DANNO I NUMERI E SONO PARASSITI (di G. La Grassa)

 

I fornitori di dati e cifre sono gli imbonitori e saltimbanchi della nostra epoca. Recentemente il sondaggista del Corriere – organo di un pezzo decisivo del nostro establishment – ha fornito cifre fantasiose circa la risalita del Governo nella pubblica opinione proprio nel mentre veniva approvata la finanziaria che ha fatto incazzare praticamente tutti, e ha ricevuto critiche perfino da personaggi centrali (confindustriali) del suddetto establishment. Dopo due giorni, il sondaggista in questione ha chiarito che, se non iniziasse presto la “fase due” (quella dell’intervento sulle pensioni, nel mercato del lavoro, ecc.), l’opinione “favorevole” al Governo si logorerebbe rapidamente.

Ecco svelato il mistero; i numeri servono solo a far credere che la “gente” brama di veder realizzate quelle “riforme strutturali”, che sono desiderate dai parassiti della GFeID (grande finanza e industria decotta), con dietro le grandi concentrazioni finanziarie americane e i loro “servi” europei. I quali, a partire dalla commissione europea (con le dichiarazioni del suo presidente Almunia) per finire al Governatore della Banca d’Italia, già vicepresidente della Goldman Sachs, hanno rilasciato attestazioni di blanda approvazione della manovra, ma solo perché riporterebbe il mitico rapporto deficit/Pil al 3% o anche meno; questo dimostra l’assoluta incapacità di organismi che dovrebbero essere politici (e dirigere l’Europa e l’Italia) di andare oltre un punto di vista esclusivamente contabile. E inoltre, sia gli organismi d’Europa che il Governatore della Banca d’Italia dichiarano, subito dopo l’approvazione di massima della finanziaria, che adesso sono necessarie e improrogabili le solite riforme strutturali. E qui iniziano i balletti interni al centrosinistra, tra sedicenti moderati e sedicenti radicali.

Il “gioco degli specchi” tra destra e sinistra si è in questo momento prevalentemente spostato dentro il centrosinistra; appunto tra moderati e radicali, tra sinistra detta “riformista” e quella detta “estremista”. Incredibilmente, ma solo all’apparenza, la stessa destra accredita questi “balletti”, pur di sostenere che i moderati e i riformisti perdono sempre e vincono i “nemici del mercato e dell’impresa”. E’ evidente che anche il centrodestra, a sua volta internamente diviso, non sa affatto proporre una qualsiasi alternativa; preferisce quindi aderire al gioco tutto interno al centrosinistra, affermando che Prodi è alleato dei “radicali”, i quali riuscirebbero sempre a prevalere. In questo modo, la destra crede di poter attirare a sé una parte dell’elettorato, e magari qualche pezzo politico, dello schieramento avversario; ma ha in realtà poche carte in mano, perché la lotta tra le due frazioni componenti quest’ultimo è in fondo la solita “commedia delle parti”, utile in realtà a mantenerle insieme al Governo, contribuendo ad inoculare con molta lentezza il veleno delle cosiddette riforme.

Ciò che conta in definitiva – ed è qui che confluiscono tutte le manovre dell’establishment e tutte le menzogne dei loro giornali e dei loro sondaggisti – è il tentativo di arrivare in qualche modo al fantomatico partito democratico che dovrebbe unificare l’intero blocco più moderato; mentre, dall’altra parte, si tenta di costituire una sinistra “radicale” (possibilmente raggruppata in quella “europea”) che – ormai ben corrotta e aliena dal rinunciare al pingue bottino già ottenuto in sede governativa e sottogovernativa – faccia da ala “sinistra”, ottenendo di diluire nel tempo ciò che gli altri fingono di volere subito. Insomma, la ben nota recita che tuttavia riesce quasi sempre: i moderati fingono che sia necessaria una batosta da 100 per salvare il paese, in questo aiutati dagli organismi europei, dalle società di rating, dal FMI, ecc.; i radicali protestano, si oppongono “fieramente” e riescono a far ridurre la legnata a 50, dopo di che tutti si sentono sollevati e credono di essersi parzialmente salvati. L’ignobile commedia si svolge nell’ambito della sinistra, mantenendo sullo sfondo lo spauracchio che possa tornare al Governo la destra (e Berlusconi) se si va a nuove elezioni. In questo contesto si inseriscono sia i sondaggi che danno vincente la destra se si tornasse a votare, sia quelli circa i falsi miglioramenti dell’immagine del Governo (l’unica cosa sicura è che questa è al momento la peggiore possibile), miglioramenti seguiti però da un sicuro deterioramento se non si andasse alle riforme. E così via.

 

E non finisce qui con i balletti di cifre fornite a capocchia. Facciamo un esempio: nei prossimi tre anni si prevede, in Italia, un’inflazione rispettivamente del 2,1, del 2, dell’1,9%. Anche in Europa le tendenze sarebbero al ribasso, e con tassi inferiori a quelli italiani. Ciononostante, la Banca europea continua a lanciare allarmi sulle pressioni inflazionistiche in atto; essa ha già alzato due volte il tasso di sconto e afferma che presto lo alzerà ancora. Un autentico controsenso se si resta alle intenzioni dichiarate ufficialmente.

E continuiamo con il caos dei dati. Il saggio di crescita (in Italia) è stato via via rialzato per il 2006 fino ad essere fissato (in previsione!) all’1,7%; il prossimo anno, però, si prevede un 1,4. Credete che questo saggio sia minore di quello dell’anno che sta per scadere? No, perché si sostiene che è in atto una robusta ripresa; è quindi evidente che, per i nostri economisti e statistici, 1,4 è maggiore di 1,7. Tuttavia, interviene l’ufficio studi della Confindustria e afferma che il prossimo anno, in effetti, il tasso di crescita del Pil sarebbe stato di 1,4 senza finanziaria, ma con quest’ultima esso scenderà all’1,1; solo nel 2008, ci porteremmo verso l’1,5. Arrivano allora le “sdegnate” risposte di “ambienti governativi”. A parte le stupidaggini dette dall’infantile Ministro dell’economia circa il fatto che Confindustria si atteggerebbe a partito politico, si sostiene adesso che la crescita di quest’anno sarà dell’1,3 (non era dell’1,7?), ma aumenterà nel prossimo e poi – udite, udite – nel quadriennio 2008-11 si manterrà sull’1,5 – l’1,7. Questi veramente “danno i numeri”; ma non si vergognano minimamente perché contano sul fatto che tanto nessuno ci capirà qualcosa. Non c’è un solo dato che non sia fornito al pubblico (da una informazione asservita come mai lo è stata prima d’ora) per motivi esclusivamente politici; ma di bassa lega, perché così vuole una classe dirigente che non dirige niente, non ha alcuna “strategia” se non quella di vivacchiare e rubacchiare il più possibile.

In ogni caso, perfino attenendoci ai loro dati menzogneri, si rileva intanto che il nostro tasso di sviluppo è di almeno un punto inferiore a quello della media europea, e ancora di più rispetto a quello degli USA, che pure sono in chiara e ormai inoppugnabile recessione (si discute solo se sarà leggera o forte, se sarà breve o abbastanza lunga). Detto per inciso, pensate all’insensatezza di questi dominanti italiani ed europei che cianciano di robuste riprese nella nostra area (e nel nostro paese) nel mentre gli USA, riconosciuto traino dell’economia mondiale, sono in difficoltà, cui si aggiunge il previsto (e perfino auspicato) rallentamento della Cina (dal 10 di quest’anno all’8% e anche meno dei prossimi) e dell’India (dall’8 del 2006 al 6-7% in futuro). E l’Europa si trasformerebbe nella nuova “locomotiva”? Ma quanto imbroglioni sono?!

 

Torniamo al nostro paese. Ammettiamo che si realizzino le “profezie” per i prossimi anni (fino al 2011; come un meteorologo che si lanciasse in millimetriche previsioni per l’inverno 2007-8). Si tratta di tassi da perfetta stagnazione, non da ripresa. Fra l’altro, almeno secondo i nostri “facitori di dati”, l’aumento annuo della produttività del lavoro è doppio rispetto ai tassi di crescita previsti; il che non lascia grandi prospettive per i lavoratori: ci sarà minore occupazione o dilatazione di quella del tutto precaria. Il cosiddetto “artigianato” – perfino nel nord-est che era stato preso a campione di un nuovo “modello di sviluppo” – è sempre più in difficoltà (si parli con i direttori di banca della zona, che inquadrano il problema pur sempre meglio dei sondaggisti e dei “fantasisti delle statistiche”). Non a caso, si lancia il nuovo mito della media impresa globale e in accelerato progresso tecnologico. Mai ovviamente si parla di grandi imprese che, in qualsiasi paese del mondo e da ormai ben oltre un secolo, sono le vere protagoniste della crescita e dell’avanzamento dei sistemi capitalistici, malgrado tutti i tentativi di revisione teorica che, ogni tot anni, cercano di compiere i “professoroni” di economia, questi saccenti e chiacchieroni che sono – salvo rarissime eccezioni – soltanto mediocri ideologi strapagati dai dominanti per celare accuratamente la struttura centralizzata (con un vertice dominante ristrettissimo), tipica di ogni società a capitalismo “avanzato”.

Il vero fatto è che nelle economie del genere di quella italiana, cioè capitalisticamente sviluppate ma comunque subordinate ad un centro dominante (gli USA), i nuovi processi di accelerata centralizzazione riguardano per lo più la sfera finanziaria, mentre nell’industria permangono, e vivacchiano, le grandi imprese di settori attinenti alla passata “rivoluzione industriale” (ad es. quelle metalmeccaniche), che si alimentano e si sostengono con finanziamenti pubblici per non mutare gli attuali equilibri del potere economico e politico, messi a dura prova in quest’epoca di profondi sconvolgimenti tecnico-produttivi e geopolitici. I processi di centralizzazione in un settore come quello finanziario – il più vicino e più intrecciato con gli apparati politico-statali – servono appunto a protrarre l’esistenza della vecchia configurazione di potere, che vede ancora al suo vertice, nell’area del capitalismo di più antica tradizione, il sistema-paese statunitense, mentre l’avanzata di altre potenze ad est sta modificando il panorama geopolitico.

Come sempre avviene nell’ambito dello sviluppo ineguale dei capitalismi, anche nella nostra zona – Europa con al suo interno l’Italia – vi sono settori, per quanto attualmente ristretti e composti da poche grandi imprese, che si lanciano lungo i nuovi sentieri aperti dall’ultima “rivoluzione industriale”, cioè dalla più recente ondata di innovazioni. Tuttavia, questi settori e imprese non sono sufficientemente aiutati nel loro sviluppo – non si dedica loro non tanto un sostegno finanziario diretto quanto un impulso più generale alla ricerca scientifico-tecnica e alla politica delle “sfere di influenza”, fattori decisivi per il loro successo nella cosiddetta competizione globale – perché ciò urta contro i limiti imposti dai dominanti centrali (USA). Si crea così una situazione di forte tensione, che inciderà in prospettiva sugli stessi equilibri sociali e politici ancora esistenti nell’area europea (e in Italia).

 

L’attuale miserabile politica (economica, cui è però subordinato tutto il resto) dello schieramento al Governo nel nostro paese – la spremitura del lavoro autonomo; il progressivo ma lento (e “calcolato”) regresso del Welfare (con il sopraccitato gioco tra sinistra “moderata” ed “estrema”); il puro gioco contabile (debito pubblico, rapporto deficit/Pil, ecc.) teso in realtà a reperire risorse con cui sorreggere il più possibile il vecchio establishment e la grande concentrazione finanziaria, mentre si trascura l’impulso (come appena ricordato, più indiretto che diretto) all’industria di punta; e via dicendo – dipende da quanto ho qui soltanto accennato. E’ evidente la necessità di un’analisi ben più approfondita, che non è possibile svolgere negli interventi in questa sede, interventi di puro stimolo e di messa in guardia per coloro che hanno ancora un minimo di onestà e la volontà di non piegarsi di fronte a questi giochi del tutto interni ai dominanti. Tuttavia, fra questi ultimi si sta aprendo una partita complessa e molto contraddittoria: sia sul piano internazionale, ad es. tra USA, da una parte, e Cina e Russia, dall’altra; sia sul piano interno europeo (e italiano), tra il modello paradigmatico da me indicato come “Repubblica di Weimar” – predominio della grande finanza subordinata a quella centrale statunitense, e dunque sostanziale accettazione dei progetti egemonici di un dato sistema-paese – e nuove forze economico-produttive prive, almeno per il momento, di una adeguata rappresentanza politica e invischiate in compromessi paralizzanti con il vecchio sistema.

Dobbiamo seguire questo complicato svolgersi della politica interna come internazionale; non dimenticando affatto la stragrande maggioranza delle popolazioni che è dominata (e subornata), senza però immaginarci che sussista attualmente, in qualche area e in qualche gruppo sociale, la capacità di invertire l’odierna negativa tendenza. Mi dispiace, è qui che nasce l’incomprensione profonda sulla necessità, da me fatta presente con sempre maggior forza negli ultimi tempi, di essere presenti – intanto sul piano della critica e dello smascheramento delle “oscure trame” – nell’ambito dello sporco gioco che stanno ponendo in atto le forze economiche (in specie finanziarie) e politiche italiane (ed europee) per renderci sempre più dipendenti dagli USA, in difficoltà di fronte al crescere di “imperialismi” rivali (ancora nella fase della “adolescenza”). Chi ancora crede di poter giocare direttamente, e immediatamente, la carta della lotta di classe (“operaia”) o quella della rivolta delle masse del Terzo Mondo si è a mio avviso infilato in una strada senza molte prospettive; e, in ultima analisi, serve solo ai giochi dei dominanti e delle loro forze politiche che oggi sono, in Italia, soprattutto quelle del centrosinistra: dei “moderati” e degli “estremisti” all’interno di quest’ultimo, la cui indegna recita blocca lo sviluppo di forze politiche realmente alternative.

 

26 dicembre