Ricevo e pubblico queste riflessioni di Gianfranco La Grassa sulla situazione attuale intitolate "La bella Italia".

LA “BELLA ITALIA”

 

E’ mia intenzione, con calma, riflettere sulla situazione di fase oggi esistente, in generale e con particolare riferimento all’Italia (in un articolo che intitolerò Il verminaio). Tuttavia, con queste maledette feste è difficile lavorare bene. Butto intanto giù alcune prime considerazioni relative agli ultimi fattacci italiani. Sono più che certo che siamo stati tutti presi in giro da media ben controllati che ci hanno raccontato la storiella dei cattivi, immorali, imbroglioncelli da strapazzo, sconfitti da gente seria e che ha un’etica nel condurre gli affari. Politici come Rutelli o Castagnetti, ecc. e industriali (del piffero) come Montezemolo o Della Valle (o il De Benedetti dell’imbroglio relativo alla SME in cui ebbe come coadiutore Prodi; oltre ad aver venduto, con aiuti politici, a prezzo pieno i suoi vecchi computer, da fondo di magazzino, alle Poste), ecc. ci hanno raccontato che la politica e gli affari debbono restare separati, guai a confonderli. Una simile ipocrisia disgusta. In nessuna epoca storica, ma meno che mai nella nostra, affari e politica sono potuti essere separati; chi attuasse simili propositi, fallirebbe all’istante e, fin che durerà il capitalismo, porterebbe all’affamamento di massa. Il problema è solo: quali affari e quale politica? Solo questo! Il resto è imbecillità o menzogna che copre un atteggiamento di particolare violenza, sopraffazione, imbroglio (e forse vera criminalità) nel condurre gli affaracci propri a spese di una intera popolazione confusa e disorientata dai media che questi pericolosi individui controllano (Corriere e Repubblica in testa).

Chi ha vinto nel recente scontro tra certi gruppi finanziari e altri è in definitiva il più potente, ma non certo il migliore. I “furbetti del quartierino” sono apparsi molto sprovveduti e gentucola da quattro soldi, ma non erano affatto i più pericolosi per le sorti economiche e politiche (e perfino di “democrazia borghese”) del nostro paese. E inoltre vorrei che qualcuno ricordasse che questi “furbetti” avevano già vinto sul piano puramente finanziario, avevano già il controllo dell’Antonveneta e gli olandesi dell’Ambro avevano ormai ritirato la loro offerta d’acquisto (OPA). I momentaneamente sconfitti italiani – con dietro gli ambienti finanziari internazionali più potenti – hanno dovuto, more solito, far intervenire la magistratura e il verdetto è stato rovesciato. Voglio ancora ricordare che, all’epoca dei fallimenti Cirio e soprattutto Parmalat nonché della truffa relativa ai bond argentini, che hanno dilapidato i risparmi di decine (o centinaia?) di migliaia di persone ma non leso gli interessi di pochi potentati e del loro principale giornale di riferimento (“Corriere”), il sistema bancario al completo – e non solo l’italiano ma pure l’americano, implicatissimo in quelle operazioni (come mai la magistratura non è andata sino in fondo, fino a toccare i santuari statunitensi, in quel caso?) – fu corresponsabile del disastro; e tuttavia sono volati solo gli stracci. A quell’epoca, salvo Tremonti (ma non posso qui diffondermi sui veri motivi del suo atteggiamento che non erano quelli esposti in pubblico; ne parleremo altrove), tutti difesero Fazio, la Bankitalia e il sistema bancario in genere. Ci sono mille e una dichiarazioni di appoggio a Fazio & C. fra cui quelle dell’intero centrosinistra e di Montezemolo nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Confindustria. “Tutti insieme appassionatamente” costrinsero Berlusconi a far dimettere Tremonti. Come ultima notazione, voglio ancora ricordare che chi attacca – in quanto parvenu – è sempre in condizioni di svantaggio rispetto a chi si difende (e con quel po’ po’ di appoggi della finanza internazionale con la sua cupola ebraico-americana). Chi attacca si scopre, sgomita, rispetta sicuramente meno le “leggi”, si espone.

 

Comunque, detto molto in sintesi, lo scontro attuale iniziò di fatto nel 1992-93 con “mani pulite” (che più sporche non potevano essere), quindi con la liquidazione di un sistema certo ormai fatiscente e gravemente intaccato dalla corruzione, ecc. Ma non fu quest’ultima a perdere il centrosinistra di allora. Purtroppo non ho tempo per cronistorie, e per spiegare i motivi internazionali e interni di quell’attacco, partito poco dopo la dissoluzione dell’URSS e del campo socialista. Rinvio comunque a Preve-La Grassa, Il teatro dell’assurdo (Punto rosso gennaio 1995), perché ritengo che quanto lì scritto sia stato poi confermato almeno al 90%; fra l’altro da interviste (sul Corriere e alla TV) di Cossiga, su cui tutti hanno sorvolato pur se sosteneva cose di una gravità notevolissima. In ogni caso, l’attacco partì pure allora dagli USA e dai settori asserviti italiani; all’epoca Agnelli (Montezemolo era ancora in secondo piano), Tronchetti, De Benedetti e ….i soliti noti insomma. E il solito Corriere (anche allora era direttore quello di oggi) che godeva di rapporti privilegiati con la Magistratura, sapeva in anticipo questioni protette da segreto istruttorio e inviava i suoi propri “avvisi di garanzia” per sconvolgere gli assetti politici così come volevano i suoi padroni: nazionali e, dietro questi, americani. Esattamente come ha cominciato a fare oggi.

Per vari motivi (sempre rinvio al libretto di cui sopra) si mise di traverso Berlusca, e questo impedì lo sbocco voluto dai poteri forti che doveva essere imperniato sui buoni servigi dei “rinnegati” del comunismo che, in quanto “rinnegati”, avevano ben poco da scegliere e dovevano “pedalare” per restare a galla e rifarsi una verginità (e sarebbero sempre stati tenuti sotto ricatto). Solo che Berlusconi, per riuscire, è stato ancor più realista del re, è diventato un amerikano a prova di bomba; anzi ha dovuto porsi al servizio perfino dei più retrivi fra i poteri statunitensi, giacché quelli aventi come punto di riferimento il partito democratico erano probabilmente più vicini a coloro che stavano provocando lo sconquasso in Italia e tentavano di cambiare regime, mettendo sul davanti della scena i “rinnegati” del comunismo (e altri ovviamente, soprattutto rimasugli democristianucci).

Comunque, anche servendosi di quel centro di potere che è pur sempre la Presidenza della Repubblica (in mano ad un loro uomo come Scalfaro), i poteri forti di cui sopra riuscirono a contenere e licenziare Berlusconi e a favorire, dopo la transizione di Dini, la vittoria elettorale del centro-sinistra, il cui Governo fu però del tutto instabile e subì una serie di cambi della guardia alla Presidenza del Consiglio; da Prodi a D’Alema ad Amato. Il secondo – con la spinta di Cossiga e di “altri” ambienti democristiani che ricominciavano a tirar fuori il capino; ma soprattutto legandosi fortemente ad ambienti democratici statunitensi (c’era Clinton allora) mediante la partecipazione alla guerra contro la Jugoslavia e la promessa di inviare niente meno che 18000 soldati italiani se vi fosse stato bisogno dell’impresa di terra (resa inutile dalle mene politiche che riuscirono a liquidare Milosevic) – volle fare il “furbetto” per acquisire una certa indipendenza rispetto ai poteri forti di sempre. Aiutò quelli da lui definiti capitani coraggiosi (Gnutti e Colaninno e una parte di “nuovi ricchi” del Nord) a prendersi la Telecom. Agnelli, mediante la sua San Paolo-IMI, difese debolmente Bernabé e lo scontro si concluse con la vittoria (temporanea) dei nuovi arrivati. Bernabé si lasciò andare inizialmente a dichiarazioni un po’ “avanzate” e compromettenti (in specie sull’aiuto del Governo ai “conquistatori”), ma poi si calmò, tacque e passò ad altro incarico (sempre buono e ben retribuito, non compatiamolo troppo!).

Tuttavia, la vittoria era quella classica “di Pirro”, la Telecom era piena zeppa di debiti (fatti in gran parte per conquistarla) e infine il tutto ripassò a uno di quelli dei poteri forti (Tronchetti), il quale non mi sembra sia ancora riuscito a sistemare quell’azienda che appare decotta e in forte decadenza come professionalità dei suoi dipendenti, come avanzamento tecnologico, ecc. Poi, grazie all’incapacità del centrosinistra di trovare un qualche assetto stabile – e confortevole per i poteri forti – dopo la liquidazione di D’Alema (e l’indebolimento dei “capitani coraggiosi”), tornò infine al Governo, e più stabilmente, Berlusconi. Vi fu quindi un armistizio tra i vari poteri forti, vecchi e nuovi, un’azione di lavorio ai fianchi e di logoramento del centrodestra (soprattutto con la sotterranea e mascherata azione dell’UDC), che culminò nell’alleanza tattica tra questi vari poteri di fronte alla venuta a galla, con il crac Parmalat e il resto, del marciume del sistema produttivo-finanziario italiano, del suo essere truffaldino e della sua sudditanza (al di là della politica e dei Governi) di fronte alla cupola finanziaria statunitense.

Fin da subito, si evidenziò l’incapacità completa dell’accozzaglia di centrodestra di governare con almeno un minimo di unità di intenti (FI, AN, Lega, UDC sono sempre andate ognuna per conto proprio mediante alleanze momentanee, confuse, continuamente cambiate, ecc.), con la sempre più netta predisposizione degli ex democristiani a partecipare, assieme ai loro confratelli del centrosinistra, ad un progetto non di “grande centro” (una montatura di facciata) ma di maggior peso e riequilibrio verso la “sinistra”, acquisendo una nuova sicurezza circa la vittoria del centrosinistra nelle ormai prossime elezioni. Si ruppe allora ogni equilibrio, la lotta si riaccese e si arrivò a quello che adesso si vorrebbe fosse l’ultimo e definitivo stadio dello scontro. Sembra siano partiti all’attacco i “parvenus” con dietro Fazio e, ne sono convinto, la finanza vaticana (d’altra parte qualche potenza reale i “furbetti” dovevano pur averla per osare tanto e andare tanto vicini al successo); non è però escluso che siano dovuti “andare in guerra” (un po’ come i giapponesi quando furono “chiamati all’attacco” da Roosvelt). Assieme ai “nuovi ricchi” (e al Vaticano) si mise l’Unipol (che è ormai praticamente sicuro avesse l’appoggio del solito D’Alema), mentre il Monte dei Paschi si defilava (e nel suo Consiglio d’amministrazione, infatti, i dalemiani rimasero in minoranza). L’obiettivo dichiarato erano BNL e Antonveneta (e, forse osando troppo, l’RCS con il Corrierone); l’obiettivo ultimo credo fosse però la Mediobanca (malgrado l’indebolimento rispetto all’epoca di Cuccia, essa è ancora un centro importante del potere finanziario) e, sopra tutti, le Generali, vero cuore (anche se internazionale) della stessa finanza (ed economia) italiana.

Ripeto che gli assaltatori erano giunti in ottima posizione nelle due OPA miranti a conquistare gli avamposti, i primi bastioni, dei poteri forti, e il contrattacco ha dovuto ancora una volta adire la sedicente “Giustizia”. Questo intanto dimostra che l’Italia è un paese di conquista da parte degli “altri” potenti del mondo. Ridicola indubbiamente la scusa di Fazio di difendere l’italianità delle banche prese di mira dalla spagnola Bilbao (BNL) e dalla olandese Ambro (Antonveneta); entrambe strettamente legate alla finanza USA. Per compiere la sua scalata, l’Unipol ottenne un credito elevato da Deutsche Bank, dalla francese BNP Paribas e da altre tre banche straniere; l’italianità era una gran balla. Comunque anche i vincitori avevano alle spalle la grande finanza europea e come già detto, in ultima analisi e ai vertici, la finanza USA.

Un importante passaggio dello scontro oggi in fase di conclusione è stato in definitiva il seminario della Margherita a fine maggio a Frascati. Vi parteciparono Montezemolo, Tronchetti, Della Valle e tutti i big, ivi compresi alcuni della finanza come, se non erro, Profumo (Unicredit). Comunque, non vi andarono Fazio e Billé (Confcommercio), proprio per la rottura del precario “fronte” creatosi in precedenza, e che aveva funzionato all’epoca sia del crac Parmalat che della colossale truffa operata ai danni dei risparmiatori con la vendita dei bond argentini, promossa proprio dall’intero sistema bancario italiano, con alle spalle le “famose” società di rating, esse pure per lo più statunitensi (ricordo, a chi dimentica facilmente, che queste società promossero la “sana” amministrazione della Parmalat pochi mesi prima del disastro). Alla riunione di Frascati (a porte chiuse, senza ammissione della stampa) non andò Prodi per polemica nei confronti delle mosse compiute in quei giorni da Rutelli.

All’inizio, l’attacco partì con estrema violenza dirigendosi contro entrambe le OPA: della Banca popolare di Lodi (Fiorani) su Antonveneta e della Unipol sulla BNL (in quest’ultimo caso mettendo pienamente in luce come la prima volesse “mangiarsi” una impresa bancaria che aveva un capitale sociale quintuplo del suo). E’ però evidente che l’attacco all’Unipol significava comunque – pur se oggi si tende a salvare Fassino e a scaricare tutto su D’Alema – rischiare una grossa frattura tra Margherita e DS, con brutti riflessi sulle elezioni del 2006 già date per vinte dopo tutti i contatti e i pourparler segreti (di Pulcinella), soprattutto negli ultimi due anni, tra Follini e Casini, da una parte, e Mastella, Rutelli, Letta (Enrico), ecc. dall’altra. Ci si concentrò allora su Fiorani e Fazio (si agì quindi per far fallire intanto l’azione della Lodi sull’Antonveneta e per dare un buon avvertimento alla finanza vaticana) e si rinviò a dopo le elezioni il regolamento di conti tra la Margherita – cui appartiene Abete (presidente della BNL e legato al Bilbao) ed appoggiata dai poteri forti – e i DS, che hanno difeso, fino all’ultimo, l’Unipol e persino Consorte. Solo che, non so se stupidamente o invece perché sapeva di perdere la partita se avesse aspettato le elezioni (soprattutto in caso di vittoria del centrosinistra, e non ci si meravigli del solo apparente controsenso), il suddetto Consorte tentò di accelerare l’OPA sulla BNL e dichiarò più volte che intendeva concludere prima di Natale; in ogni caso, certamente prima delle elezioni, pur se egli ovviamente non parlò in tal senso (troppo scoperto).

A questo punto, è saltato ogni compromesso e l’attacco si è scatenato anche contro la seconda OPA, facendo dimettere in questi giorni Consorte; si è mantenuto un velo di compromesso sostenendo che la sorte di…Consorte non invalida la legittimità della scalata alla BNL. Tuttavia, sarà tutto da vedere, poiché solo una risistemazione degli affari interni ai DS – anzi, assai di più: la loro dissoluzione nel “mitico” partito democratico – orientata dai potenti potrebbe consentire all’Unipol (tuttora isolata dall’altro polo della finanza detta “rossa”, il Monte dei Paschi, che sta alla finestra a vedere cosa accade) di concludere positivamente la sua operazione; e solo se vi sarà un previo accordo con la finanza americana che sta al di sopra del Bilbao e di gran parte della finanza europea; gli unici finanzieri della UE che si siano (debolmente) mossi negli ultimi tempi in direzione contraria sono esclusivamente i tedeschi della Deutsche Bank – che ha, come amministratore delegato in Italia, De Bustis, già direttore, se non ricordo male la carica (comunque di vertice), della Banca 121 del Salento, qualche tempo fa nell’occhio del tifone giudiziario e con sempre alle spalle settori dalemiani, quindi quelli perdenti nello scontro di cui si sta parlando – e la BNP Paribas (Francia).

A dimostrazione che la vicenda sporchissima di cui stiamo parlando si intreccia strettamente con la manovra che i poteri forti – legati agli ambienti finanziari americani – stanno conducendo in modo sempre più accelerato per riconfigurare a loro immagine e somiglianza (di banda “Al Capone”),  la costellazione delle forze politiche italiane, si è avuta l’intervista di De Benedetti al Corriere, in cui l’ineffabile personaggio affermava senza perifrasi che Prodi dovrà durare lo stretto necessario e poi lasciare il campo a Rutelli e Veltroni in quanto capi di un fantomatico – tutto da creare – partito democratico italiano, a somiglianza (proposito ridicolo) di quello americano. Nella seconda metà di dicembre, mi sembra all’Hardisson Hotel (Roma), si è tenuta una nuova assemblea soprattutto della Margherita, con però la presenza di dirigenti DS (Fassino in testa). L’assemblea è stata chiusa da due “forti” discorsi di Mauro (Repubblica) e Mieli (Corriere), in cui si è detto esplicitamente che è ora di avere facce nuove, che non se ne può più dei postcomunisti. Mieli ha concluso il discorso affermando che D’Alema, Fassino, Violante, Angius, Bassolino, ecc. vengono tutti “da lì” [dal comunismo, così come lo intendeva lui quando faceva parte di Lotta Continua; questa appartenenza se l’è bella e dimenticata. Faccio comunque notare che non ha citato Veltroni fra i postcomunisti]; e che bisogna che finalmente se ne vadano, lasciando il posto a nuovi personaggi (i debenedettini Rutelli e, appunto, Veltroni).

Per completare il quadro, ricordo che il 16 novembre (all’incirca), i DS presentarono in anteprima il programma che l’Ulivo avrebbe poi dovuto ufficializzare l’1-3 dicembre a Firenze, ma che ancora nella sua completezza non mi sembra si sia visto (si sa che si tratta di un malloppone di oltre 300 pagine). Comunque, a quella riunione, organizzata in un grande Hotel di Roma (con grande dispendio di soldini), vi erano 400 invitati, tutti i big dell’industria e finanza (salvo Fazio e Billé, ma vi era ancora Consorte; e arrivò anche Confalonieri di Mediaset) con tutti i dirigenti dei DS e della CGIL (con Epifani, promotore dello sciopero generale di qualche giorno dopo, allo stesso tavolo di De Benedetti e altri big del genere). Poiché quel giorno Montezemolo era occupato e non poteva partecipare alla “riunione dei 400”, due giorni prima Fassino si era recato in viale dell’Astronomia, ricevuto nella foresteria dell’Associazione industriali dal Presidente, cui illustrò per circa un’ora il suddetto libro dei sogni, ricevendone vivo apprezzamento.      

Comunque, arriviamo adesso all’ultimo atto, che sanziona completamente la vittoria dei poteri forti (sicuramente i peggiori nell’affaire): la nomina di Draghi alla Bankitalia. Questo personaggio è stato consulente del Bilbao nella vicenda dell’OPA sulla BNL, ha partecipato, fra l’altro, alla stesura del programma dell’Ulivo; ma ciò che lo connota in modo precipuo è di essere vicepresidente della Goldman Sachs, società USA importante nel mondo finanziario, una di quelle che dava giudizi positivi sulla Parmalat pochi mesi prima del crac, uno degli snodi del dominio finanziario statunitense (ed ebraico) sulla finanza europea, e italiana in specie. Questo individuo, che senz’altro sarà capace e tecnicamente istruito, è però il solito ideologo che nasconde dietro la “neutralità” dell’efficienza la sua scelta per la privatizzazione, la deregolamentazione dei servizi, la flessibilità del mercato del lavoro, ecc. In una lezione tenuta nell’aprile 2004 (in occasione della consegna a lui fatta di un diploma honoris causa) aveva previsto una forte ripresa economica mondiale (che paragonava a quella del dopoguerra) a cui si sarebbe collegata l’Europa (senza commenti). Comunque, un uomo della vecchia guardia, che non incenso certamente ma giudico almeno lucido, cioè Cirino Pomicino, ha dichiarato – magari mosso anche lui da chissà quali interessi contrari – una cosa sensatissima un paio di giorni prima della nomina di questo “tecnico” con, grosso modo, queste parole: “Se faranno questa scelta, sarà un preciso segnale lanciato all’esterno che l’Italia è, ormai senza più ostacoli, campo di conquista”. Non si poteva dire meglio, qualsiasi sia stato il motivo per cui questa affermazione è stata fatta.   

La sua nomina è stata accolta da ovazioni bipartisan, ma è del tutto evidente la maggior convinzione del centrosinistra e degli ambienti finanziari e giornalistici dei poteri forti (si veda l’autentica gioia del Corriere, ma anche quella del Foglio, il giornale più filoamericano che ci sia in Italia). Più di prammatica la soddisfazione di Tremonti che puntava su Grilli, politicamente meno esposto. Ovviamente, anche se sono sicuro avrà storto la bocca, l’amerikano Berlusconi non poteva dire di no ai padroni, pur se questi – altro segreto di Pulcinella – hanno già a più riprese contattato i vertici dell’Ulivo, visto che tale schieramento ha il 90% di probabilità di vincere le prossime elezioni (nel senso che, in realtà, le perderà il centrodestra ormai condannato anche da suoi settori come l’UDC, che intrallazza con i nominali “avversari”). In fondo Berlusca è, come detto, più realista del re, ma non dà garanzie di stabilità dato che i poteri forti lo combattono (proprio oggi il Corriere riprende i suoi attacchi con notizie di inchieste giudiziarie sul Premier, notizie che gli vengono sempre ben servite dalla magistratura). Uno dei motivi, di primo piano, della loro ostilità è il fatto che le loro imprese decotte hanno bisogno di soldi dallo Stato; e in questa funzione il centrosinistra è insostituibile.

E gli americani, in combutta con questi poteri forti (estremamente deboli nei loro confronti perché sostenuti da essi e dalla loro finanza, senza la quale andrebbero in fallimento domani stesso), hanno bisogno di una decisiva subordinazione italiana ai loro voleri; ma non senza mascherature adeguate. L’americanismo di Berlusconi non ha veli, ed è quindi assai pericoloso per i padroni statunitensi. Il padrone, se ne ha la possibilità, sceglie tra i suoi scherani quelli che portano la maschera, cosicché non vengano subito riconosciuti mentre, per servirlo, compiono le loro mascalzonate. Faccio un inciso. Nel programma del centrosinistra si dice esplicitamente che ci si ritirerà dall’Irak, ma con il consenso del Governo irakeno. In questo modo, si riconosce la finta autonomia di un Governo fantoccio e, nella sostanza (ma con forma mascherata, appunto, e dunque ipocrita), si invia ai reali padroni l’assicurazione che ci si ritirerà, ma se loro lo permetteranno e non avranno più bisogno dei nostri (non certo eccelsi) servigi. Siamo alle solite, come quando l’intervento in Jugoslavia del servo D’Alema era mascherato da “difesa integrata” e da azione umanitaria contro il genocidio dei kossovari, smentito nell’ottobre del 1999 da un rapporto OCSE (ufficialissimo) che dichiarava il ritrovamento di 2000 cadaveri, non dei centomila ammazzati secondo i nostri media (che ancor oggi, in specie a sinistra per continuare a giustificare quel criminale intervento del loro Governo, ripetono la storiella del genocidio).

Torniamo a noi. Malgrado la schiacciante preminenza, e non solo militare (si pensi alla ricerca scientifico-tecnica), gli USA non sono in completa salute, e il disordine mondiale cresce e spesso arreca loro danno. Una testa di ponte in Europa, pienamente prona al loro potere ma, ripeto, con la finzione dell’indipendenza – e senza quei, pur deboli, sfizi autonomistici che, all’epoca della divisione del mondo in due “campi”, nutrivano i vecchi partiti tipo DC e PSI – è quanto gli USA agognano, anche perché mette in difficoltà quei pochi settori industriali europei (i finanziari sono quasi al 100% orientati dai centri di potere americani) che potrebbero fare un po’ di fronda. Gli USA dovranno sopportare confronti mondiali accesi nei prossimi decenni; guai se pure gli europei si mettessero a rompere le scatole. L’Italia ha la sua importanza per garantire lo sfacelo della UE come potenza autonoma. E queste prospettive a lungo raggio, strategiche, non sono avulse da quello che si è svolto negli ultimi tempi in questo autentico campo di battaglia – e di conquista – che è diventata l’Italia con i suoi settori finanziari subordinati a quelli USA ma decisivi, in combutta con forze politiche a loro asservite, per continuare ad alimentare industrie parassitarie come la Fiat, la Telecom e altre grandi imprese (carrozzoni d’altri tempi); del resto, le poche imprese in attivo (mettiamo la Luxottica o la Tod’s o che so io) non sono certo industrie di punta che fanno potenza; sotto l’ala americana stanno benone, mentre un reale ambiente competitivo le stroncherebbe.

 

Detto quanto sopra, anch’io, in nome del “tanto peggio…”, spero vinca il centro-sinistra. Vediamo perché. Pochi giorni fa, fatto oggetto della campagna di stampa di Corriere & C., il buon D’Alema vedeva complotti e, dietro questi, proprio i poteri forti. Adesso che il Corrierone, cioè il solito gruppo di potere, riapre il fronte giudiziario contro Berlusconi, tutto il centro-sinistra, ivi compresi i dalemiani e i diessini più esposti nelle recenti vicende, si buttano a capofitto gridando “all’untore”, al corrotto e chi più ne ha più ne metta. A questo punto solo i mascalzoni (i dirigenti del centrosinistra) e i cretini (che purtroppo abbondano nella base di quello schieramento e soprattutto a “sinistra”) possono far finta di non capire che l’antiberlusconismo (alla Sabina Guzzanti, alla Travaglio, alla girotondina), il gridare al fascismo montante ecc., sono il cemento che tiene unita una cosca – sia economico-finanziaria che politica, giornalistica e intellettuale – formata da gente che si odia, si combatte con coltellate alle spalle, che non aspetta altro che vincere le elezioni per regolare i conti fra loro, e prendere per sé tutto o la maggior parte del potere, devastando definitivamente la “bell’Italia”. Se va via Berlusconi, finalmente il bubbone esploderà e tutto il pus andrà in circolazione nell’organismo sociale, con infezione generale e, speriamo in tempi non pluridecennali, la sua morte invereconda. Perché il centrosinistra – a dir la verità soprattutto il suo centro e i settori moderati della “sinistra” – è il vero cancro che corrode ormai questa democrazia sempre più simile alla Repubblica di Weimar, che era un impasto simile di putridi interessi finanziari e politici, abbondantemente influenzati anche allora dalla finanza statunitense.

 Diciamo allora più precisamente: il vero cancro è il complesso di quei poteri “forti” – debolissimi verso gli USA – che sono un conglomerato di banche parassitarie e di industrie decotte o “tatticamente” (nel breve periodo) ancora floride ma solo nell’ambito di una totale subordinazione al centro imperiale. Il centrosinistra, oggi in particolare il centro di quest’ultimo, è la mano politica di questi gruppi di parassiti finanziar-industriali; che non sono l’anticamera del fascismo – non diciamo pure noi una simile idiozia – ma della devastazione e corruzione completa della democrazia pur formale, e dell’avanzare della putrescenza sociale, più ancora che economica, nel nostro paese ad essi sottoposto (e, tramite essi, sottoposto totalmente al dominio USA). Tuttavia, i cosiddetti poteri forti sono in difficoltà. Per quanto tempo ancora la Fiat riuscirà a far credere al “mercato”, e ai cittadini, che si sta risanando e rilanciando? Fino a quando vi riusciranno le altre grandi imprese in bilico, indebitate fin sopra i capelli, e prive di qualsiasi impulso alla ricerca scientifico-tecnica di punta? Fino a quando terrà il nuovo “eroe” dell’ideologia confindustriale (dopo le idiozie propalate per decenni sul “piccolo è bello”), cioè la media impresa di settori non di punta, non strategici, che vive di “luce riflessa” (e sopravviverà fin quando la situazione economica continuerà a restare almeno “così e così”)?

Non credo manchi molto tempo; e i vari Montezemolo, De Benedetti e C. lo sanno meglio di me. Stanno accelerando, debbono fare in fretta a costruire il partito democratico, a dissolvere in esso perfino i “rinnegati” del comunismo, a ricattare i rifondatori, i comunisti italiani, ecc. minacciandoli – se non si accontentano delle briciole del sottogoverno – di sostituirli con forze oggi formalmente ancora appartenenti al centrodestra. Mieli si lancia in messaggi (mafiosi) del tipo: “No, niente paura, non è una nuova tangentopoli, però è necessario stare calmi”, cioè sottostare ai voleri e ai tempi di questi poteri fintiforti che hanno una fretta del Demonio, che sono forse all’ultima spiaggia. Per di più, cosa ridicola, dopo aver preso in giro Berlusconi che parla ancora di comunisti, questo pennivendolo (così si diceva una volta) afferma che bisogna farla finita con i postcomunisti. La situazione è proprio tragicomica, da buffoni e cialtroni quali sono i “potenti” italiani. Diceva bene De Gaulle: “L’Italie n’est pas un pays pauvre, c’est un pauvre pays”.

Per questi motivi, spero che vinca il centrosinistra, affinché questo cancro ammazzi infine l’organismo malsano dei poteri che si credono forti (con i deboli) e sono in affanno. Non sarà facile per loro creare il partito democratico; soprattutto con fasulli quali Rutelli e Veltroni (e, del resto, anche Prodi è un “genio assoluto”!), e alle spalle gli industriali come Montezemolo, i giornalisti come Mieli, il ceto intellettuale che ci ritroviamo; e al di sopra di tutti poche banche parassite e la finanza americana che ci spadroneggia. Non c’è da stare allegri, questo è chiaro, ma forse – è comunque l’unica speranza – certi processi di sfascio si accelereranno e si chiarirà da chi siamo manovrati. Finirà la scusa dell’antiberlusconismo, non ci sarà più l’uomo nero contro cui sfogarsi e unire tutti gli uomini di malaffare (e gli “ingenui”) presenti in questo paese. Tuttavia……tuttavia temo che a sinistra – almeno in quella che si vorrebbe “di classe”, anticapitalista – non riesca a sorgere nulla. E allora……

Comunque se ne riparlerà più meditatamente, perché i tempi sono (storicamente) ormai stretti e la cloaca è infine a cielo aperto (per chi ha occhi per vedere; i ciechi vadano adda’ via….). A voi – anzi a noi – un buon 2006, di sveglia brusca e vivace

glg