattiene dal mondo materiale ciò che è suscettibile di ripetersi e di essere calcolato….. Essa non fa che insistere nella direzione del senso comune… correntemente, quando parliamo del tempo, pensiamo alla misura della durata e non alla durata medesima….la durata si esprime sempre in estensione (spazio) ….. l’intelligenza spontanea o riflessa, esclude il tempo reale.. una delle sue funzioni (principali) è quella di dissimulare la durata, sia nel movimento , sia nel mutamento… Del movimento, l’intelligenza ne trattiene soltanto una serie di posizioni: raggiunge inizialmente un punto, poi un altro punto.. l’intelligenza è destinata soprattutto a preparare e a dirigere la nostra azione sulle cose. La nostra azione si esercita agevolmente soltanto su punti fissi; è dunque la fissità che la nostra intelligenza ricerca….. appena un certo spazio sarà stato superato, la nostra intelligenza, che ovunque ricerca la fissità, deduce, a posteriori, che il movimento si è applicato su questo spazio (come se il movimento potesse coincidere con l’immobilità) e che il “mobile” è presente di volta in volta, in ciascuno dei punti della linea che esso percorre.” Si tratta di vedere “ nel movimento una semplice serie di posizioni; la durata del movimento si scomporrebbe allora in “momenti” corrispondenti a ciascuna posizione.” Ma ciò che è “reale” (in Bergson) non sono le istantanee (frammenti) di realtà catturati in immagini dalla nostra intelligenza, ma una realtà colta nel flusso del suo mutamento (cambiamento); così ricollocato, il mutamento assume una serie di stati giustapposti in parti distinte, in un tempo in successione, simile ad una pellicola cinematografica le cui immagini non si perdono, pur accelerando il movimento (tempo): “il tempo così ravvisato non è che uno spazio ideale in cui si suppongono allineati tutti gli eventi trascorsi, presenti e futuri, ai quali si impedisce di apparire unitamente….la successione è vista come coesistenza mancata… Per questo, …quei filosofi credono a una concatenazione così rigorosa dei fenomeni e degli avvenimenti per cui gli effetti devono dedursi da cause: costoro (i filosofi) si immaginano che l’avvenire è dato nel presente, che è teoricamente visibile, che non aggiungerà, di conseguenza, niente di nuovo … L’avvenimento capitale dei tempi moderni è stato quello della democrazia.”
Su quest’ultima “idea della democrazia”, come avverte Bergson, si può illuminare il passato composto da una realtà indivisibile, cogliendone già i contorni originali nei fatti “preparatori.” E
qui sta tutta l’originalità del pensiero bergosiano: l’idea di democrazia dei nostri antenati nel movimento da loro impresso nel percorso tracciato e nella direzione, ancora non esisteva. Le origine storiche del presente possono essere trasmesse alle generazioni future soltanto quando l’idea di democrazia è venuta alla luce della nostra attenzione nelle ragioni di una evoluzione passata, e non in ragione di una nuova direzione impressa alle generazioni future. Seguendo questa impostazione, ben si comprende come potrebbero essere ad esempio, difficile da rimuovere, le ideologie protrattasi per un così lungo periodo e divenute assai lontane dal pensiero originario di quei lontani grandi personaggi (Smith, Marx, Keynes..) e trasformati a posteriori (nel presente) attraverso una “fissità dell’intelligenza” in immagini di frammenti ideologici, nelle fattispecie del liberismo, keynesismo o del vetero-marxismo, ad uso e consumo degli storici per le future generazioni.
Le realtà del movimento e del mutamento sono al centro dell’analisi di Bergson e sono per l’autore così fondamentali da far aggiungere che ne guadagnerebbe non soltanto la filosofia ma “la nostra vita di tutti i giorni.” Il mutamento (nel movimento) sta nella stessa legge delle cose anche se si ragiona e si riflette, come se il mutamento non esistesse; occorre strappare i veli di pregiudizi creati dalla speculazione filosofica, nel “creare dei caratteri generali di una filosofia che si connetta all’intuizione del mutamento;” si può concepire un ordine, una armonia, una verità che si riconosce in realtà e che nel momento in cui un solo fatto viene realmente percepito come tale, e cozza contro il castello ingegnosamente organizzato in perfette concezioni filosofiche facendolo miseramente crollare. Del resto, la storia delle dottrine filosofiche nasce da questa generale insufficienza delle nostre facoltà delle percezioni: “se i nostri sensi e la nostra coscienza avessero una portata illimitata, se, nella doppia direzione della materia e dello spirito, la facoltà di percepire fosse indefinita, non ci sarebbe bisogno di comprendere né di ragionare… l’intelligenza combina, e separa, sistema, sposta, coordina, non crea. Ha bisogno di una materia e questa materia non può venirle che dai sensi o dalla coscienza..” L’intelligenza secondo Bergson è di tipo scientifica, nel costruire categorie, schemi, linguaggi, “forme vuote” assecondando una attitudine astrattiva, come è per la scienza, e questo contrariamente alla filosofia che tende a dilatare la percezione naturale, integrando il reale, al di sopra della conoscenza delle cose; un punto di osservazione di critica sulla materia filosofica, fa discernere all’autore che la questione dell’arte è destinata e da sempre, ad occupare una scena importante e ad aspirare a qualcosa in più riguardo ad una maggior estensione nella percezione di “alcuni uomini” che riescono a farci vedere ciò che normalmente non si vede.
Il metodo abituale del ragionamento si basa sulla immobilità: il movimento è per noi una posizione, si ragiona sul movimento come se fosse costituito di immobilità. La realtà è mutamento ed è indivisibile; in un mutamento indivisibile il “passato fa corpo con il presente e crea senza sosta con esso, qualcosa di assolutamente nuovo.” Il mutamento è l’elemento costitutivo di tutta la nostra esperienza, è quella cosa sfuggente di cui hanno parlato i filosofi in un arretramento inconoscibile della “sostanza:” il sostrato immobile della mobilità; una immobilità assoluta, “presa dal di fuori, sulla continuità del mutamento reale.”
Un grande messaggio di vitalità (e di potenza) fu lanciato da Bergson, per vivere un presente conoscitivo e partecipativo, contro tutte le speculazioni filosofiche (e ideologiche) che tendevano a cristallizzare il presente, isolandolo dal passato. Una profondità di pensiero che possa tratteggiare dinamicamente la realtà del presente nell’avvenire dell’immediato, rimanendo solidali alle percezioni del passato. Un modo di essere e di vivere una realtà non statica e con tutta la forza necessaria che ciò possa affermarsi, anche perché: “più ci abituiamo a pensare e a percepire tutte le cose sub specie durationis (sotto forma di durata), più sprofondiamo nella durata reale”
G.D. luglio ‘08