L’INCUBO DELLA DEFLAZIONE di G. Duchini

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Le previsioni della Bce sono in caduta libera. Da una previsione di una inflazione vicino al 2%, nell’area dell’euro si è registrata una flessione attorno allo 0,4%; uno studio del “Peterson Institute” fa una congettura catastrofica quando afferma che un ritorno alla normalità arriverà non prima di un decennio. L’economia ristagnerà a lungo e con una inflazione pari allo zero (leggasi deflazione) il peso reale dei debiti aumenta con l’aumentare del debito delle famiglie delle imprese dei governi. E se circolano 13.300 miliardi di euro di prestiti obbligazionari emessi dagli europei, è altrettanto vero che la gestione di tutti quei debiti è molto più pesante: gli interessi restano eguali e i ricavi per pagarli scendono.

Se i prezzi scendono è perché i consumi languono vale a dire la capacità di spesa delle persone normali, non hanno più i denari per acquistare le merci che le imprese mettono in vendita; c’è difficoltà ad acquistare nuove automobili, beni alimentari, spesa per le vacanze. Le imprese che non realizzano profitti muoiono, ma prima di morire abbassano i prezzi dei beni che producono. Con una spirale senza fine, si riduce il potere di acquisto, i consumi, i profitti delle aziende, e le imprese chiudono; e aumenta parallelamente la disoccupazione e con essa la sofferenza sociale. Ci si può indebitare vendendo il debito e con esso creare delle bolle finanziarie che producono a loro volta danni irreparabili.

La debolezza dell’intera area euro dipende essenzialmente dai drammatici errori della politica economica europea che non da cenno di cambiamenti e blocca ogni spiraglio di ripresa possibile. La stessa Germania rappresentata come la locomotiva dell’Europa si è bruscamente arretrata nel secondo trimestre dello 0,2% con il rischio che anche nel terzo trimestre il Pil della economia tedesca non vada bene con il conseguente effetto di sfiorare la cosiddetta recessione tecnica.

A ciò si aggiungono le turbolenze geopolitiche della Russia-Ucraina che porta a frenare l’export non solo della Germania ed il quadro è così completo.

Il presidente della Bundesbank Weidemann qualche giorno fa ha interloquito con il presidente francese Hollande invitandolo ad attuare una politica di rigore. Per tutta risposta all’intervista di Weidmann, il ministro francese Sapin ha immediatamente chiesto alla Ue più flessibilità. Una diatriba andata avanti per giorni fino alle dimissioni dell’intero governo di Hollande (a guida Valls) e che dopo avere fatto registrare una crescita zero del proprio Pil già nel primo e nel secondo trimestre è entrata in stagnazione tecnica.

Draghi nella qualità di Presidente della Bce (già responsabile nella statunitense Goldman Sachs) coordina dall’alto della sua competenza politiche che permettano di uscire dalla crisi entro il diktat americano. Nella sua ultima relazione ha messo in evidenza il rapporto tra “stress fiscale e disoccupazione nell’Eurozona” che ha danneggiato soprattutto i paesi più impegnati nell’austerity; e più oltre afferma con linguaggio criptico “Abbiamo bisogno di un azione su entrambi i lati dell’economia: politiche di domanda aggregata devono essere accompagnate da politiche strutturali nazionali.”

Si sussurra, da parte italiana, di un Draghi pronto a delineare un panorama di saggia politica economica in cui rigore e crescita economica possano coesistere in tutta l’Eurozona, nel mentre i cattivi ambienti tedeschi con la linea del rigore senza crescita stanno portando l’intera Europa alla deflazione e al disfacimento.

GIANNI DUCHINI, settembre ‘14