OSSERVAZIONI SPARSE SU UN VIAGGIO IN SIBERIA

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Il viaggio di cui parliamo si è svolto nella Federazione Russa per 15 giorni in Siberia Occidentale da Ekaterinburg a Irkutsk, sul Lago Baikal.

 

La prima notazione è semplicemente geografica: la vastità del territorio al di là (… per noi occidentali) degli Urali è impressionante. Tre notti e due giorni di treno separano Ekaterinburg, appena a est degli Urali, da Irkutsk, sulle rive del fiume Angara, unico effluente del Lago Baikal, un enorme riserva di acqua dolce, un “mare” più che un lago.  A Irkutsk si è posizionati nel bel mezzo della Siberia, distanti tre giorni di treno da Vladivostok sul Pacifico (9000 km da Mosca ca.). Si attraversano migliaia di kilometri di steppa, terreno fertile e coltivabile, se non fosse che per più di metà dell’anno è inagibile per il freddo (differenza fondamentale rispetto alle Grandi Pianure del Midwest statunitense),  e migliaia di kilometri di taiga: foresta di betulle, pini e  larici.

 

Le città sono quelle dell’epoca zarista, sviluppate poi in quella sovietica ed ora ristrutturate con nuovi “downtown” di tipo occidentale cioè con pochi o nessun residente, spostati in periferia, e riempiti con centri commerciali e direzionali, attorno ai palazzi storici del potere municipale, regionale e federale. In tutta la Siberia risiede un quinto ca. della popolazione della federazione Russa.

 

La ferrovia, sulla direttrice ovest-est,  è l’infrastruttura dominante: nata in epoca zarista, completata agli inizi del novecento, arricchita in epoca sovietica dei rami necessari a servire i nuovi bacini minerari ed industriali, oggi rappresenta la “cintura d’acciaio” che tiene unita la Federazione Russa, una nazione altrimenti impossibile, qualora la pura geografia prevalesse, una volta considerate le condizioni climatiche delle varie zone. Il movimento passeggeri sui treni è continuo, bi-direzionale, di tipo pendolaristico o “business” interno russo. Il movimento merci è intenso (si incrocia un treno merci ogni dieci minuti)  con caratteristiche strutturali tipiche: materie prime (legno, carbone, gas, petrolio) da est a ovest e mezzi (trattori, movimento terra, auto, camioncini) da ovest a est.

 

I grandi fiumi, disposti prevalentemente sulla direttrice nord-sud, di ampiezza indescrivibile, completano la rete infrastrutturale con il non secondario vincolo della limitata navigabilità, dovuta ai ghiacci del periodo invernale (ottobre- aprile) .

 

L’attuale motorizzazione privata nelle città è prevalentemente giapponese e coreana, sporadicamente tedesca e francese. A est spesso la posizione di guida a destra convive, se non prevale, rimanendo la modalità di circolazione secondo lo standard europeo-continentale (a significare la permeabilità del mercato siberiano  alle merci asiatiche). La mitica UAZ sopravvive con i suoi fuori strada in campagna e nei centri minori.

 

Il trasporto pubblico metropolitano è capillare, a 0,3-0,4 euro la corsa, assicurato da un sistema pubblico (tram, filobus, autobus di età “centenaria” con qualche inserto  moderno)  a fermata obbligatoria e da un sistema parallelo semi-privato (pulmini da 15 posti) a fermata a richiesta.

 

In tutte le città, grandi medie e piccole, la distribuzione commerciale è assicurata da centri commerciali (tipo “mall” statunitensi) e da mercati centrali e di zona all’aperto. E’ del tutto minoritaria la rete di negozi di quartiere, limitata a farmacie e chioschi per sigarette, cioccolata, bibite.

 

La lingua russa rimane del tutto egemone ed incontrastata: solo ai banconi degli alberghi qualcuno parla inglese; le tastiere dei PC resi disponibili al pubblico sono in cirillico. Si può dire che l’uso dell’inglese viene mediamente rifiutato dai russi, meno dall’immigrazione interna kazaka, uzbeka, azera. Il turismo della zona è prevalentemente russo sebbene cresca quello internazionale nelle località più rinomate, come il Lago Baikal, a luglio e agosto.

 

Le russificazione della Siberia è un dato di fatto irreversibile. Le comunità autoctone sono presenti, ma numericamente minoritarie, prevalentemente dedicate a sfruttare il crescente flusso turistico nei suoi effetti economici secondari (rivendite, ospitalità minore, trattorie), sebbene culturalmente vitali anche grazie ad una rete di musei regionali molto ben fatti, ben tenuti e vitali. Molto significativa anche la presenza di immigrazione uzbeca e kazaka nei settori dell’industria delle costruzioni e nel piccolo commercio.

 

L’impressione del tutto generale che si trae da un viaggio di questo tipo è la conferma che il territorio della Federazione Russa è costituito in realtà da un insieme di diversità geografiche radicali (Europa+Siberia), che può essere tenuto insieme solo a costo di una cura estrema dell’infrastrutturazione esistente entro ed attorno alla ferrovia transiberiana, strumento altamente funzionale ed efficace per il controllo politico e sociale di un territorio così vasto e diverso. La continuità  inserita “artificialmente” nel territorio russo dall’ infrastruttura transiberiana (ferrovie + industrie + città), garantisce alla Russia di non finire come il Canadà: due territori est-ovest praticamente separati. Con il corollario geopolitico che la Siberia non finirà, per questa ragione, facilmente preda delle potenze confinanti e prementi sul fianco est: Cina e Giappone.

 

Le direzioni dello sviluppo delle risorse siberiane contengono un altissimo significato strategico per la Federazione Russa e, parimenti, la loro definizione costituisce la sfida principale che i gruppi dirigenti russi hanno davanti a loro nel 21.o secolo. Possiamo ricordare a questo proposito la storia poco conosciuta della Società Russo-Americana che nell’800 deteneva il monopolio del commercio delle pelli delle colonie russe in Alaska e che si spinse nelle sue attività di sviluppo economico,  non solo in Alaska ma fino a poche decine di kilometri a nord di S. Francisco, allora spagnola (Fort Ross fu costruito dai russi nel 1812). Una storia sfortunata, quella del suo fondatore e mentore Nikolaj Rezanov, morto prima di avere la soddisfazione di vedere la firma dello zar sotto i trattati da lui conclusi favorevolmente con gli spagnoli, ma anche la storia di una scarsa consapevolezza del valore strategico delle intuizioni e visioni di Rezanov (ricco barone russo), da parte dell’elite zarista. Se col senno di poi possiamo senz’altro definire la successiva vendita dell’Alaska agli americani (1867) un gravissimo errore geopolitico, dobbiamo invece ancora comprendere quanto importante sia per la Federazione Russa lo sfruttamento delle risorse dei territori della Siberia del Nord ed in particolare l’apertura di una stabile via di comunicazione marittima a Nord-Est, che sbocchi nell’Oceano Pacifico. Con il corollario dell’avanzamento tecnologico complessivo che le difficoltà ambientali di necessità richiedono.

 

La risposta alla domanda se questo sviluppo ed avanzamento sarà auto-centrato, come lo è stato al tempo degli zar (il traghetto che trasportava i primi treni su è giù per il Lago Baikal, fu costruito in Inghilterra, trasportato a pezzi in Siberia, assemblato e varato a Irkutsk)   e della CCCP, oppure egemonizzato da capitali e tecnologie straniere, determinerà a nostro parere largamente il ruolo futuro della Federazione Russa come potenza globale.

 

Roma, 23.6.2012