LA SPAR(T)IZIONE DELL’EUROPA

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La Russia è considerata il nemico numero uno e un pericolo persistente dagli Usa che non intendono mollare l’osso unipolaristico benché, oramai, l’ordine geopolitico unilaterale che essi hanno in mente sia meno di una remota eventualità il cui prezzo, peraltro, è troppo alto da pagare per chiunque, in termini di instabilità e caos planetario.

Nonostante ciò gli statunitensi non vogliono abbandonare questa strategia totale che accelererà i rischi di conflitti globali precoci e in condizioni di crescente incertezza per ogni attore che avrà grosse difficoltà a prevedere le mosse altrui. I Risultati fin qui ottenuti dall’amministrazione Obama e dal cerchio decisionale ristretto che l’accompagna sono dubbi eppure la strada è ancora quella segnata in una passata fase storica.

Laddove qualcosa sfugge alla sfera d’influenza di Washington si interviene per fomentare disordini e contrasti sociali (anche quelli pericolosissimi di tipo etnico) con manovre subdole e divisive di modo che nessuno sbrogli il bandolo della matassa. Se non può comandare la Casa Bianca nessuno deve farlo in ossequio ad una massima disorganizzazione internazionale che, secondo gli yankees, è pur sempre un beneficio per il vecchio potere.

L’America gode certamente di un relativo vantaggio sugli altri protagonisti dell’epoca in corso ma sta usando scriteriatamente la sua “rendita posizionale” aggravando la precarietà del contesto globale senza ricavarne nulla di duraturo. La sfida lanciata all’orso russo in prossimità dei suoi confini, dopo aver subito lo smacco siriano, è la prova evidente di questa volontà prepotente che amplificherà le complicazioni degli stessi partners atlantici di Washington, dentro e fuori le loro frontiere. Quest’ultimi, ritrovatisi in prima linea senza volerlo e senza poter opporre il proprio punto di vista all’alleato dovranno subire i guai e i guasti generati dagli scenari aperti e mai chiusi, e saranno aggiuntivamente scompensati da ulteriori ingerenze nella loro politica estera ed anche negli affari interni, in virtù di questa serrata dei ranghi che stride con gli approcci bilaterali (con russi, cinesi ed altre realtà emergenti) intessuti faticosamente negli ultimi anni.

Il giogo si farà più pesante e sconveniente tanto che infine si porrà comunque la questione dirimente: quella per cui sia meglio ripiegare entro i precedenti orizzonti di crisi che però sono un terreno conosciuto da lunga pezza oppure rischiare aprendosi alle nuove possibilità ed uscire in qualche maniera dall’impasseattuale . L’alternativa è dunque tra una sicurezza percepita come tale ma che, tuttavia, non resisterà a lungo alle trasformazioni in atto e l’accesso ad un ventaglio di opportunità il cui risvolto non è affatto scontato ma che potrebbe essere pagante nel medio-lungo periodo.

Al momento, i Paesi europei, pur se con qualche timida eccezione, non sciolgono i vincoli di ieri e si aggrappano alle vane speranze di un tempo irrimediabilmente perduto. E’ questo l’errore imperdonabile, nonché il fallimento completo, delle classi dirigenti comunitarie. Il Ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini che “intima” a Putin di fermarsi, quando è evidente che costui sta soltanto ripristinando i suoi interessi alla porte di casa, dopo un colpo di stato organizzato fuori da Kiev, è l’emblema di questa bancarotta diplomatica. Del resto, la Mogherini è stata investita della funzione dopo l’endorsement della Casa Bianca che decide gli assetti dei nostri governi, di qualunque sponda o colore essi siano. Ovviamente, non ce l’abbiamo con la persona ma denunciamo un fatto: in Italia non si muove foglia che straniero non voglia. E si vede.

Non ci saremmo aspettati nulla di diverso da lei che ricopre quel ruolo per imprimatur atlantico.  Ma ci vuole un po’ di decenza perché questa volta è chiaro anche ai bambini che la crisi in ucraina non l’ha scatenata Putin ma il Dipartimento di Stato americano insieme ai gruppi oltranzisti della parte ovest del Paese. E non vogliamo nemmeno trascurare le interferenze tedesche e lo zampino di altre componenti dell’UE nella grave escalation che ha messo gli ucraini gli uni contro gli altri.

Chi ha voluto, come ha scritto Kissinger, trasformare l’Ucraina nell’ avamposto di una sfida senza esclusioni di colpi tra Occidente ed Eurasia ha commesso uno sbaglio. Lo dice Kissinger che non è mai stato uno stinco di santo ma, certamente, non è mai stato nemmeno un avventurista come gli attuali decisori statunitensi che stanno portando il mondo sull’orlo del baratro. Mentre la Mogherini punta il dito e s’impanca l’America punta i missili e sbanca. Da un lato l’amministrazione Obama minaccia di chiudere il cerchio dello scudo antimissile posizionando i suoi vettori a Kiev, dall’altro vuole spodestare la Russia dagli affari energetici in Europa, col pretesto di diminuire la dipendenza dell’UE dal Cremlino. Nel fare questo amplia la sua già ingombrante presenza che non è soltanto finanziaria ma soprattutto militare. E’ notizia di questi giorni che, come riporta il NYT, in risposta alla crisi in Ucraina, i legislatori americani e le compagnie energetiche stanno spingendo per esportare gas naturale in Europa nel tentativo di minare l’influenza della Russia sul continente. L’Amministrazione Obama dovrebbe muoversi per aumentare le esportazioni ed aiutare gli alleati.

L’aumento delle esportazioni di gas naturale è considerato dagli Usa uno strumento per rafforzare la politica estera statunitense in Europa. Perché quando lo fa Putin è inaccettabile mentre se lo dichiara apertamente Obama facciamo i salti di gioia? Si badi bene che l’intento non è per niente economico poiché sono gli stessi americani ad ammettere che “il Governo dovrebbero usare le esportazioni di gas naturale come una leva fondamentale della diplomazia statunitense nel vecchio continente”. La Mogherini si giri pure dall’altra parte per non sentire la verità ma di questo si tratta.

In questo clima Putin si gioca tutta la sua credibilità e il futuro della Russia, per questo non arretrerà di un passo in Ucraina, anche a costo di dividerne le spoglie. Secondo quanto afferma Edward Luttwak il piano russo si spingerà molto oltre l’indipendenza della Crimea. Il progetto del Cremlino è quello di creare una “Nuova Russia” che comprenderà tutti i territori ad est del Dniepr (ci sarebbe pronta persino la nuova bandiera) di origine russofona. E lo farà, sottolinea Luttwak, nel più americano dei modi, cioè facendo prevalere il principio wilsoniano dell’autodeterminazione degli Stati e dei popoli. Questa “Nuova Russia” avrà come centro amministrativo Kiev che è attraversata e divisa in due dal fiume Dniepr, la parte ovest resterà in mano agli occidentali, la parte est diventerà la capitale della Repubblica nascente. Probabilmente Putin accetterà in cambio di cedere Odessa che è situata ad ovest del Dniepr per garantirsi uno spazio omogeneo ai suoi confini.

Gli europei potrebbero assistere inermi a questa ennesima divisione della propria area se russi e americani si accorderanno in tal senso. E tutto ciò per non aver voluto cooperare con Mosca quando era possibile, prestando fede alla bugie americane. Non ci aspettiamo che la nostra Ministra degli affari esteri capisca tutto questo ma ci auguriamo almeno che riesca a tenere per sé le sue minacce infantili. Nel frattempo siamo noi ad essere ridotti a dei moncherini geopolitici anche a causa della Mogherini e di chi l’ha preceduta.