L’attacco a Finmeccanica

 

 

Nel corso dell’anno 2011 la quotazione in Borsa dell’azienda Finmeccanica ha fatto registrare un sonoro -64%, e solo nell’ultimo mese la perdita totale è ammontata alla significativa quota di -32%.

Il compito di dedurre a cosa sia dovuto questo impressionante e repentino tracollo rappresenta un enigma di non difficile risoluzione.

Negli scorsi anni Finmeccanica aveva beneficiato dello stretto rapporto di collaborazione tra Italia e Libia ottenendo lucrose commesse dall’alleato Muhammar Gheddafi; le quali vanno dalla realizzazione di strutture ferroviarie lungo i litorali mediterranei alla cooperazione con la difesa libica per quanto concerne i settori dell’aeronautica e dell’elicotteristica.

Tuttavia, la crociata contro Gheddafi sferrata da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna ha interrotto bruscamente questi affari e costretto l’azienda romana a fare fagotto.

Parallelamente, alcune indagini condotte dalla magistratura riguardo ad un oscuro giro di tangenti raggiunsero il vertice della società, ovvero il Presidente Pier Francesco Guarguaglini, contro il quale venne orchestrata una sontuosa campagna di pressione affinché abbandonasse spontaneamente l’incarico.

I più “autorevoli” organi di riferimento della grande finanza angloamericana, ovvero il Financial Times e il Wall Street Journal, colsero l’occasione per gettare ulteriore benzina sul braciere italiano, gettando enorme discredito sia sull’impresentabile governo in carica sia su Finmeccanica, che stava subendo durissimi attacchi in Borsa (-20% in un solo giorno).

Malgrado ciò che viene comunemente creduto, il mercato azionario necessita di essere inderogabilmente spogliato del carattere ludico (“giocare in Borsa”) che i principali organi informativi sono soliti affibbiargli, perché le tendenze di base vengono regolarmente indirizzate a porte chiuse dai più navigati protagonisti della politica e della finanza, nell’ambito dei vertici del Club Bilderberg e della Commissione Trilaterale, ove si stabiliscono le regole del “gioco”.

Alla luce di questo fatto risulta quindi chiaro il motivo per cui al crollo pilotato di Finmeccanica abbia fatto seguito un significativo calo azionario delle compagnie possedute dal Primo Ministro Silvio Berlusconi, finito anch’esso, come Guarguaglini, nell’occhio del ciclone giudiziario.

Con il valore di Mediset e Mondadori dimezzato (rispettivamente -53% e -50,5% annuale) e la considerevole flessione subita da Mediolanum(-12% nell’anno 2011) Berlusconi si è deciso a recidere il nodo gordiano relativo alla sua posizione di governo, dimettendosi dall’incarico di Primo Ministro.

Una volta insediatosi, il capo del governo Mario Monti ha convocato d’urgenza Guarguaglini per “accettare” le sue dimissioni, conferendo pieni poteri all’Amministratore Delegato Giuseppe Orsi ma tergiversando sull’opportunità di assecondare il “suggerimento” dato dal Financial Times lo scorso 26 novembre, relativo alla necessità di cedere la quota statale dell’azienda.

Ciò provoca la pronta reazione di Standard & Poor’s, che cala la propria scure su Finmeccanica affibbiandogli un BBB- con outlook negativo.

E’ opportuno sottolineare che Finmeccanica è una delle poche compagnie italiane ad investire nella ricerca e a mantenere in Italia un alto livello di competenze per quanto riguarda i settori strategici della difesa e delle nuove tecnologie d’avanguardia.

Per questa ragione grandi multinazionali come la General Electric, la Siemens, la Alstom stanno puntando all’acquisizione delle aziende controllate da Finemccanica, come la Selex, la STS Ansaldo e l’Alenia, il cui capitale strategico si rivelerà fondamentale nella regolazione dei rapporti di forza internazionali nell’ambito del nuovo assetto multipolare che va inesorabilmente instaurandosi.

Qualora l’Italia dovesse procede quindi alla cessione all’estero di compagnie di punta come appunto Finmeccanica, ma anche ENEL ed ENI – che non a caso sta subendo pesanti attacchi finalizzati allo scorporamento della rete del gas gestita dalla SNAM – finirebbe per sottoscrivere il proprio, definitivo suicidio politico che completerebbe il processo di smantellamento iniziato nel 1992, con “mani pulite”, con la riunione sul Panfilo Britannia e con gli attentati a danno degli eminenti rappresentati istituzionali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.