UN’ORDA DI ZUCCHE VUOTE.

Ukraine Protest

…Ho paura che una corona sulla sua testa
possa nascondere la sua fronte
così umana e geniale,
così vera. Sì, io temo
che processioni e mausolei,
con la regola fissa dell’ammirazione,
offuschino d’aciduli incensi
la semplicità di Lenin; io temo,
come si teme per la pupilla degli occhi,
ch’egli venga falsato
dalle soavi bellezze dell’ideale… (Vladimir Il’itch Lenin. V. Majakovskij)

 

Non si placano le proteste in Ucraina dopo la decisione del governo di Kiev di interrompere il dialogo con l’Ue.  La ribellione dalla Capitale va ora estendendosi anche in altri centri, giungendo a toccare la parte russofona del Paese. Gruppi prezzolati di provocatori e di neonazisti cercano di infuocare il clima ricevendo il plauso dell’UE. Si mescolano agli studenti e alle persone comuni che protestano per la crisi economica. Bruxelles che vede come fumo negli occhi l’avanzata dei partiti identitari e antieuropeisti nel suo territorio si eccita, oltremodo, quando certe scipite buffonate accadono al di là dei suoi confini. Questa sostiene, persino, che le proteste violente siano giustificate dalla mancanza di libertà e di democrazia di cui si rendono responsabili siffatti Stati chiusi ed autoritari, i quali vivrebbero ancora con le lancette dell’orologio ferme ai tempi dell’Urss. Molto meglio i mafiosi e gli oligarchi amici dell’Occidente, come l’ex Premier Yulia Tymoshenko, divenuti ricchi con la rapina delle proprietà pubbliche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

La sedizione antiestablishment è guidata dagli ultranazionalisti di Svoboda che qualche giorno fa si sono resi protagonisti della “decapitazione” di Lenin. Costoro, mentre abbattevano la statua del grande rivoluzionario russo, innalzavano un monumento mastodontico alla loro stupidità. Un’orda di zucche vuote intenta a far rotolare la testa simbolica, secondo la loro ridottissima visione del mondo, dello storico aggiogamento dell’Ucraina al potente vicino russo.

Teppisti accanitisi contro un’icona della rivoluzione bolscevica, personificazione di un potere ormai estinto che non ha nulla a che vedere né con Janukovyč, né con Putin. Del resto, Lenin mai avrebbe voluto essere imbalsamato o pietrificato per le strade. Chi lo ridusse ad immagine sacra, a mummia di culto dell’ortodossia, lo fece per approfittare della sua fama e legittimare il proprio imperio. Per tali ragioni questa presunta insurrezione popolare è soltanto un’azione delinquenziale, una forma becera di insubordinazione eterodiretta dall’estero. Se così non fosse stato l’emblema della prima rivoluzione, portatrice di un diverso modello sociale mai riuscita e perdurata, sarebbe al suo posto. L’Europa sta pertanto assecondando umori reazionari che, prima o poi, le si ritorceranno contro.

Chi si nasconde dietro i sommovimenti di piazza? I soliti istigatori stranieri. Dalle potenti lobbies ucraine d’oltreoceano, agli oligarchi espulsi e rifugiatisi in varie parti d’Europa, ai medesimi governi atlantici che temono il rafforzamento di Mosca a danno delle loro sfere d’influenza. Sono gli stessi sobillatori che, cent’anni fa, finanziavano le armate bianche antirivoluzionarie ed antibolsceviche.  A tutti costoro auguriamo la fine impietosa dei “marinai di Kronstadt”, anche se sono in buona fede, anzi, soprattutto, se lo sono. Perché detti giovinastri che affollano le vie ucraine non possono nemmeno aggrapparsi ai falsi miti che mossero gli studenti cinesi di Piazza Tienanmen, ai quali il poeta Edoardo Sanguineti scattò un’istantanea impietosa: “Quelli erano veramente dei ragazzi – poveretti – sedotti da mitologie occidentali, un poco come quelli che esultarono quando cadde il muro; insomma, ragazzi che volevano la Coca-Cola”. Non meritano nemmeno questa flebile comprensione i soldati di Udar, i giannizeri di Batkvishna, gli universitari che non sanno la loro storia, perché i ragazzi dell’est hanno già tutto questo, il modello occidentale li ha pervasi e conquistati nei gusti e negli stili di vita, e nessuno impedisce loro di seguire le suddette “mode”. La verità è che queste nuove generazioni sono perdute e sperdute, da Brest a Vladivostok, poiché non hanno idee vive e si smarriscono tra i futili feticci di una inesistente globalizzazione. L’immagine della ragazza che col cellulare riprende le scene dell’abbattimento della scultura di Lenin, per rilanciarle successivamente sui social network, accompagnandole con frasi euforiche, è l’epitome più triste e desolante della decadenza politica e culturale dei nostri giorni. Ignoranza e barbarie.