Lo sciacallaggio economicistico sul rapporto OSCE

crisi-economica

 

L’economia internazionale ha cominciato a cedere dal 2007-2008. Dopa la crisi dei mutui subprime ed i fallimenti bancari, soprattutto negli Usa, è iniziato un lungo periodo di stagnazione che attiene ad un’intera epoca storica. Le difficoltà finanziarie si sono scaricate sui processi reali, come accade nelle congiunture di sregolazione politica. Sono entrati in tensione i rapporti di forza globali. Lo abbiamo ribadito innumerevoli volte. Tutta l’area occidentale sta conoscendo una lunga stagnazione che abbiamo paragonato a quella di fine ‘800. Non c’è Stato che non stia attraversando, tra alti e bassi, una fase difficile, sicuramente qualcuno è entrato in sofferenza maggiore per le sue debolezze strutturali, l’Italia è tra questi. I nostri problemi vengono da molto più lontano, hanno responsabilità gravi e differenziate, scaturite da una (mala)gestione delle cose pubbliche davvero sconcertante, in primis a causa di uomini e compagini di governo che non hanno saputo leggere gli eventi in evoluzione e che si sono ancorati ad un mondo che andava sgretolandosi sotto i loro piedi. Solo per questa cecità ed inanità dovrebbero essere esclusi da tutte le vicende nazionali ed, invece, ce li ritroviamo ancora a pontificare e, persino, a difendere il lavoro da essi svolto al servizio della catastrofe. Quest’ultimi, adesso basandosi su un rapporto dell’Osce, gridano alla recessione addossando le colpe all’attuale esecutivo populista. Nel documento dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico si legge che “il Pil dell’Italia quest’anno sarà di segno negativo, -0,2%. Cioè continuerà la recessione in cui la Penisola è entrata a fine 2018. La previsione di crescita è stata abbassata di 1,1 punti percentuali rispetto al precedente outlook di novembre. Per l’Ocse il nostro prodotto interno lordo tornerà di segno positivo nel 2020 (+0,5%)”. Agli altri membri dell’Eurozona non va molto meglio e la Germania, locomotiva industriale continentale ,crescerà solo dello 0,8% in termini di Pil, ovvero esattamente quanto l’Italia nel 2018. Siamo di fronte a numeri risicati, in ogni caso, segno che la tendenza recessiva è la vera cifra di questo periodo. Lo avevamo anticipato anni fa. Lo abbiamo chiarito, anche in un libro recentemente pubblicato per Mimesis. La relativa stagnazione durerà ancora molto, si verificheranno “ripresine”, ma la crescita sarà debole, soprattutto in occidente, sia per il livello di sviluppo raggiunto nell’arco di molti decenni, sia perché altri concorrenti si sono messi in rimonta. La posta in palio va però oltre la competizione sui mercati ed è una sfida (geo)politica per la ristrutturazione delle sfere d’influenza, sicuramente anche attraverso il sostegno a quei settori industriali, cosiddetti di punta o all’avanguardia, che possono far fare un balzo in avanti tecnologico ai paesi in reciproca concorrenza. In questo clima di conflittualità interstatale l’economia non può avanzare in maniera lineare e subisce ripetute battute d’arresto. Si tratta proprio di quanto afferma La Grassa nel saggio Crisi economiche e mutamenti geopolitici: “chi si atterrà solo al dato economico, credo capirà poco o nulla dell’epoca in corso. Si comporterà come quegli storici, dalle cui pagine il lettore ricava l’impressione che i popoli, in secoli passati, si nutrissero di pepe, zenzero, cacao (come si ricava dai semplici dati economici)”. Tuttavia, chi oggi, fondandosi su questo rapporto Osce, afferma che l’Italia arretra a causa della “politica di bilancio espansiva“ del governo è soltanto un disfattista ed un imbroglione. Semmai, si dovrebbe accusare questo, ma soprattutto i gabinetti passati, di non aver proceduto prima con azioni di questo tipo per stimolare la crescita generale. La spesa statale deve essere realmente aggiuntiva rispetto a quella privata (hai voglia ad abbassare le tasse alle imprese se in giro non c’è chi può comprare la loro “roba” per carenza di mezzi) per far ripartire il motore del sistema e non deve trattarsi solo di mance ai più indigenti bensì di supporto, senza badare ai conti, ai comparti innovativi ma anche a quelli tradizionali quando ancora trainanti (materie prime, energia, industria pesante, inclusa quella militare) nonché di maggiori certezze per una parte dei ceti medi che costituiscono il blocco sociale determinante. Ed, invece, ieri le opposizioni nazionali fingevano angoscia per i guasti causati dagli spendaccioni pentaleghisti che ci stanno mandando in rovina. Quest’ultimi sono davvero troppo timidi e non sanno ricorrere a concrete terapie d’urto, i primi sono residui dei cimiteri che vogliono trascinarci nell’oltretomba.