Il signore dei tranelli

monti

Ha iniziato due settimane fa il Corriere a tirare la gran cassa sulle capacità gladiatorie di Supermario Monti e a prefigurare lo scenario muscolare del recente Consiglio Europeo di Bruxelles. L’Italia ha svolto diligentemente “i propri compiti a casa”; ha tutto il diritto, quindi, di pretendere meccanismi di difesa comunitari dagli attacchi speculativi al proprio sistema finanziario e misure comuni per la crescita. Più che proposte l’Italia pone, quindi, dei veri e propri ultimatum ai propri partners europei renani. Su questo leit motiv, sussulti di orgoglio nazionale trovano spazio negli ambienti più insospettabili e più accondiscendenti al cosmopolitismo remissivo, assecondati in questo dalle concomitanti prodezze calcistiche della nostra Nazionale di calcio, per inciso un vero capolavoro di tattica, gioco di squadra, motivazione e valorizzazione delle individualità. Il Corriere, ante litteram, ha trovato in Monti il condottiero capace di motivare gli italiani e trascinarli alla vittoria e nei partiti l’anello debole che potrebbe inficiare il buon esito dei suoi propositi. I più esaltati e fiduciosi sono arrivati a prefigurare in poche settimane, finalmente, la creazione di una nazione e la loro “Federazione dei popoli negli Stati Uniti d’Europa” prossima a venire, sogno dei federalisti europei e dell’establishment americano, specie quello democratico, degli anni ’50, non si sa quanto distinguibili i primi dal secondo.

L’esito del vertice, con grande smacco e sorpresa, si direbbe, della Cancelliera Tedesca, si è trasformato in una apoteosi   per il nostro “leader maximo”. Laddove hanno fallito Garibaldi e “la buonanima”, per il nostro e per il suo paese tutto si è risolto in una marcia trionfale. Il miracolo che ha portato una “strana coalizione” a sostenere a sorpresa (sic!) lo “strano Governo” in Italia si è “a sorpresa” riproposto in Europa con la Francia a sinistra e la Spagna a destra a sostenere entrambi l’indomito salvatore e prode condottiero. Un trionfo inarrestabile e sorprendente con l’inevitabile corollario della totalità degli opinionisti zeloti alla fine unanimemente al seguito del carro del vincitore.

Ma siamo sicuri che si tratti di un risultato a sorpresa con smacco di una Cancelliera a sua volta colta a mal partito?

Mal si concilia, intanto, la sorpresa con proclami, obbiettivi e tattiche sbandierate con vanagloria ai quattro venti con settimane di anticipo. A guardar bene, già le dichiarazioni programmatiche in fase di insediamento e i contenuti dei colloqui con Obama, tracciavano chiaramente la linea di condotta e gli obbiettivi di Monti. In Francia, con il destino di Sarkozy ormai tracciato, più di un settimanale, in prima fila “Marianne”, in tempi non sospetti aveva prefigurato un gioco delle parti tra Merkel e Hollande, con margini di trattative e campo di conflitti molto più circoscritti rispetto alle apparenze veementi. Parlare di sorpresa, quindi, faremmo torto alla tradizione militare prussiana, strategicamente condannata a circondarsi di troppi nemici, ma imbattibile sul piano della tattica militare.

A guardare il contenuto degli accordi, la realtà appare molto meno rosea per l’Europa e per l’Italia, ma con parecchie prospettive personali promettenti per l’attuale leader di quest’ultima.

Sono, intanto, accordi di principio il cui reale contenuto normativo sarà stabilito nei prossimi mesi; in quelle trattative saranno più evidenti gli interessi in gioco e le loro gerarchie.

Sono accordi che possono essere invalidati dalla Corte Costituzionale di Germania, l’unico grande stato europeo che si possa concedere ancora il lusso del giudizio di legittimità sui trattati della Unione Europea.

Ciò non ostante, il compromesso appare perfettamente in linea con le dinamiche europeiste innescate negli anni ’50 tese ad imporre surrettiziamente, una volta fallite la CED (Comunità Europea di Difesa) e la CPE (Comunità Politica Europea) di smaccata impronta americana,  “l’Europa furtiva”, felicissima espressione coniata, mi pare, da Jacques Sapir.

Lo scudo antispread, sempre che sia realmente attuabile, appare un regolatore più o meno timido, secondo le soglie di intervento che saranno decise, di là da venire ed aggirabile dai flussi speculativi le cui quantità e i cui tracciati vengono decisi comunque in altre sedi; un palliativo teso a scongiurare probabilmente un crollo inopinato e a consentire il proseguimento del drenaggio di risorse dai paesi più ricchi ma più deboli politicamente.

“Il meccanismo di vigilanza sulle banche” e di finanziamento permetterà agli stati di non continuare ad indebitarsi, almeno nominalmente, per sostenere le banche in difficoltà. Ma a quale prezzo? I Governi e gli Stati nazionali più deboli saranno privati ulteriormente di un potere di indirizzo e di controllo fondamentali delle loro economie e delle categorie sociali e produttive, quale quello consentito dal controllo delle banche, tanto più in strutture finanziarie nelle quali il mercato azionario è ancora secondario rispetto all’intervento diretto degli istituti bancari.

Un altro tassello fondamentale, il meccanismo di vigilanza, teso alla creazione di un “furtivo” Ministero Europeo del Tesoro, espressamente collegato alla BCE, dedicato istituzionalmente al controllo della spesa e delle politiche economiche.

Agli stati nazionali il controllo delle entrate, quindi dei prelievi fiscali, agli organismi comunitari quelli delle uscite e della gestione economica, ambiti ben più importanti per la determinazione delle gerarchie economiche e politiche e per la formazione dei blocchi sociali. Parlare genericamente di stati nazionali  è, però, fuorviante giacché ve ne sono alcuni, dentro e fuori l’Europa, in grado di influenzare e controllare le istituzioni europee, altri che le subiscono passivamente. Lo sciacallaggio avvenuto ai danni della Grecia è, in questo senso, emblematico.

L’altro vessillo agitato in apparente contrapposizione al rigore finanziario di impronta teutonica è quello della crescita.

Centoventi miliardi scaraventati dal croupier sul piatto; in realtà sono meno di cinquanta. Un bluff più accettabile rispetto al piano di crescita di Passera, ma comunque poca cosa rispetto al bacino interessato. Si dovesse poi andare a vedere le scelte di investimento, si tratta soprattutto di costruzione di reti di trasporto e informatiche. Di per sé scelte importantissime, in grado anche di sostenere l’attività di due settori produttivi importanti uno dei quali saldamente in mano americana, ma neutre, nel senso che, in mancanza di una politica industriale diretta, non fanno che assecondare i processi di polarizzazione e frammentazione delle economie europee. Una delle cause del tracollo greco e della crisi spagnola è proprio il costo del sovradimensionamento di alcune reti infrastrutturali. Se a questo dovessero aggiungersi le solite pastoie legate ai criteri di ripartizione di spesa tra i paesi, l’impatto sarebbe ulteriormente ridimensionato.

Proprio il concetto di apparente neutralità delle politiche economiche, di sviluppo del libero mercato rappresenta il cavallo di troia che impedisce all’Europa e ai suoi paesi di assumere un ruolo significativo e sovrano al proprio interno e nel contesto geopolitico mondiale.

L’assoluta inconsistenza politica e conseguente subordinazione alle scelte americane nelle relazioni internazionali, la estrema porosità del proprio sistema finanziario rispetto a quello angloamericano, l’apertura del proprio mercato soprattutto a quello americano e a quello dei suoi alleati asiatici, la pervicacia con cui la Commissione Europea si dedica alla frammentazione delle imprese industriali per impedirne una strutturazione europea più che nazionale e un dimensionamento quantomeno paragonabile non solo a quelle americane, ma anche cinesi e giapponesi, la presenza di una burocrazia comunitaria ormai sessantennale di stampo lobbistico, formata secondo i principi di Monnet e di altri funzionalisti di emanazione americana, il fatto che poi le stesse direttive europee devono alla fine essere attuate da quegli stessi apparati statali nazionali bersaglio del sistema comunitario non contribuiscono affatto a costruire uno stato continente sovrano. Sono tutti fattori che contribuiscono a creare un campo, nemmeno ben delimitato all’esterno, in cui ancora gli stati nazionali e le economie nazionali si contendono la posta in palio, ma tutti in condizione di debolezza e con un arbitro, quello statunitense, in grado di entrare pesantemente in gioco nella partita e di condizionare e pilotare i comportamenti delle varie squadre.

Tra le tante, lo studio della vicenda del Consorzio Airbus è particolarmente illuminante.

Non a caso gli unici sussulti di autonomia, nel contesto geopolitico mondiale, sono prodotti, anche di recente, da singoli stati europei quasi solo nelle relazioni economiche, ma con l’opposizione pervicace e l’ostracismo ricorrente delle istituzioni comunitarie.

Le polemiche antitedesche di questi ultimi mesi sono, quindi, solo mistificazioni di uno scontro che mira soltanto a ridimensionare il ruolo di una potenza regionale dal raggio di azione per altro molto limitato e dalle capacità egemoniche quantomeno discutibili.

Un paese che tutt’al più riesce soltanto a defilarsi dal peggior interventismo americano, fornendo però discretamente il supporto informativo, come successo in Libia; che ha un’economia di tipo regionale che per oltre l’80% colloca i propri prodotti nel continente di appartenenza, fortemente intrecciata sin dalla sua nascita nel dopoguerra con il sistema finanziario americano anche nei suoi comparti più speculativi; che ha fondato il proprio sviluppo sull’aperto sostegno americano in antitesi alle ambizioni sovraniste della Francia gaullista e al polo sovietico, in un contesto di unipolarismo non ancora sconfitto, anche se in crisi evidente, non può certo assumere un ruolo di leadership europeista sovrana.

È la tara di fondo che, probabilmente, fa cincischiare e determinerà il cedimento finale di questo paese a meno di improbabili rivolgimenti, a breve termine, nello scenario mondiale; ma anche nella situazione più favorevole, le attuali scelte nel settore militare, in quello industriale connesso, nella organizzazione degli apparati amministrativi e finanziari condizioneranno pesantemente le eventuali velleità di potenza e autonomia.

Il nazionalismo cialtrone che sta pervadendo gli animi più influenzabili dalle campagne mediatiche non può, quindi, far altro che scegliersi, di fatto,  leaders con ingombranti scheletri negli armadi o finti oppositori bravi a gridare al lupo per aizzare contro una pecora; destinato a consegnarsi, quindi, in mano al proprio carnefice.

Può sopravvivere eludendo il nocciolo dei problemi e nascondendo sotto il tappeto le macerie di una situazione e di una economia reale marcescente, di una realtà sociale sempre più drammatica; stime sempre più inquietanti e precise tracciano uno scenario futuro con un apparato produttivo ridimensionato di un buon 50%. Il tappeto tende ad essere troppo stretto. La loro cecità li mantiene in buona parte in buona fede, ma ciò non basta a redimerli.

All’inizio dell’articolo ho parlato di Monti e del suo paese impegnati in una marcia trionfale. E già! Ma ho qualche dubbio su quale sia realmente il paese di Monti. Ho qualche dubbio sulle stesse fortune personali dei fidi più solerti. Ho qualche dubbio che la nostra stessa borghesia compradora riesca ad esprimere un proprio leader autoctono capace almeno di trattare la resa e le conseguenti compartecipazioni. I conflitti in casa Monti sono solo il riflesso di tanta inettitudine e corrispondenti rivalse.

Ultimamente, scaduto il loro mandato, quello dei fidi solerti, sono scadute, troppo spesso, anche le loro tutele. Non hanno avuto nemmeno l’onore di cadere sotto i colpi dei loro avversari ultradecennali dichiarati.